Riprendono gli scavi a Paestum per individuare la fase greca del sito

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Secondo Strabone (VI, C 252) Poseidonia, l’antico nome di Paestum, fu una sub colonia di Sibari, senza menzione di ecisti, la cui fondazione vera e propria venne preceduta dalla creazione di un area sacra corrispondente al santuario di Poseidon Enipeo nell’area dell’attuale città di Agropoli. La polis sorge nella fertilissima piana del Sele, a sud del fiume e assume sin da subito un importante ruolo politico di mediazione tra Sibari e le comunità indigene enotrie. In assenza di fonti letterarie la sua fondazione si colloca intorno al 600 a.C. grazie ai dati archeologici provenienti sia dall’area urbana che dai ritrovamenti presso il santuario extraurbano alla foce del Sele dedicato ad Era.

Uno sviluppo significativo dal punto di vista edilizio si ha intorno alla metà del VI secolo a.C., dove cominciano ad essere presenti strade ben pavimentate, case, fogne e sistemi di drenaggio delle acque che delineano l’aspetto della città. Anche lo spazio sacro è ben connotato dalla presenza di imponenti templi; a nord vi è l’area consacrata ad Atena, a sud il santuario meridionale. Nel ‘700 alla riscoperta dei luoghi di culto della polis si impone la necessità di interpretazione e di attribuzione dei templi alle divinità venerate. Il tempio di Atena risalente alla fine del VI secolo a.C venne identificato allora come tempio di Cerere, forse per una errata interpretazione di un suggerimento di Vitruvio nel De Architectura sulla consuetudine dei coloni greci di erigere alla divinità dell’agricoltura e dei raccolti un tempio alle porte della città. Fortunatamente gli scavi archeologici hanno ristabilito la veridicità storica grazie a numerosi ritrovamenti di materiale votivo e di statuine dedicate alla dea Atena. Per quanto riguarda il tempio di Era (530 a.C.) gli eruditi del ‘700 gli diedero il nome di Basilica, ma anche questa volta furono gli scavi e i ritrovamenti a restituire il tempio alla moglie di Zeus, la grande divinità degli Achei.

Fra i due santuari sorge l’agorà, centro dell’attività cittadina e commerciale della polis che assume verso la fine del VI secolo a.C. un assetto monumentale. Monumento di notevole interesse e complessità risulta l’heroon, interpretato come un edificio a forma di tomba vuota (cenotafio) destinato al culto di qualche personaggio importante, nella maggior parte dei casi conosciuti si tratta del fondatore stesso della città che veniva eroizzato dopo la morte. All’interno fu rinvenuta una tavola in pietra sulla quale erano poggiati 5 lunghi spiedi di ferro che conservavo ancora tracce dell’immanicatura in cuio. Lungo le pareti erano disposte sei hydrie e due anfore in bronzo di straordinaria fattura, verosimilmente opera di artigiani di Sibari, al cui interno furono recuperati grumi di miele. L’edificio inoltre, ha restituito un’anfora a figure nere in cui era rappresentata l’apoteosi di Herakles. Attorno all’agorà si sviluppa l’abitato e intorno al 480-470 a.C. l’area si arricchisce ancora di altri monumenti imponenti: il cosiddetto tempio di Nettuno (metà del V secolo a.C. circa), capolavoro dell’architettura dorica occidentale, in realtà consacrato al culto di Era o più probabilmente a Zeus, come testimonierebbe il ritrovamento di una statuina fittile dipinta con barba e corona di bronzo ed infine la sede delle assemblee cittadine, l’ekklesiasterion (480-470 a.C.) di forma circolare a gradinate.

Negli ultimi due decenni del V secolo a.C., la città si consegna ai Lucani, popolazione italica di origine sannitica, così come testimoniano le splendide necropoli dipinte, le quali hanno restituito ricchi e pregiati corredi: armi e gioielli raffinati, scene di vita quotidiana rimandano a costumi e usi che finora non si erano mai visti a Poseidonia. La società aristocratica lucana vuole dare una netta impronta di ricchezza e benessere e lo fa nelle splendide pitture tombali che oggi assieme ai bellissimi templi sono testimonianza delle ricchezze e della fortuna che dovette vivere Paestum.

Dalla metà del IV secolo a.C. riprendono le grandi costruzioni e ancora oggi chi viene da fuori non può non notare l’imponenza della cinta muraria, in origine di oltre sette metri di altezza per 3 km di estensione. Quattro erano le porte di accesso alla città: la porta Aurea a nord, porta Giustizia a sud, porta Marina a Ovest e porta Sirena ad Est. Non passerà molto che sulla scena politica incomberà la potente Roma e Poseidonia sarà costretta ad intervenire dapprima nelle guerre sannitiche affiancando Pirro e poi nelle milizie tarantine, finchè la sconfitta dei Lucani la porterà alla sottomissione romana e a divenire colonia nel 273 a.C.

Notevoli anche le trasformazioni urbanistiche; nel corso del II secolo a.C. sul lato nord del Foro venne eretto il tempio della Pace (II-I secolo a.C.) dedicato a Mens Bona, divinità romana del raziocinio, in seguito divenuta simbolo della riconoscenza degli ex schiavi liberati alla mens bona dei loro padroni. Venne costruito anche un anfiteatro nel I secolo d.C., ampliato poi tra la fine del I e l’inizio del II secolo d.C., visibile tutt’ora e tagliato purtroppo nel 1829 dalla strada moderna che attraversa la città.

La notizia della ripresa degli scavi archeologici nella città di Paestum è una notizia importante e per la modalità anche innovativa. Vi spieghiamo il perché.

L’obiettivo della ricerca, spiega il direttore del Parco archeologico Gabriel Zuchtrieghel, è quello di individuare la fase greca del sito, cioè quella corrispondente alla costruzione dei templi, visto che l’attuale fisionomia corrisponde alla fase romana della città, che insiste sulle strutture precedenti.

Ad aggiungersi ai fondi del bilancio autonomo del parco vi è il finanziamento dato dal Pastificio Antonio Amato, il cui contributo di 45mila euro verrà utilizzato anche per il pagamento di due borse di ricerca per i prossimi 3 anni. I borsisti, selezionati attraverso un bando nazionale, sono Francesca Luongo e Francesco Uliano Scelza, due archeologi con un notevole curriculum ricco di esperienze sia in Italia che in Grecia.

Ad introdurci i lavori è Francesca, archeologa che si è formata presso l’Università degli studi di Salerno, dove ha conseguito la Specializzazione e il Dottorato in convenzione con la Scuola Archeologica Italiana di Atene.

La Dott.ssa Luongo ci parla dello scavo in corso
La Dott.ssa Luongo ci parla dello scavo in corso

“Il lavoro in corso qui a Paestum è un progetto di scavi stratigrafici, studio e ricerca che copre interamente tutte le fasi del lavoro: dallo scavo alla pubblicazione, passando attraverso l’elaborazione di dati (documentazione grafica, fotografica, lavaggio, studio e catalogazione dei materiali). Le operazioni di scavo sul campo dureranno all’incirca 5 settimane e nei restanti 5 mesi lavoreremo nei depositi del museo. Questo è un progetto voluto fortemente dal Parco archeologico di Paestum, nella persona del direttore Gabriel Zuchtriegel, con un finanziamento del pastificio Antonio Amato. È uno scavo aperto in cui il visitatore può fermarsi e chiedere informazioni sui lavori ed entrare così nel vivo di uno scavo stratigrafico. Alle ore 12 sono organizzate delle visite guidate e il visitatore può così porgere a noi archeologi tutte le domande che desidera, allo stesso tempo può vedere dal vivo e vivere le attività in corso d’opera; è una modalità di scavo diversa da quella a cui siamo abituati”.

Interviene il collega Francesco Uliano Scelza e ci racconta la novità dello scavo “open”: “Paestum rientra nei progetti di ricerca derivanti dalla mia esperienza formativa, sin da quando ho cominciato a studiare archeologia, ed è un grande motivo di attrazione per gli archeologi che si occupano di archeologia classica e del mediterraneo antico in generale. Con questa attività si è voluto realizzare un modello d’approccio all’archeologia diverso dai canonici scavi che quotidianamente si svolgono in tutta l’Italia. Sebbene il cantiere di scavo sia all’interno di un parco archeologico, c’è la volontà di trasferire a tutti quanti il messaggio che chi opera in questo settore è un professionista altamente qualificato e specializzato, perché l’archeologia non è un hobby. Lavorare alla riscoperta del patrimonio culturale e archeologico è una ricchezza, almeno quanto la costruzione e la realizzazione di nuove opere pubbliche e private che riguardano qualsiasi altro campo. Quindi ben vengano le persone che si avvicinano e chiedono incuriositi che cosa stiamo facendo, perché ci danno la possibilità di trasmettere loro l’importanza di quello che stiamo facendo. Nel nostro lavoro dobbiamo superare un ostacolo fondamentale: quando si viene in un parco archeologico e si va a vedere uno scavo, un tempio o una casa antica, sono tutti quanti contenti e pieni di meraviglia. Quando invece si trovano l’archeologia sotto casa, perché attraverso lo scavo di una qualsivoglia opera si scoprono dei reperti, ecco che tutti quanti storcono il naso. Vorremmo invece che questa differenza venga assolutamente colmata e che l’attività archeologica venga considerata come una risorsa del proprio territorio.

Sarebbe importante che il modello “Paestum” diventasse la regola, visto che gran parte degli scavi sono d’emergenza o comunque silenti. Molti colleghi archeologi infatti scavano in silenzio, senza nessuna visibilità o qualcuno che faccia loro domande sull’attività che stanno svolgendo sul campo.

Troppo spesso si tende a non rendere partecipi i cittadini di quello che si sta facendo sul territorio, e anche chi vorrebbe diffondere la notizia di uno scavo trova ostacoli a causa della poca apertura: niente foto, niente domande. In questo, Paestum si trova invece ad essere una novità, con la volontà di diffondere anche attraverso i social il lavoro quotidiano che gli archeologi stanno svolgendo all’interno del Parco”.

Ricordiamo che la selezione dei due archeologi è avvenuta per bando nazionale, con un curriculum base di accesso alla selezione di altissimo profilo, che prevede un percorso di studi dalla durata decennale comprendente laurea, specializzazione e dottorato, tenendo conto poi delle esperienze professionali svolte sia in Italia che all’estero.

L’archeologo, in questo specifico bando, non deve soltanto eseguire scavi stratigrafici ma deve anche produrre una documentazione fotografica e grafica dello scavo, ed avere una conoscenza approfondita dei materiali con cui si troverà a dialogare sia in stratigrafia sia in fase di catalogazione.

La Dott.ssa Luongo ci racconta ancora il lungo percorso di preparazione prima dello scavo:

In foto la Dott.ssa Luongo
In foto la Dott.ssa Luongo

“Una volta vinto il concorso, si è proceduto ad uno studio del territorio, base necessaria per capire il contesto in cui ci si trova, con una pre-fase di studio in deposito, delle carte archeologiche e della documentazione pregressa. Qui in particolare, così come in tutta l’area del parco archeologico alle spalle del santuario meridionale, furono eseguiti una serie di saggi in profondità a partire dagli anni ’50. Nell’area in cui stiamo eseguendo saggi in profondità furono effettuati a partire dagli anni ’60 una serie di saggi a cura dell’archeologo Giuseppe Voza, successivamente nel 2007 la società Sosandra riportò in luce le vecchie evidenze, le ripulì e le ricoprì con tessuto non tessuto, ricolmò, ristrutturò e consolidò le creste dei muri presenti. Il lavoro attuale comprende lo studio della precedente documentazione, analizzarla, programmare i primi saggi stratigrafici e dove far partire la nuova indagine archeologica”.

In quale parte del parco ci troviamo? Dove siamo?

“Siamo in una domus romana, la domus 2, nell’isolato 2-4, alle spalle del santuario meridionale, domus che in epoca repubblicana ha raggiunto la fisionomia che si vede anche oggi. È formata da due corpi distinti, uno che si sviluppa attorno all’ambiente 14, l’atrio con impluvium e il secondo corpo conosciuto come quartiere meridionale della domus, ed è proprio qui che ha avuto inizio l’indagine.

Muro perimetrale della domus

Qui infatti, l’archeologo G. Voza individuò dei blocchi in opera quadrata disposti a secco senza malta inglobati all’interno della muratura in opus telatum pertinente al muro perimetrale della domus e li datò ad epoca greca, in modo particolare ad epoca arcaica. Durante le sue indagini furono messi in luce anche alcuni setti murari con la stessa tecnica costruttiva nei quali l’archeologo vi identificò una struttura, verosimilmente abitativa. La casa però come altri edifici del parco archeologico di Paestum e non solo, ha una lunga storia che va dalla fondazione, seconda metà del VI secolo a.C., fino ad epoca tardoantica e poi alto medievale con l’abbandono della città. Siamo di fronte ad una stratificazione di vita visibile chiaramente nella stratificazione muraria degli edifici che utilizzano resti di murature più antiche come fondazioni e che modificano ambienti a seconda delle diverse esigenze. In questo caso stiamo eseguendo un vero e proprio scavo nello scavo, cercando di ricostruire la fisionomia di questa struttura e soprattutto cerchiamo di eseguire dei saggi in profondità, per andare a meglio delineare e a cercare cronologie assolute attraverso dei dati oggettivi per l’interpretazione di questa struttura. Al momento abbiamo ritrovato il muro orientale della struttura di epoca arcaica che è inglobata nell’opus telatum, due muri con orientamento est-ovest che potrebbero essere muri pertinenti a questo ipotetico edificio di epoca arcaica e adesso stiamo portando in luce una sorta di tramezzo con orientamento nord-sud di cui stiamo definendo le caratteristiche e la disposizione. Siamo ad una fase di interpretazione dei vari livelli e quindi cerchiamo di capire quali sono gli interventi di vecchia data e invece quali i livelli più affidabili”.

Con il Dott. Uliano Scelza ci spostiamo per avere un’altra attenta descrizione di un secondo settore di scavo:

“Da questo lato vediamo parte di una struttura tardo arcaica, costituita da grossi blocchi di fondazione di travertino squadrati, accostati a secco, raffinati sia dal punto di vista del taglio ma anche della tecnica costruttiva. Questo, più tutti gli elementi che abbiamo recuperato in giro per l’ambiente e per lo scavo, disegna una struttura tardo arcaica di 10×17 metri. L’indecisione nostra nel determinare questa seconda struttura è data dal fatto che una parte è interamente inglobata o malmessa rispetto agli interventi successivi e qui si è conservata perché è stata utilizzata in maniera funzionale.

Canaletta
Canaletta

Queste strutture idrauliche (il dottor Uliano Scelza ci indica una parte precisa dello scavo, ndr) disegnano un articolato complesso di captazione, flusso, adduzione e scarico dell’acqua, perché le canalette che vediamo in questo ambiente ricostruito sulla struttura tardo arcaica, si completano di tanti bracci, di canalizzazioni, ognuno funzionale a carico dell’acqua, all’adduzione o allo scarico. Ci dobbiamo immaginare anche un sistema di chiuse che regolano il flusso superficiale dell’acqua, per cui viene deviato il liquido ora da una parte ora dall’altra. Le strutture però che incidono fortemente sulla struttura tardo arcaica sono poi intercettate da costruzioni successive che cambiano completamente il senso di tutto l’ambiente e dell’intera domus, con la costruzione di ulteriori spazi con vasche e vaschette, di un complesso artigianale o di un piccolo quartiere artigianale, magari posizionato all’interno stesso di una casa. Probabilmente questo era posto sotto controllo di un privato e si sviluppa nell’ultima fase di occupazione del complesso che si distingue nettamente dalle fasi precedenti sia per funzione, ma soprattutto per tecnica edilizia che è molto più rozza. Vediamo un intervento molto più veloce, più rapido, anche in qualche modo arbitrario, non perfettamente calibrato all’interno dell’isolato, probabilmente siamo in una fase in cui il controllo sullo sviluppo degli isolati ha ceduto il controllo comunitario, e questo lo si può vedere nella fase tarda della città, quando Paestum assume una conformazione decisamente diversa rispetto alla fase precedente. Al termine del nostro lavoro, ora siamo poco meno alla metà, verificheremo le strutture, così come la stratigrafia ce le sta portando alla luce, cioè quelle in opera quadrata del periodo arcaico, quelle intermedie che coinvolgono canalizzazioni ad altre strutture di periodo lucano, fino a quelle imperiali; verificheremo il loro rapporto con a) l’impianto urbano di Paestum e b) con la situazione demografica e del rapporto pubblico privato di Paestum così come si sviluppa nel tempo”.

Che materiali sono emersi?

“Emergono elementi sia relativi alla vita domestica, manufatti per il consumo, per lo stoccaggio delle materie ma anche per la trasformazione domestica. Alcuni materiali di un artigianato artistico che non sono elementi di uso comune ma che riprendono la tradizione dell’artigianato locale, altri elementi di conoscenza per informazioni sugli elevati, le coperture dei tetti ma anche le loro decorazioni perché ci sono elementi in pietra che ci testimoniano che queste strutture, soprattutto le più antiche, avevano una rifinitura architettonica/decorativa”.

Quali saranno gli Interventi nelle campagne successive?

“Questo dipenderà in parte anche dall’esito di questa campagna, dalla valutazione della stratigrafia e della sua qualità in termini informativi e dalla valutazione topografica per poter ampliare il quadro di conoscenze alle varie evoluzioni di case, ambienti, strutture e dei reperti che andiamo a trovare. Forse ci saranno anche degli ampliamenti, in questo momento siamo ad una buona progressione dei lavori”.

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