Il dipinto “cantiere edile di villa con vigneto” rinvenuto nel calidarium delle terme della Villa di San Marco a Stabia (attualmente esposto nel suo Antiquarium) raffigura alcune delle principali macchine per l’edilizia dell’Antica Pompei durante l’attività che caratterizzò un decennio d’intensa attività ricostruttiva dopo il terremoto del 62 d.C., caratterizzata da cantieri di piccole dimensioni.
Le macchine edili utilizzavano il sistema di peso e contrappeso, leve e piani inclinati, per spostare blocchi enormi e colonne, come quelle del Macellum di Pompei e nelle sue altre opere pubbliche. La maggior parte dell’attività edile messa in campo fu di piccola portata ne consegue che le macchine di sollevamento avevano misure limitate, diversamente dai congegni descritti da Vitruvio operanti a Roma. Il dipinto di Stabia dimostra che erano già state realizzate all’epoca le prime gru così come venivano utilizzate le ruote con pioli per spostare i blocchi di roccia molto pesanti. Attrezzi edili sono raffigurati, a Pompei, sul muro perimetrale dell’officina di Livio Firmo mentre un archipendolo (strumento per la verifica della planarità della muratura) è rappresentato su un mosaico esposto al Mann.
Cantieri edili s’intravedono sullo sfondo di un affresco della domus di Sirico a Pompei e su un altro con Bacco e Venere (al Mann), staccato dal prospetto sud di una bottega di Pompei. Riguardo alle tecniche ed ai modi di costruire bisogna precisare che spesso, anziché abbattere del tutto le costruzioni preesistenti se ne utilizzava la maggior parte per le opere in cantiere (come a Pompei nei lavori di consolidamento successivi al terremoto del 62 dopo cristo, spesso distinti dagli interventi di decoro per motivi di economia). Ne deriva che i monumenti e le case scavate a Pompei risultano diversificate nelle tecniche costruttive delle parti che le compongono a seconda delle epoche di edificazione delle medesime. Bisogna anche sottolineare come si siano conservati nel tempo usanze e criteri costruttivi. Un caso esemplare è rappresentato dal gattaro, come viene ancor oggi chiamato il un buco di comunicazione lasciato nella parete che divide due stanze al fine di agevolare il gatto nell’inseguimento del topo. Riguardo ai materiali da costruzione dal pappamonte (granulare vulcanico), utilizzato per le mura di Pompei nel periodo osco si passò all’utilizzo del più resistente e malleabile calcare del Sarno, che ritagliato in opus quadratum (lastroni quadrangolari) servì ad per edificare le più antiche case ad atrio di Pompei (Casa del Chirurgo, Casa dei Pansa).
Nello stesso periodo i muri interni furono costruiti a nervature litiche (tessitura di blocchi lunghi e stretti di pietra di Sarno con altri verticali legati con l’argilla). Nella seconda età sannitica fu molto adoprato il tufo di Nocera che poteva essere modellato nell’edilizia monumentale. La rivoluzione in edilizia partì da Pompei quando fu utilizzata la malta (impasto calce e sabbia vulcanica) che produsse l’affermarsi dell’opera cementizia (opus caementicium) grazie anche all’abbondanza di pozzolana. Vitruvio ne decantava la forza coesiva, riferendosi proprio al territorio vesuviano, riguardo agli intonaci consigliava di spalmarne tre strati sui muri e di rifinirli (lisciandoli) al loro esterno ed interno. La struttura cementizia è la fase più antica dell’opus incertum utilizzata già da prima con materiale di varia natura. Nell’epoca romana si diffusero l’opera laterizia (opus latericium) negli angoli e nei pilastri, utilizzando nei lavori mattoni e/o tegole con vertici all’interno nella costruzione delle colonne (come nella basilica di Pompei). Di laterizio furono realizzati molti edifici edificati dopo il 62 d.c. (terme centrali, edificio di Eumachia, tempio di venere e macello). Da Augusto in poi prese piede anche a Pompei l’opus reticulatum e quella quasi-reticulatum (l’Odeon fu costruito con piramidi di tufo con la base verso l’esterno). Frequente è anche l’opera listata o vittata a sistema misto di blocchi di diversa composizione (tufacei e laterizi). Nelle opere di restauro dopo il 62 d.c. riprende vigore l’opera laterizia con il reimpiego di materiale costruttivo recuperato dalle macerie di case crollate.