Quando Traiano ricevette la notizia della sua adozione da parte di Nerva e quindi, della sua successione, stava svolgendo le sue funzioni di governatore di provincia in Germania meridionale lungo il corso del Reno. Si recò a Roma solo nel 99 d.C. quando ebbe ultimato il lavoro di consolidamento del limes renano. Il governo dell’impero era stato affidato a quello che sarà definito l’optimus princeps, il migliore, che racchiudeva in sé le caratteristiche del buon generale, con una spiccata esperienza militare e il senso di appartenenza allo Stato romano, tipico della tradizione repubblicana, che in precedenza aveva perfettamente caratterizzato Augusto.
Queste due prerogative resero Traiano una figura molto amata, soprattutto dal senato, e lo inquadrarono, nel tempo, come il sovrano ideale rispettoso delle istituzioni, sottomesso alle leggi e gradito all’esercito. Le fonti su Traiano che ne hanno tracciato quindi il suo profilo, sono in realtà frutto di un ambiente a lui favorevole. Cassio Dione ne traccia ampiamente una narrazione continua nel libro 68, conservata nell’epitome bizantina di Xifilino, mentre altre notizie ci sono trasmesse dalle lettere ufficiali che si scambiavano Plinio il Giovane e Traiano stesso quando Plinio era governatore di Bitinia nel 111-113 d.C. Il Panegirico che Plinio pronunziò in senato nel 100 d.C., in occasione della sua elezione al consolato, voleva essere un manifesto sulle aspettative del senato verso il nuovo princeps, lontano da quel modello “tirannico” inaugurato da Domiziano.
Traiano veniva così a delineare quella figura di concordia tra ceto equestre e classe senatoria ma anche di buon intenditore di politica estera e interna, proprie di un generale. Tra i suoi programmi, grande rilievo ebbe l’espansione territoriale dell’impero, famose furono le sue campagne daciche nel 101-102 e nel 105-106 d.C., che ebbero e hanno un riscontro figurativo diretto nella realizzazione di una famosa colonna eretta nel Foro, su cui corre un bassorilievo a spirale con le rappresentazioni delle scene più salienti delle due spedizioni. Alla fine di queste imprese militari, la Dacia fu ridotta a provincia e la popolazione fu in parte deportata o costretta a lasciare la propria terra ai nuovi coloni arrivati da tutto l’Impero a sfruttare le ingenti risorse della regione. Nessuna delle altre spedizioni di Traiano ebbe fortuna, ad eccezione della Dacia che rimase romana per più di un secolo e mezzo. Traiano più volte venne richiamato a fronteggiare diverse rivolte, una in particolare scoppiata tra Ebrei in Mesopotamia ed estesasi anche a Cirene e altre province orientali, ma l’esito indusse l’imperatore ad abbandonare le nuove conquiste. Il princeps morì in Cilicia dopo essersi ammalato sulla via del ritorno verso Roma. Le truppe acclamarono così imperatore il governatore della Siria P.Elio Adriano, un parente spagnolo di Traiano. Il regno traianeo è caratterizzato anche da un marcato interesse dell’imperatore verso i più bisognosi. L’attuazione di un programma di sussidi alimentari, forse ideato da Nerva, è testimoniato anche da numerose epigrafi che documentano l’impegno di Traiano verso i ragazzi bisognosi. Esempio mirabile è un rilievo sull’arco di Benevento con episodio di istituzione degli alimenta, simboleggiato dalla raffigurazione di pani al centro di una tavola.
Come detto precedentemente, l’imperatore volle scolpire nella memoria di tutti le sue imprese in Dacia, facendo costruire una grande colonna coclide alle spalle della Basilica Ulpia, nella piazza fra le due biblioteche e il tempio del Divo Traiano. Si tratta di una colonna centenaria, ossia dell’altezza di 100 piedi, 29,77 metri, di ordine dorico ma con capitello adorno di kyma ad ovoli, poggiante su un alto basamento decorato da cataste di armi a basso rilievo. Sulla fronte verso la Basilica Ulpia e al di sotto di una epigrafe sorretta da vittorie, vi è una porta che conduce in una cella interna al basamento, dove furono collocate le ceneri dell’imperatore e dove comincia una scalinata a chiocciola che arriva fino alla sommità della colonna, dominata, un tempo, da una statua bronzea di Traiano.
Il materiale con cui venne realizzata la colonna è il marmo pario, in 19 blocchi e 18 rocchi, che comprendono la base, il capitello e l’abaco. Lungo la superficie del fusto, si snoda, come una sorta di rotolo di papiro, una fascia continua spiraliforme in cui vengono illustrati circa 200 metri di imprese belliche in 155 quadri (scene 1-50: anno 101 d.C.; 51-77: anno 102 d.C.; scene 79-97: giugno 105-inverno 106; scene 98-155: estate e autunno 106 d.C.). Il racconto è corredato da attenti riferimenti topografici e cronistici, ma anche di scene di marcia o di trasferimento delle truppe, di costruzione di castra, di stationes, di viae e di pontes che consentivano anche una lettura spazio-temporale degli episodi. In questa fitta rete di riferimenti, si collocano anche scene importanti dal punto di vista politico, come le scene di consilium, di deditio, di adlocutio, di sacrificium o lustratio, o avvenimenti militari, scene di proelium, di obsidio, di captivi e anche episodi di propaganda come le torture ai prigionieri romani, il discorso del re dacico, Decebalo, il suicidio dei capi daci per non cadere nelle mani dei nemici, la presentazione della testa di Decebalo e il recupero del tesoro reale.
Particolarmente accurate sono le notazioni temporali, come quella della mietitura nella scena 110 che è stata scolpita per alludere al periodo estivo in cui si svolgevano gli episodi legati alla seconda campagna dacica. Il rilievo era caratterizzato da una abbondantissima policromia, oggi scomparsa, mentre armi e oggetti in bronzo caratterizzavano le scene di combattimento nelle mani dei romani o dei nemici. È possibile anche che ci fossero inserite iscrizioni per indicare luoghi e città. Non sappiamo chi fu l’autore di questa straordinaria opera, forse Apollodoro di Damasco, ma sappiamo che ha lasciato ai contemporanei e ai posteri un’opera straordinaria che coniuga il gusto romano per il rilievo storico allo spirito ellenistico, esaltando una figura, quella di Traiano, che esula dal trascendentale ma lo restituisce umanamente al popolo che tanto lo ha amato e che ha fatto dire ad un personaggio come Plinio, autorevole esponente del senato, che Traiano era “uno di noi”.