Con il nome di virgines Vestales, a Roma, si designava un gruppo di sacerdotesse preposte al culto della dea Vesta. La loro origine risale a tempi remotissimi, ancora prima che il culto di Vesta entrasse nella religione ufficiale romana, e in tal caso si dovrà pensare che le sacerdotesse siano state addette, nel primo periodo della loro esistenza, al focolare del Palatino dedicato alla dea Caca e solo successivamente siano poi passate al servizio di Vesta nel nuovo tempio del Foro. Durante il periodo repubblicano, invece, le vestali facevano parte, insieme con i flamini e col re dei sacrifici, del collegio dei pontefici. La loro condizione giuridica, in cui venivano a trovarsi rispetto al pontefice massimo, era quello speculare, in ambito domestico, della moglie rispetto al marito. Esse adempivano il loro dovere non nel focolare domestico ma in quello pubblico, custodendo quindi il sacro fuoco dello stato. Quando si decise a Roma di separare il culto del focolare pubblico dal culto domestico del re, si creò quindi il collegio di sacerdotesse, le quali conservavano davanti al pontefice massimo la stessa condizione di subordinazione.
Il loro numero originario è incerto. Secondo una tradizione, Tarquinio Prisco ne avrebbe aumentato il numero da quattro a sei, e proprio sei è il numero che si trova in età storica quando si parla di collegio delle vestali. La scelta veniva fatta dal pontefice massimo, secondo le norme contenute in una legge Papia, il cui contenuto è conservato in Aulo Gellio (Noct.att., I, 12, 10). Quando si doveva scegliere una vestale, il pontefice, proponeva di sua scelta venti fanciulle, fra le quali, a sorte, veniva estratto il nome di quella che doveva entrare a far parte del collegio. Le fanciulle dovevano avere tra i sei e i dieci anni, non avere difetti fisici, avere ambedue i genitori in vita e, nei primi secoli della repubblica, appartenere ad una gens patrizia; dal IV secolo a.C. in poi, furono ammesse al sacerdozio anche giovani plebee. La vergine designata al servizio, dalla sorte o volontariamente offerta dalla famiglia, veniva presa dal pontefice massimo con questa formula: Sacerdotem Vestalem, quae sacra faciat, quae ius siet sacerdotem Vestalem facere pro populo Romano Quiritibus, uti quae optima lege fuit, ita te. Amata, capio. La ragazza, quindi, passava dalla giurisdizione paterna a quella del pontefice, come una sposa, con il rito nuziale. Successivamente, veniva condotta nell’Atrium Vestae, l’edificio che ospitava la dimora delle sacerdotesse e veniva rivestita dell’abito e delle insegne della sua carica. La carica non era vitalizia, terminato il servizio che durava trenta anni, potevano rientrare nella dimensione domestica e sposarsi, ma questo accadeva di rado. Il servizio di una vestale consisteva essenzialmente nella cura del focolare pubblico e nella custodia dei pignora imperii; soprattutto la conservazione del fuoco era di fondamentale importanza, questo doveva ardere perpetuamente nel sacrario della dea. Solo una volta l’anno, l’1 marzo, si lasciava spegnere deliberatamente, per poi riaccenderlo con i tizzoni presi dal focolare dell’Atrio, ma guai se questo, durante il resto dell’anno si spegneva. Il fatto era visto in maniera assolutamente nefasta, foriero di sventura per tutto lo stato e gravissime pene attendevano la vestale negligente che aveva permesso questo.
Oltre alla dedizione al focolare, il dovere massimo imposto ad ogni vestale era quello di mantenere la verginità per tutta la durata del sacerdozio, il venir meno era considerato incesto. Così come bandito era ogni atto di vanità personale, l’integrità spirituale era di assoluta importanza. Venir meno a questi precetti poteva portare a fustigazione, inflitta dal pontefice massimo in persona, e in casi più gravi, come la perdita della verginità, alla morte. La vestale convinta d’incesto veniva sepolta viva nel campus sceleratus, presso la Porta Collina, e l’amante veniva fustigato a morte nel Foro. Nonostante le rigide norme morali, comunque, alle sacerdotesse era permesso uscire per le vie della città e visitare i parenti, pur essendo controllate, verso la fine della repubblica, da un littore che le accompagnava nelle loro uscite dall’Atrio. Anche nella loro dimora non risulta fosse proibito l’accesso ad amici o parenti che potevano recarsi in visita e salutare le fanciulle, previo permesso del pontefice massimo. I gravosi doveri e sacrifici imposti alle vestali erano però compensati da notevoli privilegi. Ad esse era assicurata l’esenzione dalla tutela e dalla capitis deminutio che si applicava normalmente a chiunque cambiasse lo status familiae, potevano testimoniare senza prestare il giuramento di rito, potevano essere sepolte nell’Urbe, all’interno del pomerio, attraversavano la città in cocchio per recarsi alle cerimonie sacre, avevano un posto d’onore a teatro e potevano graziare i condannati a morte che, condotti al supplizio, s’imbattevano al loro cospetto lungo il cammino. Il collegio delle vestali rimase in vita per lungo tempo fino a quando i decreti imperiali di Graziano, nel 382, di Valentiniano e Teodosio, nel 391 e nel 392, non lo soppressero insieme alle ultime sopravvivenze del culto pagano.
In questa storia di sacerdozio, si cala la figura di Cossinia. Discendente da una nobile famiglia tiburtina, fu destinata al sacerdozio di Vesta a Tivoli, ma terminato il servizio non tornò a casa, restò nel collegio fino agli ultimi giorni della sua vita. Morì infatti all’età di 75 anni e la popolazione le attribuì grandi onori per la sua devozione sincera verso la cura del focolare, tanto che, il suo corpo, fu portato a braccia all’interno della sua dimora eterna. Nel 1929, a Tivoli, fu ritrovato il suo monumento funebre. Un caso assolutamente eccezionale e unico perché fin’ora non si conoscono tombe di vestali. La tomba si presenta come un’ara issata su cinque gradoni di travertino dove accanto fu scoperto un altro complesso funerario simile, sotto il quale venne ritrovato il corpo di una donna inumato in un sarcofago marmoreo.
Accanto al capo della defunta fu rinvenuta una bella bambola di osso con gioielli, oggi visibile presso il museo di Palazzo Massimo alle Terme, acconciata come l’imperatrice Giulia Domna, moglie di Settimio Severo, e quindi databile tra il II e III secolo d.C. A questo periodo si data quindi anche il monumento funerario e di conseguenza anche la sepoltura che è a inumazione e non più ad incinerazione. Il monumento doveva essere completato, quasi sicuramente, dalla statua di Cossinia che, come si apprende dall’epigrafe, era originaria di Tivoli ed era figlia di Lucio. Fu sepolta in quel luogo per volontà del senato dopo aver servito la dea Vesta per sessantadue anni.
V V COSSINIAE
L F
L.Cossinius
Electus
Sul retro del monumento due iscrizioni:
Undecies senis quod Vestae paruit annis hic sita virgo, manu popoli delata, quiescit L(ocus) D(atus) S(enatus) C(onsulto)
Per molto tempo si credette che i resti del corpo potessero appartenere alla sacerdotessa Cossinia, sepolta assieme al corredo e alla bambola (questa infatti ancora oggi viene associata a Cossinia),ma le analisi stilistiche della bambola e dell’iscrizione funeraria sembrano appartenere a fasi diverse. L’acconciatura della bambola si data infatti al III secolo d.C., quella dell’iscrizione sull’ara risalirebbe al I secolo d.C. Si tratterebbe quindi di due sepolture diverse, forse pertinenti ad un più vasto sepolcreto. Di Cossinia non ci resta nemmeno la statua, andata perduta o forse mutilata dall’iconoclastia cristiana, come le statue delle altre vestali. A chi sia appartenuta questa bambolina non si sa, ma ci piacerebbe pensare, quasi teneramente, ad una giovane fanciulla prestata ad un lungo servizio sacerdotale che fino all’ultimo ha voluto portare con sé, nella tomba, quell’unico oggetto d’infanzia tanto caro, simbolo di verginità e di dedizione alla dea del focolare.
Il cippo funebre di Tivoli è uguale al fuoco sacro di un rilievo chiamato ” Vestali intorno al fuoco sacro”.
La Storia di Questa Vestale Cossinia é veramente Molto Bella. Pero , La Storia della Vestale Rea Silvia , come figlie de un Re, fratello di Amullio, che aveva usurpato Il Trono do suoi fratello, Il Vero Re, aveva partorito I Gemmelli Romolo e Remo , come figli del Dio Marte! Dunque, che cosa aveva successo con Questa Vestale ?