Inaugurato lo scorso 14 dicembre a Ferrara, il MEIS, il Museo nazionale dedicato alla storia e alla vita ebraica, percorre l’esperienza singolare degli Ebrei italiani, da secoli tessuto del nostro Paese. Il MEIS, inoltre, è stato fortemente voluto nel 2003 dal Parlamento racconta Dario Franceschini: “Nel 2003, con una proposta di legge firmata da tutti i capigruppo di maggioranza e di opposizione, e poi con voto unanime del Parlamento – evento raro e prezioso -, lo Stato italiano decise di istituire il MEIS per dare al paese un luogo che raccontasse la storia dell’ebraismo e della Shoah, idea nata da un confronto, qui a Ferrara, tra me, Vittorio Sgarbi e Alain Elkann.
E proprio a Ferrara il MEIS doveva sorgere, perché la città è profondamente legata alla propria comunità ebraica, vanta una tradizione di apertura verso gli ebrei ed è tuttora, nell’immaginario collettivo, il luogo del “Giardino dei Finzi-Contini” e di Giorgio Bassani, che nel ghetto insegnava ai bambini espulsi dalle scuole con le leggi razziali e le cui spoglie sono ospitate in quel luogo magico e sospeso che è il cimitero ebraico. A Ferrara l’ebraismo si respira nelle strade, nelle pietre, nella cucina e ora al MEIS, con un racconto cronologico che accompagnerà l’intero progetto museale, integralmente finanziato dal MiBACT. E con il MEIS nasce un luogo importante per i ragazzi, per le scuole, e per tutte le persone che sanno molto poco della millenaria storia dell’ebraismo italiano e di quanto l’Italia deve agli ebrei. Un luogo di grande attrazione internazionale e di conoscenza, che con l’educazione è l’antidoto più formidabile alla paura della diversità, dello straniero, di tutto ciò che sentiamo lontano da noi”.
Il Museo apre al pubblico con un percorso espositivo intitolato “Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni”, in una città come Ferrare dove forte è stata ed è la presenza ebraica. Lo spettatore, quindi, avrà modo di fare un viaggio a ritroso nel tempo e scoprire così i primi mille anni dell’Italia ebraica attraverso un racconto ricco, curato da Anna Foa, Giancarlo Lacerenza e Daniele Jalla, con l’allestimento dello studio GTRF di Brescia. In esposizione vi sono oltre duecento oggetti preziosi, fra i quali venti manoscritti, sette incunaboli e cinquecentine, diciotto documenti medievali, quarantanove epigrafi romane e medievali, centoventuno tra anelli, monili, sigilli, monete e lucerne, quasi inediti e mai esposti fino ad ora, provenienti dai più grandi musei del mondo. Le sorprese non finiscono qui. Il MEIS propone anche lo spettacolo multimediale “Con gli occhi degli Ebrei italiani”, un’introduzione al progetto scientifico del museo e la riapertura del grande edificio restaurato di via Piangipane, nel centro storico di Ferrara, che fino al 1992 ospitava le carceri della città ed ora torna ad essere uno spazio libero e creativo.
L’importanza del museo va oltre la ricca collezione che ospita per l’evento espositivo. Pur essendo gli Ebrei una minoranza in Italia, pare non si siano superate mail le 50.000 unità, il loro ruolo è da considerarsi assolutamente primario già a partire dall’epoca romana e successivamente poi nelle varie tappe della storia italiana fino ai nostri giorni, senza dimenticare la terribile tragedia della Shoa.
Il messaggio della mostra? “La nostra generazione – dice Jalla – non ha più fiducia nella storia come maestra di vita, ma la vede semmai come esperienza che ci aiuta a riflettere e a porci degli interrogativi. Ecco, speriamo sia questo l’effetto che la mostra produrrà nel visitatore, oltre alla curiosità di saperne di più. Al fondo c’è la questione del rapporto tra le società maggioritarie e le minoranze. Il modello classico è duale: assimilazione ed eliminazione, che portano alla scomparsa delle minoranze. Invece al MEIS viene indicata una terza via: l’integrazione e la volontà ferma e costante di una minoranza di non farsi assimilare. Del resto, nella trama, nella missione del MEIS ci sono due valori: il riconoscimento dell’altro nella sua differenza e il rispetto reciproco. Non è la morale della mostra, ma ci auguriamo che questo sia il pensiero con cui il pubblico ne uscirà, partendo dal passato per riflettere sul presente”.
I curatori hanno dato forma ad un progetto originale ed esperienziale che si apre con la visione delle aree di origine del popolo ebraico e delle sue diaspore (la penisola siro-arabica, la Mesopotamia, Canaan e la Terra d’Israele, l’Egitto) fra Israele e la conquista romana della Giudea, dal XII secolo a.C. al 70 d.C. In primo piano, alla fine di questa parte introduttiva, è Gerusalemme, nel tragico momento della distruzione del Secondo Tempio.
Di qui si passa alla Roma dell’età imperiale e della tarda antichità, per rimarcare anche che la presenza ebraica a Roma è l’unica, nella diaspora occidentale, a essere durata senza interruzione dal II secolo d.C. ad oggi.
L’itinerario continua con la transizione dall’impero pagano a quello multi-religioso e infine cristiano, fino all’accettazione della presenza ebraica, sia pure in un clima pervaso da un crescente antigiudaismo, sotto papa Gregorio Magno (590-604). Non seguendo più un ordine cronologico, ma geografico, ha poi inizio un viaggio nell’Italia antica, alla scoperta di come, oltre che nell’Urbe, l’ebraismo abbia preso piede e si sia sviluppato in maniera rigogliosa soprattutto nell’Italia del sud e nelle isole.
Qui, sebbene la presenza ebraica sia documentata archeologicamente solo a partire dal IV-V secolo, diverse fonti ne provano l’origine nella prima età imperiale, sia fra le altre presenze “orientali”, sia come effetto delle deportazioni del I e del II secolo dalla Giudea. Da sud a nord, il percorso espositivo si snoda lungo tutta la penisola, dalla Puglia sino al Friuli toccando la Sicilia, la Calabria, la Basilicata, la Campania, la Sardegna, l’Emilia-Romagna e la Lombardia.
Al termine di questo viaggio tra le comunità ebraiche della penisola, sono illustrate la diffusione, la varietà e la ricchezza culturale dell’Italia ebraica del Meridione nel periodo della sua massima fioritura, fra il VII e l’XI secolo, quando il “popolo del libro” ritrova l’uso dell’ebraico e lo dispiega in tutte le sue possibili manifestazioni: dalla copiatura dei manoscritti alla redazione di testi letterari o scientifici. Fra l’alternanza delle dominazioni longobarda, bizantina e musulmana, in questo periodo si fa, dunque, strada un’originale cultura ebraica “italiana” a tutto tondo.
Una storia dalla quale si evince che l’Italia è stata costruita anche con gli Ebrei e dagli Ebrei. Che sono anticamente parte del tessuto e della ricchezza del nostro Paese, essendo giunti in Italia ben prima dei longobardi, dei normanni, dei franchi e degli spagnoli. Che hanno combattuto nelle guerre italiane, per il Risorgimento e per la liberazione. Che hanno sempre lavorato per fecondare questa terra, non a caso in ebraico chiamata I-Tal-Ya, “l’isola della rugiada divina”. A fare significativamente da cornice al racconto è il MEIS, il primo museo italiano sui rapporti tra minoranze e maggioranze. In una sorta di contrappasso, è sorto dalla ristrutturazione dell’ex-carcere di Ferrara: quello che nel Novecento è stato un luogo di segregazione e di esclusione, in particolare negli anni bui del fascismo (con la detenzione di oppositori di regime e di cittadini di origine ebraica, fra i quali Giorgio Bassani), si è trasformato in un centro di cultura, ricerca, didattica, dialogo e inclusione.
Tutto questo avviene a Ferrara, individuata come sede ideale del MEIS perché della presenza ebraica sono permeate le sue vie, la sua storia e le sue tradizioni, come avviene solo in pochi altri luoghi al mondo.