© Metropolitan Museum of Art

Al Metropolitan Museum of Art di New York si celebra il 50° anniversario della donazione del tempio nubiano di Dendur agli Stati Uniti. Era il 28 aprile 1967 quando, al presidente L. B. Johnson, l’Egitto donò il tempio come ringraziamento per l’aiuto che gli Stati Uniti diedero al Paese per salvare i templi della Nubia che, diversamente, sarebbero stati sommersi per la realizzazione della diga di Aswan. Il 27 settembre 1978 venne aperta al pubblico l’Ala Sackler del MET: il tempio di Dendur poteva ora essere ammirato.

Il tempio di Dendur mentre viene ricostruito nell’Ala Sackler del MET (1978). © Metropolitan Museum of Art

In occasione di questo importante anniversario, i curatori e gli assistenti curatori dei dipartimenti di Egyptian Art e Objects Conservation hanno preparato diversi dossier in cui si racconta del tempio di Dendur, del suo spostamento a New York; della sua architettura, decorazione, rituali; delle sue prime rappresentazioni ad opera dei viaggiatori europei, tra i quali Amelia B. Edwards, Frederick Lewis Norden, David Roberts e Félix Teynard (a quest’ultimo si deve la prima fotografia del tempio); dei lavori di manutenzione e conservazione, degli eventi culturali ed esibizioni, nonché dei contenuti digitali che permettono a tutti la fruizione di questo patrimonio.

Félix Teynard, “Dandoûr, Nubie”, 1851. Stampa su carta salata da negativo su carta. © Metropolitan Museum of Art / Early Representations of the Temple

Nel 1954, sotto la guida di Nasser, l’Egitto avviò il progetto della grande diga di Assuan che avrebbe inondato gran parte della regione nubiana, ricca di monumenti. La consapevolezza della minaccia per questo patrimonio storico mobilitò l’intera comunità internazionale, con l’UNESCO a guidare gli sforzi di conservazione. Nel gennaio del 1955, il Dipartimento delle Antichità egiziane inviò una missione di esperti in Nubia, mentre Christiane Desroches Noblecourt creò il Centro di Documentazione per la Storia dell’Arte e della Civiltà Egizia. Furono spostati più di venti templi, tra cui i noti Philae e Abu Simbel. Quattro templi, Dendur, Ellesija, Debod e Taffa, lasciarono il Paese e furono donati a Stati Uniti (Metropolitan Museum of Art), Torino (Museo Egizio), Madrid e Leida (Rijksmuseum van Oudheden) come ringraziamento per essersi prodigati con lavoro e dedizione in questa fondamentale occasione. I lavori per la diga iniziarono nel 1960 e furono completati nel 1970: il lago artificiale Nasser aveva sommerso più di 2000 mq di territorio, facendo scomparire altri siti archeologici che non era stato possibile salvare.

Vista dalla porta del Tempio di Dendur, con lo sguardo rivolto verso il Nilo (datazione assente). © Center of Documentation of Egyptian Antiquities – Metropolitan Museum of Art / The Temple of Dendur: Architecture and Ritual

Il Tempio di Dendur fu voluto dall’imperatore Augusto, intono al 15 a.C., il quale scelse quest’area poiché già considerata sacra dai Nubiani. Era una zona sotto l’influenza del tempio di Philae, dedicato ad Iside, e sulla quale doveva sorgere un culto per i fratelli Pedesi e Pihor, figli del capo Medjay Kuper, annegati nel Nilo e poi divinizzati. Quello di Dendur è un tempio di dimensioni contenute, di epoca romana ma di tipologia architettonica egizia. La sua struttura comprende un pronaos con colonne separate da pareti divisorie (di cui ne resta una sola) e due stanze ampie. Costruito in arenaria nubiana, il tempio misura circa 13 metri di lunghezza, 6,5 metri di larghezza e 5 metri di altezza.

Pianta e sezione del Tempio di Dendur. Rendering di Sara Chen © Metropolitan Museum of Art / The Temple of Dendur: Architecture and Ritual

Il tempio di Dendur originariamente era situato su una piattaforma sopra il Nilo: per questo motivo la struttura non ha i basamenti tutti alla stessa altezza e una parte venne realizzata nella roccia. Al MET la piattaforma è stata ricostruita in granito per la sua esposizione, circondata dall’acqua che ricorda quella del Nilo. Il santuario del tempio, ovvero la parte più nascosta, contiene raffigurazioni di Pedesi (“Dono di Iside”) e Pihor (“Colui che appartiene ad Horus”) che adorano rispettivamente Iside e Osiride. Diverse sono le scene in cui il faraone Augusto presenta offerte di incenso e libagioni di latte non solo ad Iside e Osiride ma anche ad Harpocrates (Horus bambino).

Il faraone Augusto (a destra) offre incenso e libagioni di latte a Iside e Osiride. © Metropolitan Museum of Art / The Temple’s Cult and Decoration

Nella parete posteriore del santuario c’è una piccola stanza segreta, accessibile dall’esterno, la cui funzione non è chiara, ma che potrebbe aver ospitato attrezzature cultuali. Due aperture nella parte superiore della parete permettevano l’ingresso della luce, e questa area probabilmente accoglieva statue cultuali, forse collocate su altari di legno distrutti dal tempo. Da qui, la statua di Iside iniziava il suo percorso verso le aree esterne del tempio.

© Metropolitan Museum of Art

Le informazioni sono state rielaborate da:

The Temple of Dendur: Celebrating 50 Years at The Met

© Metropolitan Museum of Art

Potete trovare ulteriori informazioni ai seguenti articoli:

Il Museo Egizio e il Tempio di Ellesija – Parte 1

Il Museo Egizio e il Tempio di Ellesija – Parte 2

Il Museo Egizio e il Tempio di Ellesija – parte 3

Il tempio di Debod: l’Egitto nella multiculturale Madrid

Christiane Desroches Noblecourt: la madre di Abu Simbel

La scoperta del Tempio grande di Abu Simbel

Come da millenni, anche oggi si è ripetuto il “Miracolo del Sole” ad Abu Simbel

 

© Metropolitan Museum of Art
Advertisement
Articolo precedenteLa Roma Imperiale su History Channel
Prossimo articoloEssere donna nell’antica Pompei
Chiara Lombardi

Laureata in Archeologia Orientale presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” con una tesi magistrale in Archeologia Egiziana dal titolo “Iside nei testi funerari e nelle tombe del Nuovo Regno: iconografia e ruolo della dea tra la XVIII e la XIX dinastia” (2013), ha conseguito un master di primo livello in “Egittologia. Metodologie di ricerca e nuove tecnologie” presso la medesima Università (2010-2011). Durante il master ha sostenuto uno stage presso il Museo Egizio de Il Cairo per studiare i vasi canopi nel Nuovo Regno (2010). Ha partecipato a diversi scavi archeologici, tra i quali Pompei (scavi UniOr – Casa del Granduca Michele, progetto Pompeii Regio VI, 2010-2011) e Cuma (scavi UniOr – progetto Kyme III, 2007-2017). Inoltre, ha preso parte al progetto Research Ethiopic language project: “Per un nuovo lessico dei testi etiopici”, finanziato dall’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente e dal progetto PRIN 2005 “Catene di trasmissione linguistica e culturale nell’Oriente Cristiano e filologia critico testuale. Le problematiche dei testi etiopici: testi aksumiti, testi sull’età aksumita, testi agiografici di traduzione” (2006-2007). Ha collaborato ad un progetto educativo rivolto ai bambini della scuola primaria per far conoscere, attraverso sperimentazioni laboratoriali, gli usi e i costumi dell’antico Egitto e dell’antica Roma (2014-2015). È stata assistente di ricerca presso la Princeton University (New Jersey) per “The Princeton Ethiopian, Eritrean, and Egyptian Miracles of Mary digital humanities project (PEMM)” (2020-2021). Ricercatrice indipendente, attualmente è anche assistente di ricerca per il Professor Emeritus Malcolm D. Donalson (PhD ad honorem, Mellen University). Organizza e partecipa regolarmente a diverse attività di divulgazione, oltre a continuare a fare formazione. Collabora con la Dott.ssa Nunzia Laura Saldalamacchia al progetto Nymphè. Archeologia e gioielli, e con la rivista MediterraneoAntico, occupandosi in modo particolare di mitologia. Appassionatasi alla figura della dea Iside dopo uno studio su Benevento (Iside Grande di Magia e le Janare del Sannio. Ipotesi di una discendenza, Libreria Archeologica Archeologia Attiva, 2010), ha condotto diversi studi sulla dea, tra cui Il Grande inno ad Osiride nella stele di Amenmose (Louvre C 286) (Master di I livello in “Egittologia. Metodologie di ricerca e nuove tecnologie”, 2010); I culti egizi nel Golfo di Napoli (Gruppo Archeologico Napoletano, 2016); Dal Nilo al Tevere. Tre millenni di storia isiaca (Gruppo Archeologico Napoletano, 2018 – Biblioteca Comunale “Biagio Mercadante”, Sapri 2019); Morire nell’antico Egitto. “Che tu possa vivere per sempre come Ra vive per sempre” (MediterraneoAntico 2020); Il concepimento postumo di Horus. Un’ analisi (MediterraneoAntico 2021); Osiride e Antinoo. Una morte per annegamento (MediterraneoAntico 2021); Culti egiziani nel contesto della Campania antica (Djed Medu 2021); Nephthys, una dea sottostimata (MediterraneoAntico 2021). Sua è una pubblicazione una monografia sulla dea Iside (A history of the Goddess Isis, The Edwin Mellen Press, ISBN 1-4955-0890-0978-1-4955-0890-5) che delinea la sua figura dalle più antiche attestazioni nell’Antico Regno fino alla sua più recente menzione nel VII d.C. Lo studio approfondisce i diversi legami di Iside in quanto dea dell’Occidente e madre di Horus con alcune delle divinità femminili nonché nei cicli osiriaco e solare; la sua iconografia e le motivazioni che hanno portato ad una sempre crescente rappresentazione della dea sulle raffigurazioni parietali delle tombe. Un’intera sezione è dedicata all’onomastica di Iside provando a delineare insieme al significato del suo nome anche il compito originario nel mondo funerario e le conseguenti modifiche. L’appendice si sofferma su testi e oggetti funerari della XVIII dinastia dove è presente la dea.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here