Non so se avete mai provato a digitare il termine “gladiatrice” sul vostro cellulare. Io l’ho fatto, per curiosità e mi sono accorta che il correttore automatico cercava, a tutti i costi, di segnalarmi che la parola era errata, suggerendo il termine maschile “gladiatore”. Il telefono, come tutti i computer, può sbagliare. Le gladiatrici sono esistite, eccome e la storia ci ha lasciato numerose tracce della loro esistenza.
Stiamo parlando di donne dalla tempra d’acciaio, forgiate nel corpo e nello spirito per uno sport tanto difficile quanto pericoloso. Per prima cosa facciamo chiarezza sul termine. “Gladiatore”, infatti, deriva da “gladio”, termine con cui si designava la spada con cui questi uomini e queste donne combattevano nell’arena. Si tratta di un’arma piuttosto maneggevole, piccola e con la lama particolarmente tagliente e appuntita.
Gli studiosi hanno scoperto che i combattimenti tra gladiatori non sono un’invenzione romana, bensì etrusca: vi sono, infatti, scene di combattimenti rappresentate su sarcofagi e tombe come, per esempio, la “Tomba degli ‘Auguri”, a Tarquinia, scoperta nel 1878, la cui decorazione risale al periodo fra il 540 e il 530 a.C. Su una delle pareti del sepolcro si trova Phersu, un personaggio che indossa una maschera e tiene al guinzaglio un cane che sta per aggredire un altro personaggio con la testa nascosta in una sorta di cappuccio. I risultati delle ricerche vedono in questa scena una lotta tra gladiatori “ante litteram”.
Il primo spettacolo di gladiatori a Roma ebbe luogo intorno al 264 a.C. e si dovette aspettare l’arrivo dell’imperatore Costantino I (imperatore dal 306 al 337), perché la pratica dei combattimenti fosse proibita. I gladiatori potevano essere uomini liberi o schiavi oppure ancora dei prigionieri o dei condannati, professionisti o dilettanti. Molto spesso erano personaggi particolarmente in vista a offrire spettacoli di questo tipo durante particolari ricorrenze o festività (“munera gladiatoria”).
I gladiatori, come possiamo immaginare, non erano addestrati solo da un punto di vista fisica, ma anche psicologico: il loro obiettivo era colpire, oltre che difendersi. Quando a essere impiegati erano delinquenti o schiavi che erano passati attraverso varie peripezie, lo spirito agonistico si mescolava con la ferocia in una vera e propria lotta per la sopravvivenza. Un combattimento che non lasciava indifferenti gli spettatori i quali, spesso, di dividevano in tifoserie rivali, incitando i loro beniamini.
I guerrieri sapevano di rischiare la vita; accettavano tutti i rischi della loro professione nel momento in cui entravano in una delle scuole per gladiatori, sottomettendosi, tramite giuramento, a un “lanista”, ovvero il proprietario della scuola stessa e, nella maggior parte dei casi, ex gladiatore. Egli valutava le loro abilità, i punti di forza e quelli deboli e si occupava di “cercare ingaggi”, come diremmo oggi, per i suoi allievi. Tra le scuole più famose vi era la “Ludus Magnus” proprio accanto al Colosseo, una vera e propria caserma voluta da Domiziano (imperatore dall’81 al 96). Non a caso queste scuole vengono definite “caserme”: vi si svolgeva, infatti, uno stile di vita spartano, basato sulla disciplina, l’impegno, il sacrificio e l’allenamento più duro.
Quando un gladiatore moriva in combattimento il suo lanista riceveva un indennizzo per la perdita e ogni guerriero apparteneva a una categoria precisa con un determinato equipaggiamento e uno “stile” di lotta. Per esempio vi erano i “Secutores”, cioè gli “inseguitori”, il cui compito era quello di, appunto, inseguire l’avversario protetti da armature pesanti. La loro tattica di combattimento prevedeva una grande agilità e una forza non comuni.
Si scontravano sempre le stesse categorie di gladiatori (i Secutores, per esempio, combattevano contro i Reziari, i quali indossavano un’armatura leggera e dovevano essere molto veloci per impedire agli avversari di raggiungerli). La questione del “pollice verso”, poi, è ampiamente dibattuta ancora oggi: Giovenale (50-607127) ce ne parla nelle Satire (compilate tra il 100 e il 127), ma recenti studi hanno evidenziato che, con ogni probabilità, il pollice verso non decretasse la morte del gladiatore, al contrario del pollice posto in orizzontale, se non addirittura verso l’alto.
Tutto questo valeva anche per le gladiatrici? Per la maggior parte sì. Forse non studiavano nelle stesse scuole dei gladiatori, in quanto destinate agli uomini, ma non vi sono prove che possano aiutarci a capire di più. Con ogni probabilità avevano degli istruttori (purtroppo non sappiamo se fossero uomini o donne) che si dedicavano a loro in palestre tutte al femminile. Le ipotesi in merito sono diverse, ma nessuna ha ancora trovato conferma. Nonostante i dubbi è, comunque, quasi sicuro che ricevessero una formazione piuttosto simile a quella dei “colleghi” maschi.
I combattimenti tra donne, inoltre, non dovevano essere così rari, dal momento che molti autori ne fanno cenno nelle loro opere: il già citato Giovenale non li amava, Svetonio (69-122), nelle “Vite dei Cesari” (119-122) ci informa di un avvenimento bizzarro: l’imperatore Domiziano avrebbe fatto combattere nell’arena delle donne contro dei nani, probabilmente per offrire al pubblico uno spettacolo “inusuale”.
Nel Satyricon 860 circa) Petronio (27-66) riporta il fatto secondo il quale anche Nerone avrebbe organizzato dei combattimenti tra gladiatrici. Oltre alle fonti letterarie vi sono anche delle prove archeologiche dell’esistenza delle gladiatrici. Una delle più importanti è il bassorilievo di Alicarnasso, conservato al British Museum e risalente al periodo tra il I e il II secolo d.C., in cui viene mostrato un combattimento proprio tra due donne.
Sull’iscrizione si leggono dettagli fondamentali per cercare di capire meglio il mondo delle gladiatrici: in primo luogo i nomi, “Amazzone” e “Achillea”, forse “nomi d’arte”. In secondo luogo il fatto che entrambe vennero “graziate”, ovvero il combattimento all’ultimo sangue fu interrotto prima della morte di una delle sfidanti: una sorta di “premio” per essersi battute valorosamente (missio). Le gladiatrici sono equipaggiate con uno scudo, una spada, gli schinieri (parte dell’armatura che protegge le gambe fino al ginocchio) e la manica (ovvero il parabraccio), ma non indossano tuniche, né elmi e, in effetti, gli studiosi concordano sul fatto che duellassero a seno nudo.
In effetti anche nell’Amazzonomachia, cioè la raffigurazione di battaglie tra le Amazzoni e gli eroi greci, si nota subito il dettaglio, per le donne, dei seni lasciati scoperti. Vi sarebbe, però, anche un’altra prova dell’esistenza delle gladiatrici: il ritrovamento, a Southwark (Londra), nel 2001, di uno scheletro femminile sepolto con una lucerna recante la raffigurazione di un gladiatore ucciso.
Gli archeologi ipotizzarono subito che si trattasse di una gladiatrice, ma ancora oggi non vi è alcuna certezza e il dibattito rimane aperto. È possibile, infatti, che la donna sepolta non avesse nulla a che fare con l’universo di queste antiche guerriere e che ci troviamo di fronte a una semplice coincidenza. Nel “Museum für Kunst und Gewerbein” di Amburgo è conservata una statua che, si suppone, raffiguri proprio una gladiatrice.
Purtroppo alcuni particolari della posa contribuiscono a gettare delle ombre sul vero significato dell’opera: la donna indossa un perizoma e una sorta di fascia intorno al ginocchio, tipica delle gladiatrici. La mano sinistra impugnerebbe una “sica”, cioè una piccola spada di origine tracia.
Gli archeologi, però, non sono del tutto convinti che si tratti di una gladiatrice e che in mano stringa proprio un’arma. Uno dei quesiti che si sono posti riguarda la mancanza, quasi totale, dell’armatura. Forse si voleva evidenziare il fatto che si trattasse di una donna? O, magari, riguarda un determinato tipo di combattimento o di allenamento in cui non era richiesta l’armatura? (Quest’ultima opzione è poco probabile). Per il momento non possiamo rispondere a queste domande; solo ulteriori ritrovamenti potrebbero dissipare le incertezze che ruotano attorno a queste antiche donne quasi sconosciute.
Sappiamo però, che si tentò di ostacolare i duelli femminili: nel 19 d.C. i legislatori dell’antica Roma emanarono una legge giunta fino a noi su una tavoletta di bronzo, la “Tavola di Larino”, in cui proibirono alle figlie, nipoti e pronipoti di senatori ed “equites”, che non avessero ancora raggiunto i venti anni, di partecipare ai combattimenti tra gladiatrici. Non solo: nel 200 d.C. fu Settimio Severo, con un editto, a cercare di cancellare definitivamente la figura della gladiatrice dall’immaginario collettivo. Impresa tutt’altro che semplice: al pubblico piaceva vedere questo tipo di scontri e, infatti, non bastò una decisione imperiale per farli cessare.
Potremmo dire che la figura della gladiatrice non fosse rara, che non destasse alcuno scandalo, benché fosse molto lontana dall’ideale femminile nella Roma antica. Non sappiamo davvero chi fossero le guerriere, ma vi sono buone probabilità che si trattasse, come nel caso degli uomini, di schiave, per esempio, benché non sia da escludere che siano esistite anche delle professioniste e delle donne libere.
Purtroppo la storia romana ci ha lasciato davvero poche tracce su cui indagare; accenni nelle fonti, scarsità di reperti archeologici costringono gli studiosi a fare congetture che, spesso, non possono essere confermate né smentite. Nell’immaginario collettivo si ricordano gli uomini che rischiarono la vita, troppe volte perdendola, nell’arena. Eppure vi furono anche delle donne che nulla ebbero da invidiare ai colleghi per quel che concerne audacia, coraggio, sprezzo del pericolo, preparazione fisica e intellettuale.
Il mondo delle gladiatrici fu pericoloso e affascinante quanto quello dei gladiatori. Chissà se, un giorno, queste guerriere riprenderanno il posto che spetta loro nella Storia di Roma.