Madrid

Dopo aver passeggiato lungo le strade della colorata, solare e soleggiata Madrid, forse dopo la visita del grande Palacio Real, dopo un pomeriggio tra i frastornanti grandi spazi di Gran Via o dopo aver gironzolato tra le atmosfere del quartiere che ruota intorno a Puerta del Sol, un posto dove osservare Madrid tingersi dei colori del tramonto e godersi le ultime ore di luce è al Templo de Debod.
Il Tempio di Debod è un tempio egizio suggestivamente posizionato nel Parque de la Montaña, nella parte occidentale della città ed è proprio da qui che è possibile aprire lo sguardo sull’area verde più grande della città.
Il Parque de la Montaña è facilmente raggiungibile camminando lungo Gran Via ed è soprattutto un’ottima meta per godersi un po’ di tranquillità, assaporando uno spaccato della vita madrileña con un tocco, però, di atmosfera egizia.

T3 Ḥwt (“La Cappella” = Debod) / ph. Francesca Pontani

Il Tempio di Debod venne regalato alla Spagna dall’Egitto nel 1968, in cambio dell’aiuto spagnolo in risposta all’appello internazionale dell’Unesco per salvare i templi della Nubia, principalmente quello di Abu Simbel, in pericolo per la costruzione della diga di Assuan.
Il nucleo più antico è rappresentato dalla cappella che venne dedicata dal re di Meroe Adikhalamani ad Amon di Debod e ad Iside nel 200/195-185/180 a.C., anche se, in base al ritrovamento di un cartiglio di Sethi I, si ipotizza la presenza di un primitivo edificio sacro dedicato ad Amon, che si collocherebbe lungo la linea di sviluppo territoriale delle molte fabbriche sacre costruite dai Ramessidi in Nubia nel XIII-XII secolo a.C.

Litografia del Tempio di Debod eseguita da David Roberts il 2 novembre 1838 / ph. commons.wikimedia.org

Nel II-I secolo a.C. Tolomeo VI ingrandisce il santuario con nuove camere e cappelle, mentre Tolomeo VIII e Tolomeo XII dedicano un naos ad Iside e uno ad Amon di Debod.
Nell’arco di tempo dal I al II secolo d.C. la facciata e il vestibolo del tempio vengono decorati a partire dal principato di Augusto con Tiberio e Adriano che, aggiunsero nuove stanze al nucleo originale, fino a conformare il tempio nell’aspetto che ancora oggi vediamo. Le vicissitudini del tempio sono ricominciate nel secolo scorso quando, negli anni Sessanta, la progettazione della Grande Diga di Assuan rappresentò una minaccia per numerosi siti archeologici che rischiavano di essere sommersi dalle acque del nuovo bacino artificiale.
Il pericolo fu scampato grazie a un’operazione internazionale patrocinata dall’UNESCO, che si impegnò soprattutto nella salvaguardia dell’imponente i famosissimi templi di Abu Simbel e, come ringraziamento per l’aiuto fornito nella ricollocazione di questo sito archeologico, il governo egiziano regalò alcuni dei suoi “templi a rischio” ai paesi che investirono maggiormente nelle operazioni di salvataggio di Abu Simbel.

Il tempio di Debod venne accuratamente smontato, trasportato in nave fino a Valencia e ricostruito a Madrid, dove dal 1972 è aperto al pubblico.
Oggi il tempio è una suggestiva costruzione scenograficamente incorniciata dal verde del parco, contornato dagli alti edifici del centro di Madrid; un luogo avvolto da vera magia soprattutto a fine giornata, con il profilo del tempio che regala uno dei tramonti più spettacolari della città.
La visita all’interno del tempio è gratuita e soprattutto emozionante: si passa da un esterno in cui è ancora percepibile la maestosità della civiltà egizia ad un interno labirintico e suggestivamente poco illuminato, che conduce il visitatore a raggiungere la camera che un tempo era accessibile solo ai più alti funzionari religiosi.

Lavori di ricomposizione del Tempio di Debod a Madrid, 1972 / ph. ogotours.com

La cappella di Adikhalamani: un esempio di architettura meroitica

Il quadro storico

Nel sud dell’Egitto, dopo la campagna di Psammetico II (XXVI dinastia), il regno Kushita, che inizialmente faceva capo a Napata, rimane temporaneamente tagliato fuori dallo sviluppo del nord. La casa reale mantiene in vigore le tradizionali forme di culto egizio, con Osiride e Iside che svolgono un ruolo molto importante nel culto dei defunti.
Successivamente i re kushiti riprendono ad intrattenere relazioni commerciali con il gran re persiano e, approfittando della debolezza della seconda dominazione persiana, estendono e consolidano la loro influenza sulla Bassa Nubia.
La città di Meroe, estremità meridionale di un’importante via commerciale, inizia così ad acquistare sempre maggiore rilievo come residenza del sovrano e il re di nome Ergamene (270-260 a.C.) riesce a trasferire definitivamente la propria residenza a Meroe, forse per opporsi al potere dei sacerdoti di Napata, inaugurando così un nuovo periodo storico e politico.Tuttavia i Kushiti non riescono ad opporre un’adeguata resistenza all’esercito egiziano e così, nel 275 a.C., le truppe di Tolomeo II riescono a penetrare fin dentro la Bassa Nubia, raggiungere le miniere d’oro di Wadi Allaqi e fondano, ad ovest di questa località, la città di Berenice Pancrisia, “la dorata”.
Segue poi una fase in cui i re di Kush riescono a riguadagnare terreno in Bassa Nubia, sfruttando soprattutto la debolezza dell’Egitto all’epoca dei re antagonisti tebani (dal 206 a.C.), riuscendo soprattutto a consolidare il loro influsso sull’isola di File.
Con Tolomeo IV si giunge infine ad un trattato: l’accesso al tempio di File rimane aperto per i visitatori meridionali con i Tolomei e i Kushiti che partecipano alla costruzione del tempio di Thoth a Dakka e di quello di Amon a Debod, nella Bassa Nubia.
È dunque sulla scia di questi avvenimenti storici che si colloca il tempio oggi conservato a Madrid.

Il tempio di Debod al tramonto / ph. pinterest.com

Il tempio di Debod

Il toponimo nubiano di Debod deriva probabilmente dall’egiziano T3 Ḥwt = “La Cappella” = Debod, nel senso di “il tempio”, e la sua posizione originaria, ora sotto le acque della diga di Assuan, era su un piccolo altopiano della riva occidentale del Nilo, a circa dieci miglia a sud dell’attuale città di Assuan, appena superata la prima cataratta (esattamente 15,4 km a sud dell’isola di File); un’area, questa, abitata fin dal Predinastico, come indicato dalle sepolture che qui vennero rinvenute.
Durante il Medio Regno Debod fu un importante crocevia nelle rotte delle spedizioni egizie alla ricerca di rame e altri minerali esistenti nel deserto e, in particolare, la spedizione prussiana, guidata da Richard Lepsius, trovò a Debod il 31 Agosto 1844, una stele dedicata da Intef riguardo una missione di trasporto di rame effettuata durante il regno di Amenemhat II (1922 -1878 a.C.).
Infatti è molto probabile che nello stesso luogo del tempio meroitico-tolemaico ci sia stato una sorta di santuario o cappella dedicata al dio Amon, testimoniata con certezza dai reperti archeologici almeno a partire dal Nuovo Regno in poi. Di fatto si conosce l’importanza religiosa di Debod durante la XIX dinastia perché lì sono stati trovati resti con iscrizioni recanti il nome di Sethi II (1201-1196 a.C.) e sono documentate anche sepolture pertinenti allo stesso periodo.

Ci sono poi diverse prove dell’esistenza di un santuario nella zona di Debod prima che Adikhalamani costruisse la sua Cappella: nel tempio di Dakka, per esempio, eretto da Arkamani (Ergamenes II), si fa menzione del dio Amon di Debod, il quale in particolare viene definito: “il grande dio, che presiede l’Enneade”, e un’altra citazione del Tempio di Debod è presente sulla porta romana del tempio di Dendur.

Veduta dell’ingresso del tempio attraverso i due portali / ph. Francesca Pontani

Così, tutto sembra indicare che nella zona di Debod esisteva, anteriormente alla costruzione della cappella di Adikhalamani, un’altra fabbrica religiosa presumibilmente già dedicata al dio Amon e alla dea Iside.
La cappella di Debod è uno degli esempi di templi di epoca tolemaica che hanno in sé la presenza di elementi culturali estranei alla tradizione egizia.
In questo caso non si tratta dell’influenza greca, o meglio tolemaica, ma di quella meroitica. Si conoscono molti esempi di templi napatei e meroiti che possono mostrare quello che sarebbe potuto essere il progetto costruttivo finito di Adikhalamani, quando ordinò la costruzione della cappella di Debod: per esempio il tempio del Sole a Meroe (Aspelta VII-VI secolo a.C.) e la cappella di Ergamene nel tempio di Thoth di Pnubs a Dakka (Ergamenes II, 207/6-186 a.C.).
della Bassa Nubia, l’antica W3w3t, Debod era al centro di un territorio che da sempre attraeva l’attenzione e i desideri degli egizi.
Infatti si trovava in una posizione chiave lungo le vie carovaniere che giungevano dal Mar Rosso portando merci ricercatissime come aromi, spezie, pietre preziose, legni pregiati, che si aggiungevano a quelle africane costituite da ebano, avorio, piume e uova di struzzo, pelli di leopardo, oli profumati e oro, molto ambiti anche dai popoli che si affacciavano sul Mediterraneo.
Questo era dunque il luogo di contatto e di scambio, soprattutto culturale, tra l’Africa nera e il Mediterraneo; un pezzo importante della grande area Sahara-nilotica, con il Tempio di Debod che in particolare deve aver fatto parte del percorso sacro che percorrevano i pellegrini che si recavano al grande centro religioso dedicato alla dea Iside sull’isola di File. La costruzione del tempio fu dunque iniziata da Adikhalamani re di Meroe nel 200-180 a.C., il quale eresse una piccola cappella dedicata a Amon, conosciuta anche come la “cappella dei rilievi”.
In essa si ripetono iscrizioni riferite ad un “Amon di Debod”, lo stesso dio Amon che appare in primo piano nelle scene rituali raffigurate sui rilievi che proclamano che “il re Adikhalamani rende il monumento a suo padre Amon”, l’ “Amon che abita a Debod “.

Successivamente, tre re della dinastia tolemaica costruirono nuovi settori intorno al nucleo originario dandogli in questo modo l’aspetto che vediamo ancora oggi; inoltre furono soprattutto queste espansioni intraprese dai Tolomei che orientarono sempre di più il culto del santuario verso la dea Iside, che andò quindi assumendo maggiore rilevanza rispetto ad Amon.
Questi tre faraoni sono stati: Tolomeo VI “Filometore” (180-145 a.C.), contemporaneo di Adikhalamani, insieme a sua sorella e moglie Cleopatra II; Tolomeo VIII “Evergete II” (170 – 116 a.C.), che ha dedicato un naos alla dea Iside aggiungendo una nuova sala alla cappella originale, e Tolomeo XII “Neo Dioniso” (80-51 a.C.) che dedicò un altro naos al dio Amon.
Dopo l’annessione dell’Egitto all’Impero Romano, furono invece Augusto, Tiberio e, forse, gli Antonini gli autori delle ultime aggiunte architettoniche che portarono alla conclusione dei lavori di costruzione; in particolare costruirono il pronao con la facciata scandita da una porta affiancata da due colonne su ogni lato.
Aggiunsero i rilievi sulla facciata originale del tempio di epoca tolemaica e decorarono le pareti interne nord, sud ed est del pronao e degli intercolumni esterni.
Inoltre, probabilmente sotto Tiberio, venne realizzato un edificio annesso, addossato al tempio, chiamato “Mammisi”.
In generale i templi di questo periodo storico non ottennero il favore e l’apprezzamento degli studiosi del XX secolo perché essi vedevano queste architetture non genuinamente egiziane ma contaminate da elementi esterni, e questo fatto li portava a considerarle appartenenti ad un periodo di decadenza rispetto alla “classicità” del Medio e del Nuovo Regno e, quindi, non “degne” di essere studiate ed apprezzate.

Al contrario, invece, con l’evoluzione della concezione storica si è compreso il valore e l’importanza anche di questi edifici in quanto sono la più viva espressione di una variopinta ed eterogenea realtà teologica che, con la sua esuberanza, sembra quasi gridare che la principale necessità è quella di evidenziare molti dei rituali che componevano il culto divino, al contrario dei templi più antichi che, invece, non esplicitavano nello stesso modo tali concezioni religiose e teologiche.
I templi che vennero costruiti in Egitto dal III secolo a.C. al II secolo d.C. furono come degli enormi libri di pietra, i cui muri accoglievano una grande quantità di testi, elaborazioni teologiche e corpus rituali che, al contrario, nei santuari più antichi erano destinati ad essere conosciuti solo da una ristretta parte del clero, in particolar modo conservati su dei supporti più fragili come i rotoli di papiro.

È così che dal cuore dell’Africa i dinasti meroitici, discendenti dai re negri della XXV dinastia, hanno lasciato le loro impronte in differenti progetti architettonici religiosi di inequivoco carattere egiziano, come è il caso della cappella di Adikhalamani che d’altra parte rappresenta però anche un esempio speciale nel corpus dei templi appartenenti al periodo cronologico del II secolo a.C.

La dedica della cappella di Adikhalamani

Il nucleo originario del Tempio di Debod venne realizzato, dunque, dal sovrano meroitico Adikhalamani nel periodo in cui gran parte dell’Alto Egitto, e la Bassa Nubia, si trovavano al di fuori della sfera di influenza della sovranità dei re di Alessandria.
L’edificio al momento dell’edificazione venne chiaramente dedicato a due divinità principali: la metà settentrionale della cappella al dio Amon di Debod e la metà meridionale alla dea Iside di Abaton (a File).
Per quanto riguarda il dio Amon, la dedica della cappella al dio si individua nella grande iscrizione scolpita sulla Parete Est, metà meridionale, dove i resti sono piuttosto scarsi, ma possono ancora essere letti così: “[Amon di]? .. Debod, insieme con la sua Enneade sul suo grande trono, nella sua [dimora sacra], (e) la bellezza [nella] casa [(di) Amon] (di) Debod, insieme con la sua Enneade. (Quello che è stato) distrutto, è coperto (con) il telo, il misterioso volto dei due dèi vestito … il dio Amon di Debod”.
Per quanto riguarda la dea Iside, essa presiede la parte meridionale della cappella: infatti vediamo il re che offre i sonagli a sua madre nella Parete Ovest, offre alla dea, nel muro sud, il collare wsḫ, mentre nella stessa parete sud si può ancora vedere l’offerta del pane: “[Consacrare] le porzioni di pane bianco a sua madre”. Dedicando la cappella a queste due emblematiche divinità, Adikhalamani pretese, probabilmente, perpetuare la tradizione che esisteva fino a quel momento.
Cioè utilizzò in modo propagandistico questa azione per mostrare continuità con la millenaria storia egizia come se fosse una linea senza soluzione di continuità, per confermare così l’autorità del trono meroitico nella regione, come già aveva fatto, tra l’altro, il suo predecessore al trono Arkamani (Ergamenes II).
Questa volontà, in particolare, si materializza nella disposizione dell’immagine del dio Amon sulle pareti della metà Nord della Cappella, mentre le pareti della metà Sud vedono la disposizione delle immagini della dea Iside, fatto questo che implica un altro importante indizio, espresso chiaramente dal progetto stesso della costruzione e della decorazione della cappella.
Cioè si vuole materializzare e fissare concretamente con la costruzione del tempio di Debod il centro geografico, ovvero “cosmico”, che Adikhalamani osservò nell’ora della costruzione della cappella dedicandola alle due divinità citate, perché Iside è, a Debod, colei che è presente e che governa il territorio a Sud (di Tebe), mentre l’Amon che si incarna nella cappella di Adikhalamani è il dio che è presente e che governa a Nord (di File).
Così entrambe le città sante ed entrambi i santuari (quello di Amon di Karnak e di Iside a File) segnano i punti di confine entro i quali era il territorio ideale e reale messo a punto per il pianificato esercizio di sovranità di Adikhalamani nella veste di re di tutto l’Egitto, della terra tra i confini mistici segnati da Tebe al Nord e da File al Sud.
Per eseguire la cerimonia della consacrazione della cappella, il re è rappresentato con indosso la Corona Rossa, l’emblema della sovranità sul Nord dell’Egitto, mostra la collana wsḫ, indossa bracciali ai polsi e alle braccia, è stretto dentro il gonnellino šndyt con la coda di toro e porta la barba rituale.
Ciò che il re è intento a fare è la cerimonia del “bussare alla porta” con la mazza che solleva con la mano sinistra, mentre alza la destra nel gesto cerimoniale usato per intonare le frasi rituali.

Il tempio

I templi egizi non sono stati costruiti con lo scopo di realizzare centri per un culto di tipo pubblico come le nostre chiese, ma anzi, il monarca erigeva il tempio come se fosse esso stesso un altare alla divinità tutelare e una sorta di memoriale personale a se stesso.
Da quello che sappiamo, la gente comune non poteva accedere ad alcune parti dell’edificio, che si presentava come un recinto chiuso, frequentato solo dai sacerdoti, questo perché in questo modo lo si voleva proteggere da qualsiasi impurità esteriore che ne avrebbe potuto attenuare la natura divina o avrebbe potuto causare l’abbandono del luogo da parte della divinità.
Il santuario era l’espressione simbolica del Cosmo, in quanto riproduceva il momento del primo giorno e incoraggiava, attraverso l’osservazione e la celebrazione dei riti, la permanenza del dio e il rinnovamento della creazione originale della vita, degli dei, degli uomini e di tutto ciò che esiste in cielo e in terra.
Il tempio egizio era il luogo dove abitava la divinità, dunque, la sua casa terrena.
Non si conosce la festa scelta per iniziare le cerimonie che hanno presieduto alla costruzione del tempio di Debod, ma altri esempi ci portano più vicino a conoscere con quale rito venne realizzata la fondazione di questo santuario.
La costruzione del tempio faceva parte delle attività divine cui poteva partecipare (dogmaticamente) solo il re insieme a determinate divinità. Per esempio Seshat si occupava della delimitazione del terreno e questo compito lo eseguiva insieme al re tendendo le corde fra due paletti attraverso la cerimonia Pedy Shes. Questo lavoro doveva essere compiuto di notte ed è così che una volta scelto il sito, attraverso l’osservazione delle stelle, si decideva quale sarebbe stato l’orientamento dell’edificio religioso. Nel caso di Debod venne scelto l’orientamento est-ovest, in modo che l’asse del santuario fosse nel solco tracciato dal sole nel cielo, e perpendicolare al corso del dio Hapi, il Nilo.
Una volta orientati i quattro angoli dell’edificio, in ciascuno di essi veniva fatta una piccola fossa dove mettere amuleti e oggetti per proteggere e dare forza magica al nuovo recinto sacro.
Per poter “funzionare” il tempio doveva essere abitato dal dio al quale era destinato e dalla sua corte e questa comunità divina si incarnava nelle statue che venivano alloggiate nelle diverse cappelle e nei bassorilievi che ricoprivano le pareti.
Questi però erano oggetti creati da mano umana e quindi era necessario animarli infondendo divinità attraverso determinati rituali, primo fra tutti il rito dell’Apertura della Bocca: si “aprivano” gli occhi, il naso, la bocca delle immagini divine con lo scopo di comunicare loro le funzioni vitali con le quali respirare, vedere, sentire e assaporare.
A questo punto il tempio, le sue statue e i suoi bassorilievi erano divenuti esseri viventi capaci di agire ed era in questo modo che il re creava un monumento che, non solo, celebrava la potenza del dio ma, grazie all’energia vitale instillata nelle sue immagini, permetteva il compimento e l’efficacia dei riti.
Per entrare all’interno del santuario, gli egiziani percorrevano la via processionale che dal molo li conduceva sotto i portali (1) in pietra di accesso al tempio e nel caso del tempio di Debod queste estensioni sono state costruite durante l’ampliamento tolemaico e in epoca romana (http://templodedebod.memoriademadrid.es/eng/visitaVirtual_pilono2.html).
Il Tempio di Debod conserva in alcune parti ancora la decorazione originale degli interni e si compone di un vestibolo, di alcune cappelle e di una terrazza al piano superiore.
In particolare si segnala la Cappella dei Rilievi, che presenta le decorazioni originali dedicate da Adikhalamani ad Amon, Iside, Hathor e Osiride e il “Mammisi”, la cappella dove venivano celebrate le cerimonie della nascita del dio Horus e che testimonia i rifacimenti di epoca romana.

La facciata principale

La facciata del tempio è ancora quella originale eseguita in epoca tolemaica, ma i rilievi degli intercolumni esterni ed interni del vestibolo sono andati invece distrutti nel XIX secolo, e solo un frammento originario rimane all’interno della parete sud.
Tuttavia, la decorazione si conosce ed è documentata dalle testimonianze grafiche e fotografiche, ed è in questo modo che sappiamo che negli intercolumni esterni era rappresentato il Princeps Augusto nell’atto di adorare il dio Amon, porgendo l’offerta della dea Maat al dio Osiride, offrendo un vaso di vino alla dea Iside e con Augusto rappresentato anche davanti al dio Mahesa.
Addossato al tempio si trova il Mammisi di epoca romana che presenta caratteristiche simili al tempio di Hathor di Deir el-Medina.

Il Vestibolo o pronao (2)

Una volta oltrepassata la porta di ingresso, si entra nel vestibolo ipostilo sorretto da colonne, un’estensione realizzata in epoca tolemaica, che dà accesso diretto alla cappella di Adikhalamani e, seguendo la simmetria tipica di questi santuari, si accede alla sala Uabet così come ad un corridoio (10) e alla scala (11) che porta al piano superiore dove si trovano la cappella di Osiride (12) e la Terrazza (13).
Tuttavia, questa simmetria è rotta dall’ingresso diretto al Mammisi addossato al tempio, proprio sulla parete sud del vestibolo. All’interno del pronao si conservano ancora oggi raffigurazioni di Augusto nell’atto di eseguire diversi rituali agli dei e, in particolare, nella parete occidentale interna, lato sinistro della cappella, è presente il Princeps Augusto raffigurato nell’atto di consacrare alla dea Iside tre animali sacrificali (toro, gazzelle e antilope).
Nella parete interna occidentale, ma sul lato destro, Augusto invece è rappresentato nel momento in cui porge delle offerte di cibo agli dei Amon e Mahesa, offre due bicchieri di vino al dio Thoth di Pnubs, mentre, sulla sinistra dello stipite della porta sud, è presente l’ureo W3ḏt arrotolato su di uno stelo di papiro. Sulla porta nord del vestibolo sull’architrave è presente il disco solare alato di Horus Bḥdt, la divinità solare il cui simbolo è posto di solito al di sopra degli ingressi e delle porte delle camere dei templi per proteggerne l’interno dalle aggressioni esterne.
Questa porta, in particolare, dà accesso alla sala Uabet, la stanza in cui si effettuavano le cerimonie relative al rituale di purificazione. Sugli intercolumni interiori del vestibolo, distrutti nel XIX secolo, esistevano dei rilievi, dei quali ci rimangono delle raffigurazioni: rappresentato nella parete est si distingue l’imperatore Tiberio purificato dalle divinità Thoth e Horus in presenza del dio Amon, mentre Augusto con gli stendardi è in presenza di Imhotep divinizzato.
Sulla parete nord, Augusto offre incenso e libagioni a Osiride-Iside-Horus.
Infine, nella parete sud si individua l’immagine di Augusto (non scolpito) davanti ad Osiride e Iside, Shepses-Nofret, Arpocrate (tutti distrutti) e Imhotep che portano nelle loro mani la croce ʽnḫ e una tavoletta di geroglifici.

La Cappella dei Rilievi o di Adikhalamani

A questo punto si eccede nella parte più antica del tempio, che è ancora conservata nel suo stato originale, anche se gli archeologi polacchi riferiscono nelle annotazioni dei loro scavi l’esistenza di un edificio cronologicamente anteriore alla cappella di Adikhalamani, databile al regno di Seti II (1201-1196 a.C.), poiché venne ritrovato un blocco con il cartiglio di questo faraone in prossimità del tempio.
Questa teoria sembra molto verosimile, considerando la presenza ramesside in Nubia e forse lo stesso re di Meroe riutilizzò alcuni dei blocchi del XIII secolo per l’edificazione di questo piccolo tempio.
La cappella di Adikhalamani è completamente decorata con scene di culto divino simili a quelle di altri templi, in cui il sovrano adora divinità diverse e realizza differenti offerte. Tutte le pareti, est e ovest, sono ricoperte con questi motivi di contenuto rituale.
La cappella venne consacrata, fin dal momento della sua costruzione, al culto del dio Amon e alla dea Iside, ma anche altre divinità rappresentate sulle pareti della cappella sono raffigurate nell’atto di ricevere culto come Mut, Osiride, Horus (Arpocrate), Harendotes, Ra-Harakti, Hathor, Nefti, Khnum, Satis, Anukis, Aresnufis, Sekhmet, Tefnut, Min, Uadjet e Nekhebet.
Appena oltrepassata la soglia della cappella, a destra e a sinistra, possiamo vedere il dio Thoth che purifica con acqua chi accede alla cappella (parete nord), e il dio Horus che esegue la stessa azione, entrambi con accanto Imhotep divinizzato (parete sud).
Qui inoltre, è rappresentato l’atto di purificazione finale del culto divino giornaliero, secondo il rito del tempio di Edfu: il sacerdote officiante versava quattro volte acqua pura verso il naos con il vaso delle libagioni ḳbḥw; realizzava la purificazione con cinque grani di natron di Nejeb, unzione con l’olio santo e aspersione con l’acqua di vita e di potenza di Quererte, il luogo mitico della prima cateratta. Sopra gli dei purificatori si può leggere ancora parte del testo per la celebrazione del culto divino giornaliero, il momento in cui la divinità si risveglia e la si esorta a rimanere attiva per la protezione di Debod e del re.
Continuando il percorso, su entrambe le pareti che conducono all’entrata del naos vediamo che anche qui, ad opera del sovrano di Meroe, è perpetuato il concetto politico e religioso dell’unione delle Due Terre: sulla parete nord, Adikhalamani si mostra sotto la protezione del dio Amon e le divinità del Basso Egitto, mentre sulla parete sud, appare davanti ad Iside e a divinità provenienti dall’Alto Egitto. È rappresenta in questo modo la Terra dell’Egitto unificato.
Nel dettaglio possiamo vedere nella Parete Nord il sovrano che si pone sotto la protezione del dio Amon e realizza la tradizionale offerta della Maat, insieme ad altre offerte e rituali del culto divino giornaliero.
Il Re è poi rappresentato mentre tiene le mani di Amon e della dea Mut, ed in questo modo riceve la protezione degli dei della cataratta, Khnum-Ra, Satis, Petensenis (una forma locale di Horus) e Anukis, così come sono raffigurate la “dea mito lontano” e la dea Sekhmet.
Ma su questa parete sono presenti anche divinità tipicamente del nord come il bambino Horus-Arpocrate, custodito e protetto dalla dea cobra protettrice del Basso Egitto, Uadjet. Nella Parete Sud invece i rilievi mostrano una versione del mito divino in base al quale il re è associato al dio Horus-vendicatore-di suo-padre (Harendotes), con scene di culto in cui Horus bambino è protetto da Nekhbet, la dea avvoltoio del sud.
Adikhalamani si dichiara figlio di Iside offrendo a lei l’olio mḏt, il pane bianco a forma di piramide ʽḳw, il collare wsḫ e offre a lei i sistri. Poi offre un amuleto al dio Min e alla dea Neftis, coloro che gli danno la divinità e la forza.
La presenza solare per il re è rappresentata dagli dei Ra-Harakti, assimilati qui al dio Horus di Edfu e dalla dea nubiana Apset, “la fiamma che brucia i nemici del re”, e Adikhalamani di nuovo offre la Maat agli dei.
Il dio Harendotes e la dea Hathor ricevono dal sovrano l’occhio W3ḏt, e in cambio gli concedono la terra e tutto quello che in essa esiste. Infine, con una complessa corona Atef sul capo, avvengono i riti di aspersione, fumigazione e offerta della collana al dio Osiride accompagnato dalla sua sposa divina, la dea Iside.

L’Anticamera del naos (4)

Dalla Cappella di Adikhalamani, giungiamo all’anticamera del naos, lo spazio che introduceva nella stanza più importante del tempio, il sancta sanctorum, la dimora terrestre del dio, a cui vi accedevano solo i sacerdoti officianti.
L’Anticamera era un piccolo vestibolo: ”La Sala dell’Altare o delle offerte” (wsḫt-ḥtp) che a sua volta dava accesso a due stanze laterali al naos, a destra e a sinistra (6).

Le Cappelle laterali (6)

Il re Adikhalamani offre la Maat

Queste due stanze erano dedicate ad accogliere altre due divinità che possiamo identificare con Pr-Wr e Pr-Nw, cioè “Cappella del Nord” e “Cappella del Sud”, tipiche dei templi egizi dell’epoca, che erano dotate di cripte (7) o camere nascoste, dove venivano custoditi gli oggetti sacri impiegati nel culto giornaliero delle divinità residenti a Debod.
Inoltre, qui venivano depositati anche altri oggetti utilizzati nei riti come vestiti, ornamenti, profumi e oggetti simbolici come la Maat e l’Occhio Uadjat, così come anche cibo e bevande che erano le offerte principali.
La Cappella Nord potrebbe essere stata dedicata agli dei Jnum e Mahesa, mentre la Cappella Sud al dio Osiride. In queste cappelle si effettuavano rituali e sacrifici giornalieri a mezzogiorno e al tramonto e in esse erano presenti anche altari e statue di altre divinità residenti a Debod.

La Sala del naos (5)

La sala del naos è la sala principale del santuario, il luogo più sacro del tempio nella cui oscurità viveva il dio.
È qui che Tolomeo XII “Neo Dioniso” (80-51 a.C.) dedicò un sacello al dio Amon, in granito rosa, all’interno del quale era custodita la statua di culto del dio.
L’accesso in questo spazio del tempio era permesso solo ai sacerdoti.
Tuttavia, in origine non era l’unico naos esistente in questa stanza. Non era abituale nei templi egizi che in una stessa stanza venissero depositati due naos per custodire la presenza di due divinità che, al principio, non possedevano alcuna relazione teologica tra di loro, però qui è documentata l’esistenza di un secondo naos che venne dedicato da Tolomeo VIII “Evergete Trifone” alla dea Iside, ora però scomparso.
A questo punto torniamo al pronao o vestibolo ipostilo (2), per accedere al piano superiore attraverso la stretta scala (11), ma prima di salire è presente un ingresso aperto a destra che conduce ad un corridoio (10).

Il Corridoio (10)

Questa stanza o corridoio che comunica con la cripta della Cappella Sud dedicata ad Osiride, potrebbe essere stata utilizzata per eseguire le funzioni della cosiddetta “Biblioteca”, che è presente anche in altri templi tolemaici.
Queste “case del libro” infatti erano i luoghi dove venivano depositati e custoditi i rotoli di papiro sui quali erano redatti testi sacri, “trattati” di astronomia e di medicina, i cui più famosi esempi sono quelli di Dendera ed Edfu, le cui iscrizioni sulle pareti ne indicano la funzione.
Qui a Debod non sono presenti iscrizioni che ci possano far dire con assoluta certezza che questa stanza avesse quelle stesse funzioni che conosciamo in altri luoghi, ma è solo in base alla sua posizione planimetrica che ne viene attribuita l’antica funzione.
Ora, tornati sulle scale, iniziamo la salita al piano superiore dove troviamo la cappella di Osiride (12) e la terrazza (13).

La Cappella di Osiride (12)

Salendo la prima rampa di scale ci troviamo di fronte una piccola stanza.
Questa ha una forma rettangolare con una finestra di 60 cm di lato sulla parete sud e un foro di dimensioni minori sulla parete ovest.
La finestra era impiegata probabilmente come nicchia cultuale per la pratica dei misteri osiriaci, mentre il foro potrebbe essere stato utilizzato come armadio.
Questa camera avrebbe dovuto avere delle aperture sul tetto in modo da fornire la luce indiretta necessaria all’Osiride vegetante depositato nella finestra della parete sud, perché infatti è così che si celebravano i misteri di Osiride: l’immagine del dio veniva modellata con una miscela di terra e semi di cereali e annaffiata con regolarità. Il grano germogliava e dal corpo della divinità sorgevano le piantine, simbolo della resurrezione del dio Osiride e con essa di tutta la creazione.

Il tempio di Debod nella sua sede originaria, 1907

La Terrazza (13)

La scala del tempio Debod rappresentava l’ultima fase delle celebrazioni in occasione della Festa del Nuovo Anno, conosciuta anche come Festa del Re e di tutti gli dei.
Questa festa era destinata a proteggere con i suoi riti magici il passaggio da un anno all’altro: si preparavano le immagini divine per una breve processione che iniziava all’interno del tempio partendo dalle cappelle, si passava attraverso la Sala Uabet e la cerimonia si concludeva sulla terrazza, sotto i raggi del Sole.
In questo modo le principali statue divine del tempio erano trasportate dai sacerdoti; erano vestite e preparate per la cerimonia probabilmente nel vestibolo anteriore alla Sala Uabet, ed erano condotte in processione, con passo lento, intonando litanie, salendo i gradini che portavano alla terrazza.
Una volta giunti in questo ambiente, si praticava la cerimonia dell’esposizione delle statue divine alla luce solare e poi, finiti questi sacri atti, le statue tornavano ognuna nella propria cappella.
Oggi la terrazza è uno degli ambienti maggiormente modificati rispetto all’aspetto originario perché originariamente a cielo aperto, per motivi di conservazione è stata coperta (http://templodedebod.memoriademadrid.es/eng/visitaVirtual_terraza_entrada.html).
Tornando di nuovo giù al vestibolo si entra nel mammisi (9).

Interno del tempio di Debod / ph. Francesca Pontani

Il Mammisi (9)

Dal vestibolo colonnato (2), entriamo nell’ultimo ambiente che venne aggiunto in epoca romana, probabilmente durante il principato di Tiberio (14-37 d.C.): si tratta dell’edificio che rompe la simmetria tipica dei santuari egizi. Il mammisi è una parola di derivazione copta che significa “luogo di nascita”, attribuito da Champollion ai piccoli edifici innalzati in epoca tolemaica davanti ai piloni.
In questa stanza, denominata nei testi Pr-Ms, si celebravano le cerimonie che evocavano la nascita del dio Horus. Infatti, nei templi che erano abitati da una triade, quando la dea madre si recava a partorire il piccolo dio (il figlio della triade) si riteneva che essa si recasse nel mammisi. Sembra che il bambino divino venisse assimilato al faraone e così ogni anno delle cerimonie particolari ripetevano i misteri della nascita. Le pareti di Debod non hanno tuttavia iscrizioni, però possiamo supporre la sua funzione attraverso le scene presenti sulle pareti di altri mammisi conosciuti come quello di Edfu, Dendera, File, Kom-Ombo e Esna. Così sappiamo di questo rito che prevedeva l’unione del dio con la dea, la plasmazione del bambino reale, il riconoscimento del figlio da suo padre, l’allattamento al seno e l’investitura del dio-figlio. Sicuramente il mito del mammisi di Debod era collegato con l’”Horus figlio di Osiride”, sotto la forma di Petensenis, “il Faraone di Biga”, il culto del quale è presente nei rilievi della cappella di Adikhalamani e nei templi di Dakka e Philae.
Nella parete ovest è presente un buco che può essere stato destinato ad un’immagine divina collegata allo svolgimento delle cerimonie della “nascita divina”, mentre nella parete sud vi è un’apertura che permetteva l’ingresso di un raggio di luce in modo da creare una leggera penombra all’interno della totale oscurità, creando così l’atmosfera adeguata al mistero della nascita.

La facciata posteriore

Qui si può vedere l’unico rilievo esistente esterno, ma molto deteriorato, che raffigura gli dei Amon di Debod e il dio leone Mahesa, guardiano dei luoghi sacri.

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