Una ricca collezione di ceramiche antiche restaurata e studiata, così nasce il progetto espositivo “Il Tempo dell’Antico” dedicato alla rivalutazione e all’esposizione della collezione di Intesa Sanpaolo. Si tratta di una raccolta vasta e ricca a cui appartengono oltre cinquecento reperti provenienti da corredi tombali siti in quel dell’antica Apulia, e precisamente in provincia di Bari, nell’antica Ruvo di Puglia.
Sono testimonianze preziose degli usi delle genti della Magna Grecia tra il IV e il III secolo a.C., ma vi è anche la possibilità di studiare i fiorenti traffici che intercorrevano con altri popoli vicini come quelli della Lucania e con la madrepatria Grecia, essendo molte di queste opere di importazione e non di produzione locale.
Il tempo per il restauro e lo studio dei manufatti ha però dato i suoi frutti : in primis con la realizzazione di un catalogo della collezione e poi grazie alla curatela scientifica dell’archeologa Federica Giacobello dell’Università degli Studi di Milano, all’organizzazione fin’ora di tre mostre, che hanno portato a giro , a seconda di ben precise tematiche, l’esposizione dei pezzi più belli e prestigiosi della collezione Intesa Sanpaolo.
La location che ospita il tutto è quella delle Gallerie d’Italia- Palazzo Leoni Montanari, sede museale e culturale della Banca a Vicenza, e nei cui depositi è custodita la preziosa serie di ceramiche antiche. Dopo “Le Ore della donna” e il “Viaggio dell’eroe”, protagonista assoluto della mostra è Dioniso, una delle figure più complesse e affascinanti dell’Olimpo greco. Ma chi era Dioniso? Secondo la teogonia è figlio di un dio, Zeus, padre di tutti gli dei, e di una mortale, la principessa tebana Semele che unitasi a Zeus venne fulminata dalla moglie gelosa Era, che così la uccise. La nascita fu un vero e proprio prodigio, Dioniso nacque dalla coscia del padre, ricucita dopo l’inserimento del feto, che lo portò così a gestazione. La Grecia ed Atene in particolare amarono molto la sua figura, tanto da dedicargli le feste più importanti della polis e delle colonie della Magna Grecia, e lui dal canto suo amava gli uomini, portando all’umanità due grandi doni : il vino e il teatro.
In occasioni delle Grandi Dionisie, le feste più importanti ateniesi, il teatro era l’evento culturale più apprezzato dalla società aristocratica e non, occasione di agoni teatrali che richiamavano in città le figure artistiche più prestigiose.
Il teatro è anche scena principe di un vaso esposto, il pezzo più importante di quest’ultima mostra, che documenta questo rapporto tra Dioniso e il mondo agonale : il cratere attico del Pittore di Pronomos, prodotto intorno al 400 a.C. proprio ad Atene, in un’officina dove prestava il suo lavoro un grande pittore, la cui capacità realizzativa è arrivata intatta fino ai giorni nostri. Il luogo di ritrovamento però non è quello di realizzazione, ma il vaso venne trovato a Ruvo di Puglia e si conserva oggi al Museo Archeologico di Napoli.
Cos’ha di speciale questo vaso? Intanto, sicuramente notevole è la plastica tettonica, un cratere a volute di pregevole fattura, una forma poco diffusa tra la tipologia dei vasi a cratere, soprattutto perché richiedeva una grande perizia tecnica e un’accuratezza stilistica non indifferente. La realizzazione non avveniva plasmando il vaso in un unico pezzo, ma assemblando le parti che venivano lavorate separatamente, e per di più la notevole grandezza rendeva più difficili le operazioni artigianali, non solo per la difficoltà tecnica ma anche per i costi realizzativi che non tutte le botteghe potevano permettersi se non dietro la richiesta di un ricco committente. Anche la decorazione è davvero straordinaria, il ceramografo poteva rifarsi ad un bagaglio culturale cospicuo di ricerca pittorica, in parte basata sull’esperienza della “grande pittura”, da cavalletto o parietale, che trova proprio in questo cratere una narrazione quasi continua, realizzata dalla stessa mano, e che centra due scene nelle quali l’assoluto protagonista è Dioniso e il suo mondo.
Sul Lato A è rappresentato un dramma satiresco, alla presenza del dio e della sua sposa Arianna, che secondo la versione più diffusa del mito, abbandonata da Teseo sull’isola di Nasso viene accolta da Dioniso e fatta sposa. Al centro i due sposi adagiati su una kline, abbracciati e complici; il dio ha il torace nudo sul quale ricadono morbidi riccioli. Prezioso è anche l’himation, il mantello, che gli copre le gambe e con un ricamo ricco con motivo a palmette e sfingi. Arianna è invece rappresentata con un colorito candido, la chioma è raccolta da uno chignon e indossa un chitone trasparente e un mantello ricamato con stelle e nikai su quadriga. Lo sfondo è ricco, e un tralcio di vite con grappoli d’uva, dono del dio agli uomini, incornicia la scena. Accanto ad Arianna siede una ragazza vestita sfarzosamente, identificata con la musa Paida, che voltata verso la coppia regge in mano una maschera teatrale femminile; a lei il piccolo Himeros seduto ai piedi offre una corona.
Sul livello inferiore i protagonisti del dramma, gli attori in abiti da scena: un primo anonimo, con barba fluente e chioma indossa un lungo chitone trasparente e mantello orientale forse ritraente un re barbaro , come indicherebbe la maschera che regge. Sull’altro lato simmetrico si trova l’attore che interpreta Eracle,come indica l’iscrizione identificativa, vestito con gli attributi dell’eroe, la clava e la faretra, indossa un corto chitone , stivali e corazza e regge una maschera. Accanto a lui un altro personaggio che interpreta Papposileno, un sileno anziano padre dei sileni, con il corpo ricoperto da peli bianchi, e alla cui spalla è appoggiata una pelle di pantera mentre stringe nella mano un bastone. Non sono indicati i nomi dei tre attori professionisti , evidentemente il ceramografo non l’ha ritenuto necessario, cosa che invece è stata fatta per altri interpreti come Euagon e Dorotheos . La scena sembra rappresentare un momento di riposo dal dramma, gli attori scherzano e chiacchierano tra loro; il primo con una corona d’edera appoggia il braccio sulla spalla dell’altro e fissa la maschera da satiro che solleva con il braccio. Il costume di scena dei coreuti è un gonnellino peloso con coda e grande fallo e una maschera barbata con orecchie equine.
L’unico coreuta colto in azione mentre indossa la maschera di scena ed esegue un passo di danza (attività svolta solo dal coro) è Nikoleos, che ha una posizione di rilievo nel diametro massimo del vaso, al centro, con un braccio alzato, mentre piega la gamba corrispondente e volge la testa nella direzione opposta, sta esibendosi nella sikinnis. La sua posizione al di fuori del campo pittorico, con il piede disegnato al di fuori del fregio a meandri che fa da cornice, lo rende una figura quasi tridimensionale. Non si trova posto tra i suoi colleghi ma tra il chorodidaskalos Demetrios, il drammaturgo compositore della tetralogia, e Pronomos, l’auleta, il vero protagonista del vaso. Questi è seduto su un klismos ( una sedia con schienale e gambe ricurve) mentre suona il doppio flauto gonfiando le gote; veste alla stessa maniera degli attori, con un costume ricamato ad onde ed un himation che gli avvolge le gambe, mentre i piedi sono nudi. Lo spazio in cui si svolge la scena è connotato dalla presenza di due tripodi bronzei , posti quasi a cornice sotto le anse del cratere, che simboleggiano una vittoria appena ottenuta, così come rimandano anche le corone poste sul capo di tutti i personaggi e il ramo d’alloro dipinto sulle volute delle anse. Tutto ciò riporta a ritenere che la scena rappresenti la celebrazione della vittoria nelle Grandi Dionisie, ottenuta dalla compagnia teatrale che si era esibita nella tetralogia tragica. Tutti sono raffigurati con addosso ancora gli abiti di scena, ma il momento ritratto è quello del relax, del dopo scena. Alla festa partecipa anche Dioniso, che legittima la vittoria e presenzia il rito a lui dedicato.
Il corteggio di satiri e menadi investe l’altro lato del vaso, in continuità con la scena teatrale; il trait d’union è un satiro che mentre guarda la scena con gli attori porge un kantharos rovesciando del vino. In posizione centrale il dio nudo porta sulle spalle un mantello leggero e stringe nella mano la cetra, abbracciato alla moglie Arianna mentre si scambiano uno sguardo d’intesa e camminano a grandi falcate. Un’opera così imponente e ricca richiede un committente importante, l’ipotesi più avvalorata è che a richiedere il manufatto sia stato lo stesso Pronomos, personaggio realmente esistito, che più che una vittoria con questa esosa richiesta si pensi abbia voluto celebrare la sua onorata carriera e ciò potrebbe giustificare anche la sua posizione centrale nel vaso.
Ma dalla Grecia, luogo di origine come finì a Ruvo di Puglia? Qui le strade potrebbero essere diverse: il vaso durante la sua vita ateniese, forse venne conservato in casa o al più dedicato in un santuario dionisiaco, ma in una fase successiva a noi ignota probabilmente fu acquistato o donato al proprietario finale o immesso nel mercato di vasi alla fine del V secolo a.C. diretto verso Ruvo. Altra recente ipotesi vede il vaso fabbricato ad Atene e pensato già per il mercato apulo, così la scelta del soggetto giustificherebbe l’apprezzamento da parte dei fruitori apuli per le scene teatrali.
Il vaso di Pronomos venne scoperto in una tomba a semicamera di una importante necropoli nel 1835 e stilisticamente sembrerebbe datarsi tra la fine del V secolo a.C. e gli inizi del IV secolo a.C.,data che corrisponderebbe anche alla creazione del cratere , assieme ad altri manufatti che però sembrano cronologicamente essere slegati tra loro, forse oggetti legati al defunto da valore affettivo, beni di famiglia. I corredi furono acquistati nel 1838 dal Real Museo Borbonico, oggi Museo Archeologico Nazionale di Napoli dove lì ancora oggi si conserva il vaso di Pronomos.
Lo spettatore durante il percorso della mostra , oltre ad uno splendido viaggio nella storia del mito, potrà usufruire di contenuti extra che abbracciano discipline come la musica e la filosofia che non hanno la pretesa di sostituire il già abbondante percorso, ma anzi vogliono arricchirlo con una serie di approfondimenti multimediali. In alcuni brevi video il mito di Dioniso si animerà virtualmente con alcune scene che sono dipinte nei vasi, in altri , i testi orfici presenti su delle tavolette auree verranno recitati e illustrati ; brani musicali di Monteverdi, Gluck e Beethoven evocheranno la leggenda di Orfeo ed Euridice, associati nei riti e nel culto di Dioniso, e la presenza del filosofo Massimo Donà sarà spunto per un approfondimento sul tema “apollineo” “dionisiaco” espresso ne La nascita della tragedia di Nietzsche. Ed infine un focus speciale per il vaso di Pronomos con una descrizione iconografica che prevede approfondimenti sui singoli personaggi raffigurati.
Abbiamo raggiunto Federica Giacobello, archeologa e curatrice della collezione Intesa Sanpaolo e le abbiamo rivolto alcune domande.
Come nasce la prestigiosa Collezione Intesa Sanpaolo di cui lei è la curatrice?
La collezione si è formata a Ruvo di Puglia nella prima metà dell’800 per iniziativa di Giuseppe Caputi un arcidiacono illuminato che vedendo la quantità di vasi che venivano messi in luce a Ruvo, decise di raccogliere e conservare le ceramiche che provenivano dalla necropoli antica sepolta nei suoi fondi. Egli pur non capendo il valore “archeologico” rivestito da tali oggetti, ne apprezzava la bellezza e il fatto che fossero vestigia del passato glorioso della città natia. Per comprendere tale dinamiche è necessario ricordare il momento particolare in cui si forma la raccolta: dalla fine del’700 si sviluppa in tutta Europa la moda e la passione per i vasi antichi figurati che essi chiamavano “etruschi”; una moda dettata da re e nobili del tempo come Sir William Hamilton, ambasciatore inglese a Napoli, e Carolina Bonaparte sorella di Napoleone e consorte di Gioacchino Murat, re di Napoli nel periodo del regno francese (1805-1815). La passione per tali manufatti portava a realizzare scavi leciti e clandestini nei centri dell’Italia Meridionale alla ricerca delle sepolture antiche per depredarne i ricchi corredi composti prevalentemente da vasi: venivano quindi venduti nel fiorente mercato antiquario e così dispersi nelle collezioni di tutta Europa. In tal senso l’azione di Giuseppe Caputi e del nipote Francesco fu particolarmente virtuosa perché evitò la dispersione dei pezzi provenienti da un unico sito che sono stati conservati unitariamente e che, attraverso vari passaggi, sono giunti a Intesa Sanpaolo.
I temi scelti per l’allestimento delle mostre organizzate con la Collezione Intesa Sanpaolo toccano punti fondamentali della storia e della letteratura greca : le ore della donna secondo la suddivisione dello spazio interno ed esterno della casa: luogo privilegiato e apparentemente esclusivo della sua vita e delle sue attività l’interno, luogo della socialità l’esterno, aperto solo a specifiche categorie femminili; in particolari occasioni il viaggio dell’eroe che analizza le figure più importanti dell’epos mitologico greco ed infine il dio tanto amato dagli ateniesi, Dioniso, figura controversa e affascinante del pantheon greco. Con quale criterio ha fatto queste scelte?
Cerco di valutare i concetti costituenti la cultura e la società greca che si possono ben sposare con i soggetti, i temi e le caratteristiche delle ceramiche Intesa Sanpaolo. I vasi sono dei documenti da leggere a tutto tondo: le informazioni che ci possono dare sono molteplici.
L’arte greca è ricca di colore e immagini dappertutto, che rapporto avevano i greci con lo spazio e con la rappresentazione di figure bi e tridimensionali? Che idea si è fatta, osservando e studiando questi pezzi ?
Il tentativo è proprio questo: trasportare nelle raffigurazioni pittoriche la volumetria e il colore: basti osservare gli elementi vegetali che decorano i vasi apuli: veri e propri girali tridimensionali. La loro abilità consisteva nell’utilizzo dei pochi colori che avevano a disposizione per creare degli effetti pieni. Inoltre la superficie del vaso che non è piatta dialoga sapientemente con la scena in una visione unitaria.
Cosa determina secondo lei la buona riuscita di una mostra? E’ sufficiente una location prestigiosa?
Può indubbiamente aiutare l’abitudine alla frequentazione e al ritorno che il cittadino ha nei confronti di una determinata sede museale, come accade alle Gallerie Leoni Montanari molto vissute dai vicentini. Ma credo che una componente fondamentale nella buon riuscita di una mostra sia la chiarezza dei contenuti e il modo di comunicarli: deve essere non noioso ma affascinante, far conoscere e porre dei nuovi stimoli.
In occasione della mostra “Mito e Natura”. Dalla Magna Grecia a Pompei”, precedentemente allestita al Palazzo Reale di Milano e dal 16 marzo al 2 novembre al MANN di Napoli, ha aperto un blog dal titolo “Mito e Natura”. Quanto è importante secondo lei affiancare all’esposizione vera e propria dei reperti uno strumento versatile come un blog o comunque un’efficace lavoro da svolgere in generale sul web e sui social?
Oggi sono divenuti i normali canali della comunicazione, quindi bisogna adeguarsi: sono strumenti utili proprio per la comunicazione immediata e veloce. Anche s epoi richiedono degli approfondimenti scientifici differenti e tradizionali. Al blog Mito e Natura hanno partecipato gli specializzandi della Scuola in Beni Archeologici dell’Università degli Studi di Milano che univano nel loro profilo due caratteristiche fondamentali: conoscenze archeologiche e le capacità di utilizzare i social in maniera efficace. La comunicazione dei social ha delle proprie regole per poter funzionare spesso bisogno adattarle alla materia trattata.
Si ringrazia la Dott.ssa Giacobello per la disponibilità e l’Intesa Sanpaolo/Museo Archeologico di Napoli per i crediti delle foto di questo articolo.