In località Fonti, presso Padula (SA), si trova un gioiello paleocristiano. Il battistero di San Giovanni in Fonte è, infatti, uno dei più antichi d’Occidente. L’area interessata era un tempo chiamata Marcellianum, forse da Papa Marcello I, borgo suburbano di Consilinum e probabilmente di epoca costantiniana, abbandonata dagli abitanti che fuggivano dalle scorrerie saracene con la conseguente fondazione di Padula. Marcellianum era il luogo di una fiera che si teneva annualmente il 26 di settembre in onore di San Cipriano.

L’esterno del battistero come si presenta oggi, ph. Chiara Lombardi (agosto 2021)

Il battistero era in epoca antica molto importante, come sappiamo da una lettera del 527 d.C. del ministro e consigliere di Atalarico, Aurelio Flavio Cassiodoro (Variae VIII, 33), che ci informa di questa fiera che richiama genti dalla Lucania, dall’Apulia, dal Bruzio, dalla Campania e dalla Calabria.

La fonte battesimale, ph. Chiara Lombardi (agosto 2021)

Cassiodoro ci informa anche che durante il periodo pasquale la fonte battesimale veniva totalmente riempita di acqua, un miracolo che accoglieva molti proseliti. Fu forse l’esistenza di una fonte perenne, che in primavera inondava da sola l’area, ad essere artefice della scelta dell’impianto per il battistero. In questo modo, durante la notte di Pasqua avveniva il “miracolo” salutato da molti fedeli.

Leucothea, Jean Jules Allasseur (1862), Museo del Louvre, ph. Jastrow (Opera propria), Pubblico dominio,
https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2452660

 

Il primo nucleo del battistero, databile tra il VI e il VII secolo d.C., si impianta su un ninfeo precristiano dedicato alla “dea che scorre sulla schiuma del mare” Leucotea, e ne ingloba la vasca (poi battesimale), le gallerie laterali e l’ambiente absidato occidentale. La seconda fase risale all’epoca normanna quando, nell’XI secolo, il battistero viene donato ai Benedettini di Venosa dal primo conte normanno di Marsico, Rinaldo Malaconvenienza. In questo periodo la struttura diventa a pianta basilicale con tre navate e un piano superiore, tradendo la probabile nuova funzione, non più solo di fonte battesimale ma anche convento. Una terza fase è ascrivibile al XV secolo quando i Cavalieri di Malta, che hanno la gestione dell’area per ordine di Bonifacio VIII già dal 1297, fanno ristrutturare l’edificio a seguito, forse, del terremoto del 1456.

 

L’ultima fase della costruzione, tra il XVII e il XIX secolo, prevede la costruzione di un portico e dei contrafforti, e l’innalzamento del piano pavimentale a causa del non controllo dell’acqua. Essendo parte del demanio regio dall’epoca napoleonica, l’area diventa proprietà dei Borboni che la la donano alla Certosa di Santo Stefano al Bosco nel 1852, ma di fatto sotto l’amministrazione della Certosa di Padula. La chiusura della Certosa nel 1866 e l’allontanamento dei monaci, decreta l’abbandono e il degrado di quella che per secoli fu un’area importante anche per sembra essere uno dei battisteri più antichi d’Occidente. Nell’ambiente ovest è ancora presente l’altare e si possono notare i resti degli affreschi. Dei frammenti rappresenterebbero i Quattro Evangelisti, e andrebbero datati per stile realistico all’epoca tardo-romana e al periodo imperiale del V-VI sec. d.C. Altri rappresenterebbero due teorie di santi che forse affiancavano la figura centrale di Cristo.

Resti di affresco con teoria di santi, ph. Chiara Lombardi (agosto 2021)

 

Scavi recenti hanno rinvenuto nell’area nord del battistero un edificio connesso ad esso e accanto un impianto stradale con andamento nord ovest-sud est che costeggia la collina e che nella parte centrale è parzialmente danneggiato. Le diverse indagini dell’impianto stradale hanno individuato tre fasi, di cui la più antica è di II-I sec. a.C. come testimoniano sia la diversa realizzazione rispetto alle precedenti sia la presenza di una moneta di Giano bifronte sul recto e una prua sul verso; la seconda presumibilmente è di epoca medievale, ma non meglio databile a causa della mancanza di dati; la terza, per il rinvenimento di una moneta presumibilmente di Filippo IV è da ricondursi, almeno per la frequentazione, al XVII secolo. Oltre ai diversi rifacimenti dell’impianto viario, il cui andamento ha subito una leggera curvatura durante i lavori di ampliamento del battistero ad opera dei Benedettini, e la presenza di lacerti murari, è stato possibile individuare delle sepolture in giacitura primaria, precedenti alla strada più antica essendo coperte da quest’ultima, mentre di più difficile datazione sono quelle secondarie. Alcune di queste sembrano essere utilizzate per ca. due generazioni, mentre altre, che presentano ossa rideposte in modo accurato, sembrano essere più antiche per cronologia (Capano, A.: La Via Annia/Popilia e la viabilità preromana e romana ad essa connessa nellarea degli Alburni e del Vallo di Diano, in Ab Regio ad Capuam, Parte II, Ricerca archeologica e definizione del tracciato della Via ab Regio ad Capuam, pp. 95-118).

 

Come per il mausoleo di Caio Uziano Rufo (Il mausoleo di Caio Oziano Rufo a San Pietro di Polla (SA): un luogo da valorizzare), anche per il battistero di San Giovanni in Fonte sarebbe opportuna una costante manutenzione con conseguente valorizzazione di un’area che, per importanza storico-archeologica e per la sua posizione nel Vallo di Diano, si trovava insieme ai siti adiacenti, e non solo, ad essere parte di un crocevia tra la Lucania, la Campania e il Bruzio, il quale comprendeva anche fattorie e santuari rurali.

 

Photo gallery:

Esterno, con dettaglio del basamento e dei rifacimenti, ph. Chiara Lombardi (agosto 2021)
Veduta esterna dell’altare e resti di affreschi, ph. Chiara Lombardi (agosto 2021)
Altra veduta della fonte battesimale, ph. Chiara Lombardi (agosto 2021)
Innalzamento del piano pavimentale nella fase di XIX sec., ph. Chiara Lombardi (agosto 2021)
L’altare e resti di affreschi, ph. Chiara Lombardi (agosto 2021)
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Chiara Lombardi

Laureata in Archeologia Orientale presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” con una tesi magistrale in Archeologia Egiziana dal titolo “Iside nei testi funerari e nelle tombe del Nuovo Regno: iconografia e ruolo della dea tra la XVIII e la XIX dinastia” (2013), ha conseguito un master di primo livello in “Egittologia. Metodologie di ricerca e nuove tecnologie” presso la medesima Università (2010-2011). Durante il master ha sostenuto uno stage presso il Museo Egizio de Il Cairo per studiare i vasi canopi nel Nuovo Regno (2010). Ha partecipato a diversi scavi archeologici, tra i quali Pompei (scavi UniOr – Casa del Granduca Michele, progetto Pompeii Regio VI, 2010-2011) e Cuma (scavi UniOr – progetto Kyme III, 2007-2017). Inoltre, ha preso parte al progetto Research Ethiopic language project: “Per un nuovo lessico dei testi etiopici”, finanziato dall’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente e dal progetto PRIN 2005 “Catene di trasmissione linguistica e culturale nell’Oriente Cristiano e filologia critico testuale. Le problematiche dei testi etiopici: testi aksumiti, testi sull’età aksumita, testi agiografici di traduzione” (2006-2007). Ha collaborato ad un progetto educativo rivolto ai bambini della scuola primaria per far conoscere, attraverso sperimentazioni laboratoriali, gli usi e i costumi dell’antico Egitto e dell’antica Roma (2014-2015). È stata assistente di ricerca presso la Princeton University (New Jersey) per “The Princeton Ethiopian, Eritrean, and Egyptian Miracles of Mary digital humanities project (PEMM)” (2020-2021). Ricercatrice indipendente, attualmente è anche assistente di ricerca per il Professor Emeritus Malcolm D. Donalson (PhD ad honorem, Mellen University). Organizza e partecipa regolarmente a diverse attività di divulgazione, oltre a continuare a fare formazione. Collabora con la Dott.ssa Nunzia Laura Saldalamacchia al progetto Nymphè. Archeologia e gioielli, e con la rivista MediterraneoAntico, occupandosi in modo particolare di mitologia. Appassionatasi alla figura della dea Iside dopo uno studio su Benevento (Iside Grande di Magia e le Janare del Sannio. Ipotesi di una discendenza, Libreria Archeologica Archeologia Attiva, 2010), ha condotto diversi studi sulla dea, tra cui Il Grande inno ad Osiride nella stele di Amenmose (Louvre C 286) (Master di I livello in “Egittologia. Metodologie di ricerca e nuove tecnologie”, 2010); I culti egizi nel Golfo di Napoli (Gruppo Archeologico Napoletano, 2016); Dal Nilo al Tevere. Tre millenni di storia isiaca (Gruppo Archeologico Napoletano, 2018 – Biblioteca Comunale “Biagio Mercadante”, Sapri 2019); Morire nell’antico Egitto. “Che tu possa vivere per sempre come Ra vive per sempre” (MediterraneoAntico 2020); Il concepimento postumo di Horus. Un’ analisi (MediterraneoAntico 2021); Osiride e Antinoo. Una morte per annegamento (MediterraneoAntico 2021); Culti egiziani nel contesto della Campania antica (Djed Medu 2021); Nephthys, una dea sottostimata (MediterraneoAntico 2021). Sua è una pubblicazione una monografia sulla dea Iside (A history of the Goddess Isis, The Edwin Mellen Press, ISBN 1-4955-0890-0978-1-4955-0890-5) che delinea la sua figura dalle più antiche attestazioni nell’Antico Regno fino alla sua più recente menzione nel VII d.C. Lo studio approfondisce i diversi legami di Iside in quanto dea dell’Occidente e madre di Horus con alcune delle divinità femminili nonché nei cicli osiriaco e solare; la sua iconografia e le motivazioni che hanno portato ad una sempre crescente rappresentazione della dea sulle raffigurazioni parietali delle tombe. Un’intera sezione è dedicata all’onomastica di Iside provando a delineare insieme al significato del suo nome anche il compito originario nel mondo funerario e le conseguenti modifiche. L’appendice si sofferma su testi e oggetti funerari della XVIII dinastia dove è presente la dea.

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