Roma brucia. Correva l’anno 64 d.C.

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Era la notte tra il 18 e il 19 luglio del 64 d.C. quando scoppiò il grande incendio di Roma che colpì la zona del Circo Massimo e infuriò per nove giorni complessivamente lambendo quasi tutta la città. Lo storico Tacito, che scrisse dell’accaduto, lo annoverò come uno dei più gravi fatti che colpì l’Urbe e sin dall’inizio del suo racconto evidenzia come siano incerte le origini del disastro.

« Iniziò in quella parte del Circo che confina lungo il Palatino e il Celio, dove il fuoco, scoppiato nelle botteghe che contenevano prodotti altamente infiammabili, divampò subito violento, alimentato dal vento, e avvolse il circo in tutta la sua lunghezza, visto che non esistevano palazzi con recinti o templi cinti con mura o qualcosa che potesse fermare le fiamme. » (Tacito, Annali, XV, 38.2.)

Nerone che guarda l’incendio di Roma da un dipinto di Karl Theodor von Piloty (1861 ca.)

Il grande incendio quindi sarebbe stato alimentato dalle costruzioni di legno ma anche dal vento che spirava, diffondendosi così con grande rapidità e senza trovare grossi impedimenti. Tacito menziona addirittura di personaggi che avrebbero impedito i soccorsi e avrebbero attizzato le fiamme, impedendo così ai vigiles, cioè al corpo speciale preposto per lo spegnimento degli incendi a Roma, di compiere il proprio lavoro. Non sappiamo l’identità di questi insubordinati, forse si pensa a dei saccheggiatori che agivano durante i disastri. Il vero protagonista però di questo terribile episodio passato alla storia che, ancora dopo secoli lo accusa, fu l’imperatore Nerone. L’imperatore però non si trovava a Roma in quei giorni ma ad Anzio e sarebbe rientrato in città solo quando le fiamme stavano per lambire la sua residenza che aveva fatto costruire per unificare il palazzo sul Palatino e gli Horti Maecenatis. Addirittura si sarebbe occupato di soccorrere i feriti e i senza tetto aprendo i monumenti come luoghi di alloggio (Pantheon, le terme, il Porticus Vipsania e i Saepta Iulia, i giardini di Agrippa sul Campo Marzio), allestendovi baraccamenti, facendo arrivare le provviste dai dintorni e abbassando il prezzo del grano a tre sesterzi il moggio, visto il momento di crisi della città. Tutte queste azioni, secondo Tacito, sarebbero state messe in pratica dall’abile Nerone solo per aggraziarsi la plebe e tuttavia senza ottenere nessuno scopo vista la voce in circolo circa l’imperatore che mentre il fuoco infuriava visibile dal suo palazzo si sarebbe messo a cantare della distruzione di Troia. Le fonti antiche devono ovviamente essere interpretate tenendo conto dell’ostilità degli storici verso Nerone; Tacito apparteneva all’aristocrazia senatoria ostile alla politica dell’imperatore che invece favoriva i ceti popolari e produttivi.

Nerone a Baia, olio su tela di Jan Styka

Le fonti antiche non hanno dubbi nel ritenere l’incendio di origine dolosa, sottolineando alcune particolarità come l’espandersi dell’incendio senza seguire i venti, il fatto che le fiamme bruciavano anche edifici in pietra e che dopo che sembrò essersi esaurito, un secondo e terribile incendio divampò nuovamente causando altri danni. Non essendo testimoni dei fatti ma osservando l’episodio con un’intensità emotiva meno carica di avversione verso la figura di Nerone possiamo dire, grazie anche all’osservazione dei grandi incendi dei nostri giorni ,che le fiamme tendono ad espandersi alla ricerca di altro ossigeno che permetta la combustione e che gli edifici in pietra possono prendere fuoco in seguito all’incendiarsi di mobilio in legno che prende fuoco dall’esterno. Infine anche se l’incendio sembra essere assolutamente domato, le braci accese possono rimanere sotto la cenere causando l’improvviso riaccendersi di fiamme.

Locandina del film del 1913, Quo Vadis dove si vede Nerone intento a decantare l’incendio di Roma, quasi fosse l’incendio di Troia.

La colpa, secondo gli storici, fu di Nerone, la cui figura ci è stata tramandata quasi con un aspetto demoniaco e folle, che appiccò l’incendio a Roma per trarre spunto per il suo canto da una distruzione in fiamme di città e soprattutto per fare spazio per la costruzione della sua nuova residenza, la Domus Aurea. Tutto ciò che successivamente l’imperatore fece fu una prova tangibile della sua colpevolezza. Fece abbattere gli edifici sull’Esquilino per impedire un’ulteriore propagazione dell’incendio e fu accusato di voler creare ulteriori distruzioni; fece sgombrare macerie e cadaveri a proprie spese e allora venne accusato di volersi impossessare dei beni come uno sciacallo.

Secondo lo storico Tacito inoltre, nessuno di questi provvedimenti riusciva a sopire le voci sui sospetti della colpevolezza dell’imperatore nello scoppio dell’incendio:« Seguì un disastro, non si sa se dovuto al caso o alla perfidia del principe, in quanto le fonti tramandano entrambe le versioni, ma certamente più grave e più spaventoso di ogni altro che si sia mai abbattuto su Roma per la violenza del fuoco. » (Tacito, Annali, XV, 38.1.)

Nerone quindi, per mettere a tacere tutte queste voci, accusò i cristiani, «una setta invisa a tutti per le loro nefandezze», secondo Tacito i cui colpevoli sarebbero stati arrestati e condannati, non tanto per l’incendio ma per il loro “odio nei confronti del genere umano”. i Romani avevano inizialmente distinto con difficoltà i cristiani dalle altre sette giudaiche. Svetonio conferma che Nerone aveva mandato i cristiani al supplizio definendoli “una nuova e malefica superstizione”, senza collegare direttamente il provvedimento all’incendio.

Non sapremo mai la verità, ma certo è che la situazione che Nerone dovette affrontare dopo l’incendio fu molto grave. I costi per la ricostruzione furono tanto alti da esacerbare alcune situazioni di tensione sia con il senato e la plebe di Roma sia nelle province, provocando addirittura una forte perdita di consenso.

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Alessandra Randazzo

Studia Lettere Classiche presso il DICAM dell’Università di Messina. Ha ricoperto il ruolo di redattrice e social media manager per www.mediterraneoantico.it e attualmente per la testata Made in Pompei, inoltre è Ufficio Stampa per la società di videogames storici Entertainment Game Apps, Ltd.
Durante la carriera universitaria ha partecipato a numerose campagne di scavo e ricognizione presso siti siciliani e calabresi.
Per la cattedra di Archeologia e Storia dell’arte Greca e Romana presso il sito dell’antica Finziade, Licata (AG) sotto la direzione del Prof. G.F. La Torre, febbraio-maggio 2012; per la cattedra di Topografia Antica presso Cetraro (Cs) sotto la direzione del Prof. F. Mollo, luglio 2013; per la cattedra di Topografia Antica e Archeologia delle province romane presso il sito di Blanda Julia, scavi nel Foro, Tortora (Cs) sotto la direzione del Prof. F. Mollo, giugno 2016.
Ha inoltre partecipato ai corsi di:
“Tecnica Laser scanning applicata all’archeologia” in collaborazione con il CNR-IPCF di Messina, gennaio 2012;
Rilievo Archeologico manuale e strumentale presso l’area archeologica delle Mura di Rheghion – tratto Via Marina, aprile-maggio 2013;
Analisi e studio dei reperti archeologici “Dallo spot dating all’edizione”, maggio 2014; Geotecnologie applicate ai beni culturali, marzo-aprile 2016.
Collabora occasionalmente con l’ARCHEOPROS snc con cui ha partecipato alle campagne di scavo:
“La struttura fortificata di Serro di Tavola – Sant’Eufemia D’Aspromonte” sotto la direzione della Dott.ssa R. Agostino (Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria) e della Dott.ssa M.M. Sica, 1-19 ottobre 2012;
Locri – Località Mannella, Tempio di Persefone sotto la direzione della Dott.ssa R. Agostino (Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria), ottobre 2014;
Nel marzo 2014 ha preso infine parte al Progetto “Lavaggio materiali locresi” presso il cantiere Astaldi – loc. Moschetta, Locri (Rc) sotto la direzione della Dott.ssa M.M. Sica.

Collabora attualmente con la redazione di: www.osservarcheologia.eu

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