Abbiamo spesso parlato di Pompei come di una città dalle molteplici identità, dove distinguere quale sia la parte predominante sembra davvero difficile. Quella che oggi vediamo è la città romana fino al 79 d.C., ma la ricerca del passato della città vesuviana ci porta sempre più indietro alla ricerca di dati e informazioni preziose che ne ricostruiscano tasselli importanti. Il viaggio degli archeologi che hanno scavato un pezzo di Pompei ci conduce in una parte poco conosciuta, non siamo dentro il sito del parco archeologico ma in un’area sacra, probabilmente un santuario, posto al centro della città moderna, un tempo sede di una cava per l’estrazione del lapillo di proprietà Iozzino.
L’area fu indagata a partire dal 1960 e poi dal 2014 in maniera sistematica e continuativa. Quello che è emerso è davvero sorprendente: un capitolo inedito della Pompei pre-romana fatto di sacro e oggetti votivi per chiedere alle divinità qualcosa o per sancire un passaggio nei momenti più salienti dell’individuo stesso: il passaggio dall’età dei fanciulli a quella di adulti, il matrimonio, la nascita del primo figlio e l’iniziazione alle armi, tutti valori che una società antica non poteva non condividere con la comunità e con il dio. La maggior parte degli oggetti votivi di Pompei proviene dalle aree cultuali più famose, come quelle del Santuario di Apollo, di Atena ed Eracle nel Tempio dorico, o del Capitolium.
Ma sicuramente eccezionali nella loro unicità sono i tanti reperti che il Santuario di Fondo Iozzino ha restituito alla comunità, molti dei quali ritrovati intatti così come al momento della loro deposizione e pertinenti ad un lungo arco cronologico che va dal VI secolo al I secolo a.C.
I recenti scavi, che si sono concentrati tra i due recinti sacri, hanno portato in luce uno strato frequentato sin dal VI secolo a.C. in cui vi erano deposte armi in bronzo e ferro, vasellame ceramico (brocchette, kantharoi, scodelle) soprattutto in bucchero e deposto intenzionalmente, come un’offerta votiva. Tra i ritrovamenti anche un gran numero di armi: corte spade, una ventina di punte di lancia in ferro con manici in bronzo, cuspidi di giavellotto, uno scettro in ferro, rarissimo per l’Italia meridionale, e un grande scudo in bronzo con la fascia interna decorata, dove poi veniva infilato il braccio. Per chi indaga sull’origine di Pompei, se città etrusca o greca, sa bene quanto importanti possano essere per l’età arcaica i numerosi oggetti in bucchero ritrovati con iscrizioni graffite in lingua etrusca, ad ora il più grande corpus di iscrizioni etrusche rinvenuto in tutto il sud Italia. In particolare, il vasellame in bucchero, era utilizzato per sacrifici che prevedevano offerte liquide di vino bianco o rosso o infusi di erbe.
Le iscrizioni sono state trovate sulla vasca e sul piede di scodelle e di vasi da banchetto che, dopo l’uso, venivano capovolti e deposti a terra. Ma che informazioni ci danno queste scritte? Le iscrizioni rivelano i nomi degli offerenti, etruschi che venivano addirittura anche dalla Toscana, e i nomi delle divinità a cui era dedicato il santuario, forse Giove Meilichios, il dio “apa”, “padre”. Oltre alle iscrizioni, curiosi sono anche altri segni graffiti ritrovati, come asterischi, croci, alberelli e stelle a cinque punte. Altre offerte alle divinità sono i bellissimi anelli in oro e argento con pietre decorate e altro vasellame proveniente dal grande bacino del Mediterraneo, tra cui vasi attici, contenitori porta profumi da Corinto, unguentari configurati a gamba provenienti dal mondo ionico e coppe etrusco-corinzie.
GALLERY: