In località Fonti, presso Padula (SA), si trova un gioiello paleocristiano. Il battistero di San Giovanni in Fonte è, infatti, uno dei più antichi d’Occidente. L’area interessata era un tempo chiamata Marcellianum, forse da Papa Marcello I, borgo suburbano di Consilinum e probabilmente di epoca costantiniana, abbandonata dagli abitanti che fuggivano dalle scorrerie saracene con la conseguente fondazione di Padula. Marcellianum era il luogo di una fiera che si teneva annualmente il 26 di settembre in onore di San Cipriano.
Il battistero era in epoca antica molto importante, come sappiamo da una lettera del 527 d.C. del ministro e consigliere di Atalarico, Aurelio Flavio Cassiodoro (Variae VIII, 33), che ci informa di questa fiera che richiama genti dalla Lucania, dall’Apulia, dal Bruzio, dalla Campania e dalla Calabria.
Cassiodoro ci informa anche che durante il periodo pasquale la fonte battesimale veniva totalmente riempita di acqua, un miracolo che accoglieva molti proseliti. Fu forse l’esistenza di una fonte perenne, che in primavera inondava da sola l’area, ad essere artefice della scelta dell’impianto per il battistero. In questo modo, durante la notte di Pasqua avveniva il “miracolo” salutato da molti fedeli.
Il primo nucleo del battistero, databile tra il VI e il VII secolo d.C., si impianta su un ninfeo precristiano dedicato alla “dea che scorre sulla schiuma del mare” Leucotea, e ne ingloba la vasca (poi battesimale), le gallerie laterali e l’ambiente absidato occidentale. La seconda fase risale all’epoca normanna quando, nell’XI secolo, il battistero viene donato ai Benedettini di Venosa dal primo conte normanno di Marsico, Rinaldo Malaconvenienza. In questo periodo la struttura diventa a pianta basilicale con tre navate e un piano superiore, tradendo la probabile nuova funzione, non più solo di fonte battesimale ma anche convento. Una terza fase è ascrivibile al XV secolo quando i Cavalieri di Malta, che hanno la gestione dell’area per ordine di Bonifacio VIII già dal 1297, fanno ristrutturare l’edificio a seguito, forse, del terremoto del 1456.
L’ultima fase della costruzione, tra il XVII e il XIX secolo, prevede la costruzione di un portico e dei contrafforti, e l’innalzamento del piano pavimentale a causa del non controllo dell’acqua. Essendo parte del demanio regio dall’epoca napoleonica, l’area diventa proprietà dei Borboni che la la donano alla Certosa di Santo Stefano al Bosco nel 1852, ma di fatto sotto l’amministrazione della Certosa di Padula. La chiusura della Certosa nel 1866 e l’allontanamento dei monaci, decreta l’abbandono e il degrado di quella che per secoli fu un’area importante anche per sembra essere uno dei battisteri più antichi d’Occidente. Nell’ambiente ovest è ancora presente l’altare e si possono notare i resti degli affreschi. Dei frammenti rappresenterebbero i Quattro Evangelisti, e andrebbero datati per stile realistico all’epoca tardo-romana e al periodo imperiale del V-VI sec. d.C. Altri rappresenterebbero due teorie di santi che forse affiancavano la figura centrale di Cristo.
Scavi recenti hanno rinvenuto nell’area nord del battistero un edificio connesso ad esso e accanto un impianto stradale con andamento nord ovest-sud est che costeggia la collina e che nella parte centrale è parzialmente danneggiato. Le diverse indagini dell’impianto stradale hanno individuato tre fasi, di cui la più antica è di II-I sec. a.C. come testimoniano sia la diversa realizzazione rispetto alle precedenti sia la presenza di una moneta di Giano bifronte sul recto e una prua sul verso; la seconda presumibilmente è di epoca medievale, ma non meglio databile a causa della mancanza di dati; la terza, per il rinvenimento di una moneta presumibilmente di Filippo IV è da ricondursi, almeno per la frequentazione, al XVII secolo. Oltre ai diversi rifacimenti dell’impianto viario, il cui andamento ha subito una leggera curvatura durante i lavori di ampliamento del battistero ad opera dei Benedettini, e la presenza di lacerti murari, è stato possibile individuare delle sepolture in giacitura primaria, precedenti alla strada più antica essendo coperte da quest’ultima, mentre di più difficile datazione sono quelle secondarie. Alcune di queste sembrano essere utilizzate per ca. due generazioni, mentre altre, che presentano ossa rideposte in modo accurato, sembrano essere più antiche per cronologia (Capano, A.: La Via Annia/Popilia e la viabilità preromana e romana ad essa connessa nell’area degli Alburni e del Vallo di Diano, in Ab Regio ad Capuam, Parte II, Ricerca archeologica e definizione del tracciato della Via ab Regio ad Capuam, pp. 95-118).
Come per il mausoleo di Caio Uziano Rufo (Il mausoleo di Caio Oziano Rufo a San Pietro di Polla (SA): un luogo da valorizzare), anche per il battistero di San Giovanni in Fonte sarebbe opportuna una costante manutenzione con conseguente valorizzazione di un’area che, per importanza storico-archeologica e per la sua posizione nel Vallo di Diano, si trovava insieme ai siti adiacenti, e non solo, ad essere parte di un crocevia tra la Lucania, la Campania e il Bruzio, il quale comprendeva anche fattorie e santuari rurali.
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