Al confine tra Campania e Basilicata, tuffato tra i panorami dei Monti Dauni e dell’Irpinia, c’è un luogo incantato dove passato e futuro si incontrano senza scontrarsi e si integrano in un unicum dal deciso sapore di Puglia.
A sorvegliare questo luogo vi è infatti un castello cinquecentesco davvero unico ideato da Francesco di Giorgio Martini, un sodale di Leonardo da Vinci, ma il piccolo borgo ha ottenuto anche il Certificato Ambientale UNI EN ISO 14001:20014 – n.13313, grazie alle politiche messe in campo per lo sfruttamento delle energie rinnovabili. Antico e nuovo si fondono e creano suggestioni e stupore nei visitatori che si aggirano tra vicoli all’ombra di chiese, castelli e palazzi signorili, riscoprendo tradizioni millenarie grazie a mani sapienti che le portano in strada durante le feste di paese, condividendo i segreti di un’arte culinaria ricca di sapori e prodotti genuini.
Siamo a Rocchetta Sant’Antonio capitale dei piccoli comuni europei, in provincia di Foggia, dove il territorio dei Monti Dauni si lascia attraversare dai confini politici di più regioni e si frammenta in dolci colline che degradano verso il Golfo di Manfredonia, nel Mar Adriatico.
Qui Ladislao D’Aquino, consigliere di Federico d’Aragona, fece erigere e inaugurò nel 1507 il maniero che ancora oggi porta il suo nome. Probabilmente non vi era alcuna necessità di una fortificazione del genere: la sua costruzione fu dettata più dal desiderio di sfoggiare un vero e proprio gioiello dell’architettura, che non da reali necessità difensive. Il genio del già citato Francesco di Giorgio Martini ideò quindi una fortezza con una torre di forma ogivale, del tutto simile allo scafo di una nave, che rese fin da subito unica la sua forma richiamando gli antichi velieri che solcavano i mari portando l’uomo oltre il già noto.
A Rocchetta Sant’Antonio vi è un altro castello che racconta una storia ben più antica, quando il borgo era linea di confine tra Bizantini e Normanni, al punto che la sua costruzione è di incerta attribuzione: la Rocca di Sant’Antimo per alcuni sarebbe stata costruita dai Bizantini tra il X e l’XI secolo, per altri invece furono i Normanni nel 1050 o nel 1083, a seconda delle ipotesi proposte dagli studiosi.
La sua struttura è meno imponente del castello voluto da Ladislao D’Aquino, ma la storia che racconta è intensa e ricca di emozioni, fatta di scontri dagli esiti incerti, in un riequilibrio politico tra Oriente e Occidente che mai ha trovato un punto d’incontro stabile e saldo.
Il terribile sisma del 1456 rase al suolo quasi per intero la Rocca che non fu mai ricostruita ed è giunta fino a noi in condizioni di rudere, con una sola delle quattro torri presenti in origine restaurata nel 2006.
Come sempre avviene nei piccoli borghi è praticamente impossibile individuare una dicotomia netta tra sacro e profano, tra fede e laicità, tra religione e politica, perché sono aree culturali in cui questo magma indistinto prende forma e diventa tradizione. E i luoghi dove per eccellenza le tradizioni prendono corpo e diventano parte integrante della vita stessa dei borghi sono le chiese, i loro santi e le loro sante, che in un passato più o meno remoto hanno cambiato il corso della storia compiendo atti prodigiosi.
A Rocchetta Sant’Antonio il prodigio l’ha fatto uno dei santi più conosciuti e “pregati”, Sant’Antonio Abate, nato nel cuore di un Egitto ormai provincia romana da quasi tre secoli, ma ancora profondamente legato alle sue antichissime tradizioni pagane, nelle quali il primo Cristianesimo ha trovato ampie assonanze e si è diffuso, producendo figure spirituali di primissimo piano. Secondo quanto si narra sarebbe apparso alle truppe nemiche con delle torce di fuoco in mano, mettendole in fuga e diventando quindi difensore della città, che nel giorno a lui dedicato – il 17 gennaio – gli tributa onori e gloria senza soluzione di continuità da tempo immemore con festeggiamenti che prendono il via dal giorno precedente, con enormi falò organizzati dai vari quartieri del piccolo comune in una gara del bello.
Neppure il podestà, messo al potere dal regime fascista, riuscì ad impedire che il ricordo del fuoco venisse meno. E quando il sindaco venne eletto tra le fila del Partito Comunista e ricevette la scomunica dalla Santa Sede, la festa in onore del difensore della città fu celebrata lo stesso, nonostante il sindaco fosse parte integrante del rito, dovendosi poi recare in chiesa accompagnato dai suoi concittadini.
La Chiesa Matrice, cuore pulsante del borgo, dedicata in origine al santo egiziano e successivamente all’Assunzione della Beata Maria Vergine, si presenta baroccheggiante con un forte richiamo all’Oriente dato dal campanile con torre ottagonale e la cuspide splendidamente maiolicata. Al suo interno vi sono opere di pregevole fattura come la pala cinquecentesca della Madonna del Cardellino di scuola Toscana attribuita al Giaquinto, l’Ecce Homo di Nicola Brudaglio – considerato il suo capolavoro – e alcune tele di scuola napoletana.
Il borgo che si sviluppa intorno alla Chiesa Matrice offre uno spettacolo fatto di dettagli architettonici frutto di un lavoro eseguito con passione e con amore del luogo in cui si vive, che ci accoglie: volte, stipiti e colonne sono arricchiti dal lavoro di mani esperte che hanno saputo vedere nella pietra il ricamo di una stoffa.
Ma Rocchetta Sant’Antonio rapisce il visitatore non solo dall’interno, ma anche dal suo pacifico e silenzioso “esterno”. Campi di grano ed ettari di macchia mediterranea attraversati dall’Ofanto, fiume altrettanto silenzioso e pacifico che pare prendere vita in occasione di un rapido dislivello, che talvolta diventa cascata altre volte un guado. Un fiume che i romani chiamavano Aufidus e dove costruirono in epoca imperiale un piccolo porto fluviale e un abitato i cui resti ancora oggi sono visibili.
Un’altra bellissima realtà che riguarda non solo questo splendido borgo, sono le associazioni che si occupano della promozione del territorio. L’occasione per vivere alcuni giorni in questa splendida regione è stata offerta a me e ad un gruppo di giornalisti da “Edumotional”, il progetto ideato dall’associazione Inchiostro da Bere, finanziato dalla Regione Puglia, mentre la visita a Rocchetta Sant’Antonio è stata possibile grazie alla collaborazione dell’Associazione LiberaMente.
Davvero un’Apulia Felix!