Durante la fase iniziale della loro monetazione alcune città dell’Italia Meridionale e della Sicilia coniarono delle monete definite incuse. Questi particolarissimi documenti monetali si datano alla seconda metà del VI secolo a.C., ma si rifanno ad un importante archetipo: i Rovesci delle monete arcaiche emesse dalle città della Grecia propria e da quelle ellenizzate nel Mediterraneo Orientale. Il termine “incuso” deriva dal latino incusus, participio passato di incudere, e ha l’accezione di “imprimere col conio”. Nella scienza che studia le monete, la Numismatica, si fa riferimento ai documenti che presentano l’impronta del conio in incavo piuttosto che in rilievo. Il lemma viene adottato sempre in associazione alla parola “moneta”. Si parla difatti di monete incuse, monete col tipo incuso, monete col Rovescio incuso. È proprio il Rovescio ad essere realizzato con questa peculiare tecnica, e ad ospitare un tipo (o immagine monetale) differente da quello del Diritto per fattura e caratteristiche intrinseche.
Le monete incuse si distinguono in monete col quadrato incuso e monete col Rovescio incuso. La loro forma è già di per sé un indice di arcaicità: il tondello è spesso, irregolare, sovente allungato. Con il passare del tempo e l’evolversi delle tecniche di coniazione, i tondelli di metallo diverranno sempre più sottili, regolari e di forma circolare.