Lo scenario in cui si svolse il primo scontro epocale tra Roma e Cartagine fu quello del Mediterraneo antico. Da un lato Roma, astro nascente politico e militare che man mano aveva conquistato la penisola italiana, dall’altro l’antica potenza fenicia che aveva la sua colonia sulla costa dell’attuale Tunisia. Cartagine fa da sfondo a questa vicenda ed è il luogo dove nacque il primo vero nemico di Roma, Annibale. Una città da cui il futuro condottiero partì bambino con suo padre diretto verso la Spagna, dove trascorse l’adolescenza e la giovinezza insieme ai soldati.
La vocazione di Annibale verso la guerra nasce da un episodio rimasto celebre che segnò la fine della sua infanzia: il giuramento di odio eterno contro Roma e il suo popolo. Si racconta che il generale Amilcare, in procinto di partire per la Spagna, cedette alle richieste del figlio, di soli nove anni, di seguirlo con l’esercito. Così il generale lo fece avvicinare all’altare dove stava per compiere un sacrificio propiziatorio per il buon esito della spedizione e lo indusse a giurare odio eterno verso i Romani. Da quel momento, Annibale fu investito di una eredità morale pesantissima. Il rifiuto di portare a termine la missione di distruggere Roma sarebbe stato un atto di infedeltà verso la propria patria e lui solo poteva e doveva portare avanti questo compito. Insieme al padre, Annibale si imbarcò verso Gades e poi verso la Spagna, dove trascorse l’adolescenza insieme all’esercito, ricevendo un addestramento tale da fargli conquistare forza e resistenza fisica straordinarie. Come suo padre, si fece raffigurare con gli attributi del dio, la clava e il corno d’alloro, incidendo la sua immagine sullo strumento più efficace per la propaganda politica, la moneta.
Per gli antichi, Annibale fu un leader di ispirazione divina, tanto che il suo viaggio iniziò con una tappa al santuario di Cadice per ricevere la protezione di Melqart-Eracle. Come per Amilcare, il dio rappresentava l’alter ego divino, emblema delle sue gesta terrene e ispiratore e guida morale, in quanto simbolo di virtù, integrità e del ponos, la fatica quotidiana che elevava corpo e spirito. Ma la figura aveva anche una valenza politica; era l’eroe che nel mito aveva sconfitto Gerione, mostro tricorpore, progenitore degli Iberi, al quale aveva sottratto gli armenti simbolo della ricchezza della Spagna. Era l’eroe che aveva valicato per primo le Alpi ed era giunto fino nel Lazio, dove aveva ucciso Caco, un mostro nel quale veniva rappresentata la potenza di Roma.
“Con voi, disse ai soldati, cui mille volte ho tributato elogi e concesso ricompense, scenderò ora in campo io, che sono stato discepolo di voi tutti prima ancora di essere il vostro comandante (Livio, XXI, 43).
Nel 221 a.C., Annibale ha il comando supremo delle forze armate cartaginesi in Spagna. Proseguendo il piano paterno di espansione sul territorio, conquistò la città di Sagunto, sulla costa mediterranea della Spagna (219 a.C.), alleata dei Romani, provocandone la reazione (218 a.C.).
Dopo il passaggio del fiume Ebro, superò il valico dei Pirenei, riuscendo ad attraversare il fiume Rodano con la costruzione di un grande ponte di barche. Annibale con il suo esercito formato da 90.000 fanti, 12.000 cavalieri e 37 elefanti, attraversando le Alpi, stava di fatti sfidando Roma alla testa di un’impresa che destò ammirazione e stupore già tra gli antichi. Una volta in Italia, si alleò con le popolazione celtiche, infliggendo ai Romani la prima sconfitta nella battaglia presso le rive del fiume Ticino. Proseguendo la sua marcia, sconfisse anche Publio Cornelio Scipione mandato da Roma per bloccarlo al fiume Trebbia, nei pressi di Piacenza, ma nel suo cammino contrasse una malattia che lo rese quasi cieco all’occhio destro. Nel 217 a.C. attraversò l’Appenino con l’unico elefante sopravvissuto, Surus, e raggiunse le paludi dell’Arno. Sempre nello stesso anno, dall’Umbria raggiunse il Lazio sconfiggendo Flaminio nella battaglia del Trasimeno e continuando così la sua marcia vittoriosa verso la Puglia.
Arrivò in Puglia il 2 agosto del 216 a.C., a Canne, nella valle del fiume Ofanto e qui Annibale sconfisse i Romani nella battaglia più famosa della storia militare, un capolavoro tattico per eccellenza. A Canne, Annibale perse 6.000 uomini, i Romani 45.000.
Perché il grande generale cartaginese subito dopo Canne non sferrò l’attacco mortale all’odiata nemica? Se lo sono chiesti gli antichi e anche gli storici contemporanei. Annibale divenne un eroe ma non portò mai a compimento la sua impresa. Non aveva potuto costringere Roma a trattare sul suo suolo e non aveva saputo creare un mondo italico alternativo. Sconfitto a Zama nel 202 a.C. da Publio Cornelio Scipione, successivamente chiamato l’Africano, nel 195 lascia Cartagine e si rifugia presso il re Antioco III di Siria che lo incitava alla guerra contro Roma. Ma da eroe, per non cadere nelle mani dei Romani, si avvelena e muore nel 183 a.C.