Sono già passati cinque anni da quando appresi la notizia che la luce di Christiane Desroches Noblecourt si era spenta, era il 23 giugno del 2011. Anche se aveva raggiunto la veneranda età di 98 anni la notizia mi rattristò molto, il mondo aveva perso una grande studiosa, lChristiane-Desroches-Noblecourt’Egitto una grande egittologa ed io uno dei miei miti. Nata a Parigi il 17 novembre del 1913, già da piccina si era infatuata della civiltà Egizia, tanto da chiedere continuamente al padre di passare con la sua auto in Place de la Concorde per poter ammirare l’obelisco di Ramesse II e scrutare i geroglifici che celebrano la gloria del faraone. Poi, con il dilagare della “Tutmania” in seguito alla scoperta della tomba del faraone bambino nel 1922, Christiane si appassionò a quel mondo magico che non lasciò più. Incoraggiata da padre Etienne Drioton intraprese gli studi di egittologia seguita nell’apprendimento da grandi nomi dell’egittologia mondiale e nel 1936 entrò a far parte del Dipartimento di Antichità Egizie del Museo del Louvre. Era il 1938 quando fu ammessa, non senza difficoltà in quanto fu la prima donna ad accedervi, all’Istitut Français d’Archéologie Orientale (IFAO); primato che doppiò nel 1939 quando fu messa alla guida di uno scavo archeologico. Durante la seconda Guerra Mondiale si unì alla resistenza francese nascondendo i tesori egizi del Louvre nei territori liberi della Francia, rischiando spesso la vita.

Nel 1942 sposò André Noblecourt, succedette a Jacques Vandier come curatore del Louvre e iniziò a tenere lezioni presso l’Ecole du Louvre. Nel 1954, l’Egitto, sotto la guida di Nasser, progettò la costruzione della grande diga di Assuan che, nel giro di poco tempo, avrebbe immerso gran parte della regione nubiana ricca di monumenti faraonici. La consapevolezza di dover salvaguardare tale patrimonio mobilitò il mondo intero, UNESCO compreso, così, nel gennaio del 1955, il Dipartimento delle Antichità d’Egitto inviò una missione di esperti in Nubia e la studiosa creò il Centro di Documentazione per la Storia dell’Arte e della civiltà Egizia. La campagna di sensibilizzazione ebbe successo e furono trovati i soldi per il salvataggio dei monumenti più importanti. Cinquanta stati, nel mezzo della guerra fredda, fornirono fondi per salvare i monumenti oggi considerati patrimonio dell’umanità; così una ventina di essi furono smontati e poi ricostruiti a ridosso delle acque del nuovo lago Nasser, mentre quattro abbandonarono definitivamente il paese quale segno di riconoscenza dello Stato egiziano per gli impegni profusi: il tempio di Ellesjia andò al Museo Egizio di Torino, quello di Debod a Madrid, il tempio di Dendur al Metropolitan Museum di New York e il Tempio di Taffa al Rijksmuseum van Oudheden a Leida, nei Paesi Bassi. Il coinvolgimento della Noblecourt in questa operazione fu impeccabile.

Grazie alla sua tenacia e dopo tre lunghi anni di negoziazioni per ottenere in prestito 45 pezzi del tesoro di Tut, la Noblecourt, nel 1967, riuscì ad allestire a Parigi la mostra “Toutankamon et son temps”, il cui incasso fu devoluto per il restauro dei templi nubiani. L’esposizione fu un vero successo, ospitò 1,2 milioni di visitatori ed intervennero tutte le maggiori autorità, lo stesso generale De Gaulle, che sarebbe dovuto rimanere per una ventina di minuti, ascoltò incantato per oltre due ore le spiegazioni di Christiane Desroches Noblecourt.

Nel 1975 riuscì ad ottenere le approvazioni necessarie affinchè la mummia di Ramses II fosse trasferita in Francia per una delicata operazione di restauro e sottoposta a nuovi studi, era il 26 settembre del 1976 quando la mummia di Ramses II arrivò a Le Bourget, dove fu accolta con tutti gli onori riservati ad un Capo di Stato.

Poi, nel 1980 divenne capo della missione di “rinnovamento” della Valle delle Regine sulla riva occidentale di Luqsor. Qui si dimostrò non solo un buon direttore, ma una persona davvero amabile, così la ricorda chi con lei ha lavorato per ben 20 campagne di scavo. “Era un diplomatico, parlava in arabo con gli operai, durante la notte si occupava di chi si era ferito durante la giornata e di chi aveva disturbi, chiacchierava con tutti, facevano addirittura la fila per poter parlare con lei. Non si sa quando dormiva, a casa Malgatta (dove risiedeva la missione), nella sua camera c’era luce per tutta la notte, e la mattina, alle 5, era già presente per la prima colazione con il suo impeccabile stile. Era di eccezionale esempio per tutti”.

Era soprannominata il faraone, ma lei preferiva essere chiamata “Oum Simbel” (la madre di Abu Simbel), ovvero voleva essere ricordata come colei che aveva salvato il tempio.

Lungo tutto il suo ricco percorso, pieno di pubblicazioni, azioni e emozioni, non potevano mancare riconoscimenti importanti ed onorificenze, non ultima quella del 2015 (quando già si era unita alla montagna occidentale che lei amava così tanto), dove, in presenza del figlio, l’allora Ministro delle Antichità Egiziane Mamdouh El Damaty, il Ministro del Turismo Hisham Zaazou e una delegazione francese hanno inaugurato una statua dedicata alla sua memoria.

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