Ci sono certi storiografi che riescono in poche righe a scolpire figure che rimangono impressionate, come su una lastra fotografica, nella mente del lettore.

Una di queste è senza dubbio Sempronia, così come ce l’ha raccontata lo storico Sallustio nella sua monografia “De Catilinae coniuratione”.

Poche sono le coordinate biografiche in nostro possesso relative alla figura della patrizia romana, appartenente, come si evince dal nomen, alla gens Sempronia, la stessa cui erano appartenuti i tribuni della plebe Tiberio e Caio Gracco e altri personaggi del patriziato romano.

Statua di Sempronia. Dal sito: https://galateavaglio.com/2020/09/20/sempronia-la-donna-che-danzava-sul-destino-di-roma/

Sappiamo poco di lei: sarebbe nata a Roma tra il 108 e il 103 a.C., era la moglie (la seconda, secondo alcune fonti) di Decimo Giunio Bruto, che fu console nel 77, e matrigna (altri dicono madre) di Decimo Giunio Bruto Albino, uno dei congiurati coinvolti nel complotto contro Cesare e, tra l’altro, protettore di Sallustio.

Potrebbe avere avuto un ruolo attivo nella congiura di Catilina, ma non ne abbiamo contezza. Viene citata, però, come elemento gravitante attorno al mondo di Catilina, lei stessa forse partecipe del progetto del nobile romano, finalizzato a destabilizzare le istituzioni repubblicane inizialmente anche con l’appoggio di Cesare, che poi si sfilò in tempo per non essere coinvolto direttamente. Certo è che Cicerone non la citò nelle sue orazioni “In Catilinam” e questo deporrebbe ulteriormente nella direzione o di un suo non coinvolgimento nella congiura o di una sua posizione contigua, ma fondamentalmente irrilevante. O ancora, forse, di un sostanziale disprezzo dell’Arpinate nei confronti di questo tipo di donna non esattamente univira, assai simile alla Clodia contro cui si era scagliato nell’orazione “Pro Caelio”: corrotta e viziosa, non aliena da relazioni occasionali, eppure in fondo intrigante e affascinante. Posizione ambigua che, come vedremo, Cicerone condivide con Sallustio a proposito di Sempronia, tanto da suscitare persino la gelosia della moglie Terenzia.

Ma ecco cosa dice il grande storico di Amiternum:

Fra quelle c’era Sempronia che spesso aveva commesso misfatti (o azioni) di un’audacia virile.

Questa donna fu piuttosto fortunata sia per la classe sociale cui apparteneva, sia per il suo aspetto fisico, sia per il marito ed i figli; conosceva bene il greco e il latino, era abile nel suonare la cetra e sapeva danzare più elegantemente di quanto fosse necessario ad una donna onesta e sapeva fare molte altre cose che sono strumenti della lussuria.

Sempre apprezzò tutte le cose eccetto il decoro e la pudicizia; tu non avresti capito facilmente se lei fosse più prodiga del denaro o della reputazione; il suo desiderio era così acceso che chiedeva agli uomini più di quanto le fosse chiesto.
Ma spesso, prima d’ora, non aveva rispettato la promessa d’amore, aveva negato di aver ricevuto dei prestiti e si era macchiata di un delitto, la lussuria e la povertà l’avevano rovinata.
Ma la sua intelligenza non era spregevole: poteva comporre poesie, far ridere con battute, utilizzare un linguaggio ora semplice, ora languido, ora sfrontato. Insomma in lei c’erano molta arguzia e molto fascino.

Sallustio. Immagine dal sito https://grecolatinovivo.blog/2020/04/17/tra-vita-e-storia/

Sed in iis erat Sempronia, quae multa saepe virilis audaciae facinora commiserat. Haec mulier genere atque forma, praeterea viro liberis satis fortunata fuit; litteris Graecis, Latinis docta, psallere saltare elegantius quam necesse est probae, multa alia, quae instrumenta luxuriae sunt. Sed ei cariora semper omnia quam decus atque pudicitia fuit; pecuniam famae minus parceret, haud facile discerneres; lubido sic accensa, ut saepius peteret viros quam peteretur. Sed ea saepe antehac fidem prodiderat, creditum abiuraverat, caedis conscia fuerat: luxuria atque inopia praeceps abierat. Verum ingenium aius haud absurdum: posse versus facere, iocum movere, sermone uti vel modesto vel molli vel procaci; prorsus multae facetiae multusque lepos inerat.
(De Catilinae coniuratione, XXV)

Il testo risponde alla tipologia del ritratto sallustiano e non a caso è stato accostato a quello del capo della congiura, Lucio Sergio Catilina. Nel caso di Catilina, Sallustio aveva enfatizzato l’estrema corruzione dell’uomo, sottolineandone le origini sociali (nobili genere natus), la sua sfrenatezza, la sua volontà di scardinare le istituzioni romane, ma anche la sua capacità di sopportare il freddo e le veglie e la sua estrema forza d’animo e di corpo, che portò Sallustio a raccontare con accenti di malcelata ammirazione la morte a Pistoia del nobile romano. Una morte da eroe, tra l’altro.

La scoperta del corpo di Catilina dopo la Battaglia di Pistoia. https://commons.wikimedia.org/wiki/File:The_discovery_of_the_body_of_Catiline_after_the_Battle_of_Pistoia_(1871),_by_Alcide_Segoni.jpg

Alla stessa maniera l’incipit insiste sulle azioni (facinora) di “virile audacia” di Sempronia. E già l’attacco pone la patrizia romana sotto una luce che potrebbe avere anche connotazioni positive come, alla stessa maniera, negative: “facinora” significa “delitti”, ma anche generiche “azioni” (trattandosi di vox media), e però la “virile audacia” mal si coniuga con l’idea di femminilità che allignava nella società romana. La parola “audacia” poi è anch’essa vox media (quante voces mediae in così breve spazio!) e possiede, quindi, sfumature semantiche positive e negative: può significare “sfrontatezza” (in negativo) ma anche “coraggio” (specie in ambito politico) tanto più perché viene connotata come “maschile”.

Segue la descrizione della bellezza di Sempronia, fortunata per il suo fascino naturale ma anche per la nascita, il marito e i figli. Perché queste sono le doti indispensabili di una matrona per Sallustio: Sempronia è una donna “fortunata” perché non le manca niente (nascita, famiglia, bellezza). Lo storico prosegue asserendo che la donna era anche colta perché sapeva di letteratura greca e latina. I Romani non condannavano la cultura nelle loro matrone, ma censuravano l’ostentazione della loro preparazione culturale perché le avrebbe messe in una sgradevole centralità avversa alla tradizionale modestia e forse anche in situazioni da cui una donna perbene avrebbe dovuto tenersi lontana. Dopo aver sottolineato il sapere della donna “docta”, lo storico afferma che sapeva (e anche qui era “docta”) suonare e cantare (psallere e cantare) meglio di quanto si addicesse ad una donna “onesta”.

I due infiniti del testo, retti dal participio “docta”, sono di per sé una condanna: “psallere”, infatti, è un grecismo. Probabilmente Sallustio usa questo verbo con intenti dispregiativi, dal momento che suonare strumenti musicali era un divertimento che non apparteneva alla tradizione romana e che si era imposto proprio tra quella gioventù istruita ed ellenizzata colpevole della corruzione degli antiqui mores romani. E anche Orazio non amava i danzatori e i cantanti. Ma Sempronia andava anche oltre: conosceva perfettamente molte altre cose che sono strumenti di lussuria, di seduzione, inadatte al suo ruolo di moglie e madre. Era, insomma, una donna corrotta anche nei comportamenti sessuali.

Una donna come lei a cui, stando a Sallustio, mancavano il senso del decoro e del pudore, sembrando indifferente alla reputazione e al guadagno, non importava di corrispondere allo stereotipo della matrona. Si era anche indebitata e probabilmente questa era una delle cause della sua contiguità alla congiura di Catilina (ricordiamo che anche il nobile romano aveva una difficile situazione economica). Era incline alla libera sessualità nonostante fosse una donna sposata, ma alla fine non pagò la sua vicinanza a Catilina (di cui verosimilmente era amica, ma non amante) con una condanna o una pena qualsivoglia. Il che ci riporta all’interrogativo precedente, relativo al vero o supposto ruolo di Sempronia, che potrebbe essere stata solo strumento dell’ideologia sallustiana e non attrice di ruolo in un momento storico di tale complessità.

Ma proseguiamo nell’analisi testuale: Sempronia, continua Sallustio, era animata da un desiderio sessuale così acceso che cercava gli uomini più di quanto gli uomini cercassero lei. Si era abbandonata ad incontri occasionali tradendo (l’ignaro?) marito e si era indebitata (“praeceps abire” significa letteralmente “finire a testa in giù”), come Catilina e i suoi complici, tra cui alcune donne che, non potendo più prostituire il proprio corpo a causa dell’età e però amando il lusso, erano precipitate in una grave situazione debitoria (op. cit., cap. XXIV). Si era inoltre macchiata di complicità in un delitto. Quale delitto? Sallustio non specifica. Forse non ne aveva sicura contezza? O riportava solo sospetti, chiacchiere? E straordinario a livello retorico appare l’utilizzo dell’omoteleuto per sottolineare la corruzione della donna e l’abisso morale ed economico in cui era precipitata per l’amore per il lusso (prodiderat…abiuraverat…fuerat…abierat).

Eppure non aveva un ingegno spregevole – e qui Sallustio utilizza la litote per sfumare il significato e sminuirne la positività-, poiché sapeva scherzare con garbo, esprimersi in modi diversi (sintomo di raffinate capacità dialettiche), e aveva grazia e arguzia. E qui il poliptoto multae…multus sottolinea, questa volta limpidamente, le qualità positive della donna, dovute ad un’intelligenza acuta e brillante.

Ecco che la figura di Sempronia acquista nell’ultima parte persino dei connotati positivi anche agli occhi di un moralista come Sallustio. Indice di una segreta ammirazione per la donna e di una fascinazione a cui evidentemente neanche lui sapeva o poteva sottrarsi. A questa suggestione, però, ne aggiungerei anche una politica: Decimo Giunio Albino, figlio di Sempronia, fu il patronus di Sallustio, amico del tribuno della plebe Publio Clodio Pulcro e, tra l’altro, uno dei cesaricidi (fu lui a terza pugnalata, sul fianco, a Cesare). Questo potrebbe spiegare l’ambiguità del ritratto e la solo parziale condanna morale della donna.

La morte di Cesare. opera di Vincenzo Camuccini dipinta tra il 1804 e il 1805. Napoli, Museo di Capodimonte.
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Vincenzo_Camuccini_-_La_morte_di_Cesare.jpg

Solo lo storico latino ci parla della partecipazione della patrizia romana al progetto sovversivo di Catilina, ma ciò non è dato che di per sé fornisce elementi dirimenti di giudizio: è possibile che in un periodo in cui la partecipazione femminile ad attività maschili era gravemente censurata quando non apertamente condannata (ricordiamo la “stranezza” di Ortensia, che parlò in pubblico emulando le gesta oratorie del padre, il grande Quinto Ortensio Ortalo), una donna come Sempronia fosse emarginata dalla rappresentazione letteraria e dal ricordo collettivo, perché indegna di incarnare i valori del mos maiorum legati alla sfera femminile. Non era sicuramente, se dobbiamo attenerci alla descrizione che ce ne dà Sallustio, un paradigma di virtù femminili come Lucrezia o Cornelia, la madre dei Gracchi. Donne, quelle, che sapevano stare al loro posto (la casa) e limitarsi alle cure parentali e alla filatura della lana, almeno nell’immagine che spesso si dà della donna romana di età monarchica e repubblicana, più aperta all’esterno rispetto a quella ateniese, ma pur sempre sottoposta al controllo del padre e poi del marito. Non una semplice macchina riproduttiva, ma anzi una trasmettitrice di saperi e di memorie che trovavano il loro spazio nella casa e nella funzione pedagogica attribuita non solo al pater familias, ma anche a lei, la mater familias.

Sempronia nell’immaginario sallustiano e, ancor più, ciceroniano, poteva anche non essere una figura poco incisiva (sebbene anche questa potrebbe essere una chiave di lettura), quanto una figura da emarginare perché pericolosa ai fini sociali, in quanto diversa e destabilizzante.

Ricordiamo, infatti, che non erano rare le donne che avevano manifestato personalità e una certa libertà, anche nei comportamenti sessuali: inevitabile appare il riferimento a Clodia, ma anche a Marzia – prestata dal marito ad Ortensio Ortalo – o a Servilia, amante di Cesare e- si sussurrava a Roma- madre del cesaricida Marco Giunio Bruto, sia pure per altre e diverse ragioni.

Pare di leggere in controluce, nella rappresentazione che ce ne fornisce Sallustio, un’idea di Sempronia come “alter ego” di Catilina, come modello di corruzione al femminile, inserito forse anche a sottolineare la vastità del fenomeno corruttorio nella società romana, innescatosi già nel II secolo a seguito della III guerra punica, a cui neanche l’universo femminile sapeva o voleva sottrarsi.

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Annamaria Zizza

Mi sono abilitata in Italiano e Latino e in Storia dell’Arte, sono passata di ruolo per l’insegnamento dell’Italiano e del latino nei Licei nell’anno 2000/2001.

Sono attualmente in servizio dal 2007/2008 al Liceo Classico “Gulli e Pennisi” di Acireale CT, dove ricopro il ruolo di docente a tempo indeterminato nel triennio del corso C.

Ho frequentato con esito positivo i seguenti corsi di aggiornamento/formazione:

– Didattica della lingua italiana;

– Tecnologie informatiche applicato al PNI e al Brocca;

– Valutazione scolastica;

– Valutazione e programmazione scolastica;

– Sicurezza nelle scuole;

– Didattica della letteratura italiana;

– Didattica della letteratura latina;

– rogramma di sviluppo delle tecnologie didattiche;

– Didattica breve nell’insegnamento del latino;

– Comunicazione

– Per una didattica della lettura e della narrazione;

– Autori, collane, libri, progetti editoriali: valorizzare la scuola attraverso la lettura;

– La dislessia

Ho tenuto in qualità di esperto due corsi PON sulle abilità di base per l’Italiano e uno sui connotati profetici nella Comedìa dantesca; ho svolto il ruolo di tutor in altri corsi PON ministeriali.

Sono stata per tre anni funzione strumentale nell’area “Supporto ai docenti”, direttrice di laboratorio multimediale, catalogatrice Dewey nella biblioteca scolastica, bibliotecaria, RSU, coordinatrice e segretaria di Consiglio di classe con frequenza annuale. Ho elaborato e tenuto il percorso di ricerca-azione “Sopravvivere alla vita: istruzioni per l’uso” nell’ambito della DLC.

Ho partecipato a svariate iniziative culturali come relatrice: dalla tavola rotonda organizzata dal Comune di Acireale sul saggio della prof.ssa Ferraloro inerente il romanzo di Tomasi di Lampedusa “Il gattopardo”, a conferenze di argomento letterario presso scuole, al progetto “Dante nelle chiese di Acireale”, organizzato dal vescovado (con relativa Lectura Dantis), al festival Naxoslegge con un’altra lectura Dantis e a presentazioni di libri.

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