Prorogata fino all’8 maggio 2022 a causa del lungo periodo di lockdown e con un percorso modificato, la mostra “Sotto il cielo di Nut. Egitto divino” ospitata al Civico Museo Archeologico di Milano consente ai visitatori di compiere un percorso nella spiritualità antico-egiziana. Nella precedente edizione erano esposte alcune opere concesse in prestito da molti musei italiani (Museo Egizio di Torino, Museo Archeologico Nazionale di Firenze, Museo Civico Archeologico di Bologna, Civico Museo di Antichità “J.J.Winckelmann” di Trieste, Museo di Archeologia dell’Università di Pavia). Al momento sono esposte circa 150 opere del Civico Museo Archeologico di Milano, recentemente restaurate.

L’esistenza di un ampio pantheon di divinità è senza dubbio ciò che caratterizza e rende affascinante ai più la civiltà egizia, oltre ai complessi rituali che accompagnano la loro vita. La mostra propone quindi un viaggio alla scoperta del divino: partendo dalla creazione del cosmo, passando poi per le modalità rappresentative degli dei, arriva ad esplorare le caratteristiche della preghiera e della devozione dei fedeli e infine il momento della morte.

Per il mondo egiziano non esiste un unico mito della creazione, come accade per le grandi religioni monoteiste, ma a seconda delle località e delle tradizioni si possono individuare versioni diverse. Nonostante le differenze, partono tutte da un concetto comune: in principio vi era il Nun, l’immenso mare primigenio – immagine del caos – da cui nasce la vita. Infatti, da queste acque sarebbe emersa la collina primordiale, dalla quale, nel caso della tradizione eliopolita, Atum avrebbe creato se stesso e le altre divinità, cioè Shu e Tefnut – l’Aria e l’Ordine – fratello e sorella e allo stesso tempo marito e moglie che, a loro volta, generarono Nut e Geb – il Cielo e la Terra.

Dopo tutti questi avvenimenti mitici, tra cui l’unione di Nut e Geb e la loro separazione ad opera del padre Shu, poté finalmente sorgere il Sole, inizialmente rappresentato come un bambino e poi come Horus bambino con la testa di falco. Ad esso si affianca il dio sole Ra, nato dalle acque del Nun, che ogni giorno viaggia da Oriente a Occidente, per poi tramontare e rinascere il mattino seguente dalla dea Nut.

Statuetta di falco-Horus di Epoca Tarda, ph. Mara Zoppi.

In questo modo si crea un ciclo di nascita-morte-resurrezione a cui l’uomo egiziano assiste e partecipa ogni giorno. Ma nel percorso notturno di Ra, quando attraversa l’oltretomba per poter risorgere a Oriente il mattino seguente, le forze distruttrici possono potenzialmente fermare il suo percorso e così provocare nuovamente il caos. La lotta tra bene e male, tra ordine e caos, spaventa tanto gli dei quanto l’uomo, che è chiamato a collaborare per mantenere l’equilibrio – incarnato e mantenuto dalla dea Maat. In particolare, è il faraone che deve garantire equità e giustizia nell’universo terreno e fare da intermediario tra mondo umano e divino.

Stele funeraria di Petosiri (dalla Coll. Bresciani): viene raffigurata la dea Maat con la piuma sul capo in atto di garantire protezione al defunto.
Ph Mara Zoppi.

Il rapporto uomo-dio si manifesta attraverso la devozione, la preghiera e la ritualità e con il ricorso alla magia. Questa è fondamentale sia per mantenere l’ordine cosmico, sia per evitare che forze maligne colpiscano gli uomini nella loro quotidianità e quindi per mantenere gli dei benevoli nei loro confronti. La richiesta di protezione si traduce nel potere degli amuleti – piccoli oggetti che raffiguravano divinità, animali, parti del corpo umano – portati in collane e anelli oppure posti all’interno delle bende che avvolgevano le mummie

Amuleti di Epoca Tarda, ph. Mara Zoppi.

Parlando di mummie, la mostra ospita quella di Peftjauauiaset, risalente alla XXV-XXVI dinastia (712-525 a.C. ca.), con i corrispettivi sarcofagi e corredo funebre. Di quest’uomo non si conosce né la posizione sociale, né la professione, ma dalle indagini diagnostiche è emerso che morì a circa quarant’anni. In particolare, sul sarcofago a cassa viene rappresentata sul lato corto la dea alata Nefti mentre protegge il defunto, sui lati lunghi invece appare una sequenza di divinità dell’Aldilà. Sull’esterno del coperchio a forma umana che conteneva la mummia del defunto compare invece la dea Nut alata e inginocchiata con i simboli di vita nelle mani e affiancata dalle dee Iside e Nefti.

Si arriva così all’ultima parte della mostra, dedicata al tema della morte a cui segue una nuova vita nell’Aldilà, dove il defunto si troverà di fronte al dio Osiride e ad altre 42 divinità-giudici per la pesatura del cuore – ovvero la psicostasia. Su una bilancia a due bracci venivano messi da un lato il cuore del defunto e dall’altro la piuma di Maat: il defunto poteva essere accolto nel regno di Osiride soltanto se il suo cuore fosse stato più leggero della piuma. L’episodio della psicostasia è esposto nel Libro dei Morti: compare all’inizio del Nuovo Regno (1550 a.C.) ed è una raccolta di formule magiche, rituali e di inni corredati illustrazioni. Ogni manoscritto aveva lo scopo di accompagnare e guidare il defunto nell’Aldilà, dal momento della sua morte fino al suo arrivo nel regno di Osiride e al suo manifestarsi come ba – una delle componenti spirituali dell’uomo – al mondo dei vivi.

Papiro dell’Amduat del Museo Archeologico di Milano, ph. Mara Zoppi

Solamente dopo la morte l’uomo poteva congiungersi con gli dei e dimorare con loro nell’Aldilà: la giusta ricompensa per una vita retta e soprattutto devota.

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