Riace, agosto 1972. Durante un’esplorazione subacquea, condotta a pochi metri dalla riva, Stefano Mariottini, vide affiorare a poco più di sei metri di profondità prima una statua, poi un’altra. Nel giro di pochi giorni, dopo aver avvertito la Soprintendenza, furono avviate le operazioni di recupero per liberare le statue dalla sabbia. Da quel giorno, le statue passate alla storia come bronzi di Riace, cominciarono il loro percorso di notorietà nel mondo della storia dell’archeologia.
Edito da Donzelli, Sul buono e sul cattivo uso dei Bronzi di Riace, scritto da Maurizio Paoletti e Salvatore Settis, con saggi di Simonetta Bonomi, Gregorio Botta, Pier Giovanni Guzzo, Carmelo G. Malacrino, Giuseppe Pucci e Mario Torelli, vuole essere un libro franco sulla storia culturale di queste due statue che sono diventate negli ultimi anni fiore all’occhiello dell’Italia nel mondo, spodestando antiche icone come la Venere di Milo, il Laocoonte o l’Apollo del Belvedere. Il motivo è presto detto. Nonostante gli anni ormai passati dalla scoperta, l’alone di mistero attorno ai bronzi è sempre vivo. Chi sono? Da dove vengono? Ancora assenti le tracce del relitto da cui certamente provengono, totalmente sconosciuta la loro identità, il luogo di origine e soprattutto l’artista che li realizzò così perfettamente. Oggi però, ed è quello che il libro mette sapientemente a fuoco, è se l’Italia sa effettivamente valorizzare questo prezioso tesoro che le acque ci hanno restituito. In primis, tra polemiche che non sembrano mai finire, si discute sui conflitti territoriali che vogliono l’appartenenza effettiva delle statue alla città di Reggio Calabria, polemica che a più riprese e in vari momenti di dibattito culturale viene sempre fuori. Molti sostengono che i bronzi a Reggio siano sprecati, vittime di una Calabria troppo distante dal resto d’Italia e soprattutto dai grandi poli attrattori come Napoli, Roma o Firenze. Di contro, chi sostiene invece fermamente che il luogo deputato all’esposizione dei due sia il Museo archeologico di Reggio Calabria e che solo restando in città le statue possono riscattare l’intera Calabria da un’immagine poco positiva. Questo vivace dibattito che schiera da una parte o dall’altra molti studiosi, stranisce se, leggendo il saggio di Salvatore Settis, ci si accorge che l’Italia ha da sempre snobbato questi misteriosi personaggi sin dai tempi della scoperta. Ora piuttosto, dopo le infinite polemiche di EXPO 2015 che volevano i bronzi a Milano, ci si interroga su come valorizzarli al massimo all’interno della nuova esposizione del Museo archeologico di Reggio Calabria, dove godono di una sala apposita che accoglie, mediante il passaggio attraverso una sala pre-filtro, gruppi di massimo 20 persone a volta. Per sfruttare questo tempo di attesa prima della mirabile visione delle due statue, sono stati appositamente predisposti due video, corredati da testi in italiano e inglese, che illustrano i vari momenti della scoperta, i restauri e le ipotesi interpretative che ruotano attorno ai guerrieri venuti dal mare. Una volta entrati nella sala, i visitatori godono di una piena visione delle statue, illuminate da una luce diffusa che rende ancora più suggestiva la visita. Il “buon” uso dei bronzi sta quindi, secondo Carmelo Malacrino (attuale direttore del Museo archeologico di Reggio Calabria N.B.), nel far risaltare quanto già stato fatto nel piano del nuovo allestimento del Museo, ma puntando sempre più all’accoglienza e alla valorizzazione territoriale, competenze che non riguardano, se non in parte, un direttore di Museo.
Il “buon uso” dei bronzi di Riace comincia dalla capacità dei tecnici, degli esperti e degli archeologi di prendere decisioni scomode per la classe politica; invece pe quest’ultima il “buon uso” sta racchiuso tutto nella volontà e, vorrei aggiungere, nell’intelligenza di non disattendere quei pareri, anzi di rispettarli al di là delle polemiche inutili. Maurizio Paoletti