Vista sulla tomba di Tutankhamon (Ph. 1_055 © The Griffith Institute. Tutankhamun Anatomy of an Excavation. The Howard Carter Archives, Photograph by Harry Burton)

Era il pomeriggio del 24 novembre del 1922 quando, dopo 20 giorni dalla scoperta del primo dei 16 gradini (qui la prima parte della scoperta), la  porta con impressi i sigilli della necropoli tebana fu liberata completamente dai detriti. Howard Carter, affiancato dal suo finanziatore Lord Carnarvon, Lady Evelyn e Callender[1], si trovava di fronte a quell’accesso murato finalmente visibile in tutta la sua interezza. Iniziò a scrutare l’intonaco molto attentamente, quando vide nella zona appena ripulita i cartigli di un sovrano. Non lo sapeva ancora, ma si trovava di fronte alla prima porta di accesso dell’ultima dimora di un faraone poco conosciuto ma che ben presto sarebbe diventato tra i più importanti ambasciatori della civiltà Egizia nel mondo: Tutankhamon.

I 16 gradini della scalinata d’accesso alla KV62
La porta della KV62 con i sigilli intatti (Ph. © The Griffith Institute. Tutankhamun Anatomy of an Excavation. The Howard Carter Archives, Photograph by Harry Burton)

Possiamo solo immaginare l’immensa l’emozione provata dall’archeologo inglese nel leggere il nome del faraone le cui tracce inseguiva da molto tempo; emozione che purtroppo ben presto si affievolì lasciando posto alla delusione nel realizzare che quel luogo era già stato violato per ben due volte. Infatti, ispezionando accuratamente la porta con “raddoppiato entusiasmo – per quanto fosse possibile –” notò che l’uniformità dell’intonaco era interrotta da due vistosi ripristini dove erano stati apposti i soli sigilli dei guardiani della necropoli, i quali, evidentemente, avevano provveduto a richiudere i varchi aperti dai profanatori di tombe già attivi in epoca faraonica. Le speranze di trovare una tomba inviolata e con un ricco corredo funerario stavano scemando, anche se la cura con cui erano stati eseguiti i lavori di chiusura lasciavano ancora un margine di speranza. Le capanne risalenti all’epoca di Ramesse VI che insistevano proprio sopra l’accesso della tomba occultandolo, consentivano di datare l’intrusione ad un periodo antecedente al regno di questo sovrano. Solo successivamente, con gli anni, Carter realizzò che quelle aperture dovevano essere state praticate 10/15 anni dopo la sepoltura di Tutankhamon, durante il regno di Horemheb.

Ma ecco che all’improvviso un nuovo dubbio si insinuò nella mente dell’egittologo. Nel ripulire la scalinata aveva trovato tantissimi frammenti di oggetti che riportavano i nomi di Akhenaton, Smenkhara, Tutankhamon e, cosa davvero strana, uno scarabeo con il cartiglio di Thutmose III e un frammento con il nome di Amenhotep III. Per quale motivo manufatti appartenuti a sovrani differenti erano presenti in quello scavo? La convinzione che ciò che stavano riportando alla luce fosse un deposito, piuttosto che una tomba, si faceva sempre più largo. Che si trattasse di una collezione di oggetti risalenti alla XVIII dinastia messa al sicuro per ordine di Tutankhamon dopo l’abbandono di Akhetaton? Intanto si fece sera; e quella porta l’indomani doveva essere abbattuta… ma era ancora tanto il lavoro da fare.

Il corridoio della KV62 pieno di detriti. (Ph. p0004 © The Griffith Institute. Tutankhamun Anatomy of an Excavation. The Howard Carter Archives, Photograph by Harry Burton)

Il giorno successivo, il 25 novembre, dopo aver documentato e fotografato i sigilli, Carter demolì e varcò quella soglia chiusa da millenni e trovò di fronte a sé un corridoio in discesa pieno di detriti. Anche il pietrame mostrava chiari segni di intrusione: la parte intatta era composta da bianche schegge rocciose, mentre per la parte chiusa successivamente era stato usato materiale siliceo più scuro. Evidentemente, nell’angolo superiore sinistro, in corrispondenza del foro praticato nella porta, era stato scavato un cunicolo che i guardiani della necropoli avevano accuratamente riempito. Nel liberare il corridoio dai detriti furono trovati tantissimi frammenti di ogni cosa possibile e immaginabile. I lavori procedettero molto lentamente e con molta attenzione proprio per la fragilità e la quantità di materiale trovato che veniva esaminato da Carter con un senso di profondo rammarico per gli oggetti in frantumi e con la preoccupazione sempre più incalzante di trovar più poco nell’ambiente che si sarebbe presentato ai suoi occhi. Arrivò la notte e nessuno aveva idea di quanto ci fosse ancora da scavare per liberare totalmente il corridoio le cui pareti apparivano prive di pitture e di iscrizioni…

Servì tutta la mattinata e metà del pomeriggio del 26 novembre per raggiungere la fine del corridoio, dove un nuovo muro separava Carter e il suo finanziatore dall’ignoto. La seconda porta murata altro non era che una replica della prima: era ben sigillata, intonacata, portava i sigilli della necropoli e di Tutankhamon ed anche qui erano ben visibili le tracce di una apertura e successiva chiusura. Ormai Carter non aveva più dubbi: quella che avevano trovato non era una tomba, ma un nascondiglio. La scala, la disposizione del corridoio e le ridotte dimensioni rispetto alle altre tombe della Valle non lasciavano dubbi, tutto ricordava il nascondiglio di Akhenaton con il materiale di Teye che poco tempo prima Davis aveva trovato nelle immediate vicinanze. Non restava altro che demolire quella parete per dare una risposta a tutte le domande e fugare i dubbi di cui si era nutrita la sua impaziente e fervida mente. Carter fece completamente ripulire la porta dai detriti, aveva la sensazione che i lavori procedessero con una lentezza esasperante da tanto fremeva di vedere oltre quel muro. Finalmente la porta fu liberata: il momento tanto atteso era arrivato…

Con mani tremanti fece un piccolo foro nell’angolo in alto a sinistra e vi infilò una spranga di ferro per verificare cosa ci fosse dall’altra parte. Al di là della parete c’era il vuoto, non c’erano altri detriti che ostruivano il passaggio dell’asta. Il cuore certamente aveva accelerato il suo ritmo. Accese una candela che avvicinò al foro per scongiurare la presenza di gas e successivamente allargò un po’ il buco così da riuscire a guardarci attraverso. Avvicinò di nuovo la candela all’apertura e con l’emozione di un bambino curioso e furtivo, scrutò cosa celava quella porta. Lord Carnarvon, Lady Evelin e Callender gli stavano alle spalle in “ansiosa attesa”.

Un soffiò d’aria calda proveniente dalla stanza fece tremare la fiamma della candela. Con quella luce tremula i suoi occhi non riuscivano a penetrare il buio profondo e millenario, non riusciva a vedere nulla. Dovette attendere un po’, così che i suoi occhi si abituarono al buio. Pian piano iniziarono a formarsi le prime immagini. Possiamo ben immaginare come il suo corpo reagì stupefatto per ciò che stava vedendo. Lentamente si formarono delle ombre ed “emersero animali dall’aspetto strano, statue e oro, ovunque il luccichio dell’oro. Per un attimo – che dovrebbe essere sembrato lungo un’eternità a quanti lo attorniavano – rimase muto dallo stupore”. L’impazienza stava divorando Lord Carnarvon, così chiese a Carter cosa stesse vedendo… ed è in quel momento che prese vita il dialogo archeologico più famoso del mondo intero. “Can you see anything?”, “Yes, wonderful things!”: “Si, cose meravigliose!”[2]

Carter, “Cose meravigliose!”

Il piccolo foro fu leggermente ampliato per permettere anche a Lord Carnarvon di guardare all’interno. Carter sostituì la candela con una più efficiente torcia elettrica e riprese a guardare incredulo. In un primo momento non riusciva neppure a distinguere le immagini che i suoi occhi stavano ricevendo, passava la luce da una parte all’altra dell’ambiente nel tentativo di individuare gli innumerevoli oggetti letteralmente accatastati davanti ai suoi occhi. Man mano che questi si abituavano al buio cominciò a vedere l’ammasso di cose presenti, ma non riusciva a notare niente in particolare, preso dal “tutto” su cui nulla primeggiava. Quando si riebbe dallo stupore iniziò a vedere gli oggetti di dimensioni maggiori che emergevano dalla massa informe delle migliaia di reperti. Distinse immediatamente i letti funerari dorati le cui teste animali erano di un realismo incredibile e luccicavano nell’oscurità alla luce della torcia, mentre le loro ombre grottesche proiettate sulla parete si componevano assumendo forme davvero terrificanti. Poi l’attenzione cadde sulle due statue di ebano di aspetto regale e a misura d’uomo, disposte una di fronte all’altra, come due guardiani, armati di mazza e lancia, con sandali e gonnellino in oro. Di certo dominavano la scena.

Anticamera KV62 (ph. Harry Burton © The Griffith Institute, Oxford. Resa a colori da Dynamichrome)
Anticamera KV62 (ph. p0009 © The Griffith Institute. Tutankhamun Anatomy of an Excavation. The Howard Carter Archives, Photograph by Harry Burton)

Quello che stavano vivendo era al tempo stesso “elettrizzante e sconcertante”, come lo stesso Carter riporta nel suo diario; per quanto sperassero di imbattersi in un ricco corredo funerario, non si sarebbero mai immaginati di trovarsi di fronte una tale meraviglia. Ogni avventuriero, ogni archeologo “avrebbe provato un senso di timore – quasi d’imbarazzo – penetrando in una stanza chiusa e sigillata da pie mani tanti secoli prima”. Per un attimo il tempo aveva perso tutto il suo significato; erano trascorsi più di tremila anni da quando quel pavimento era stato calpestato per l’ultima volta, da quando qualcuno si era appoggiato all’intonaco fresco della porta lasciando la sua impronta, da quando qualcuno aveva posato di fronte ad essa una ghirlanda di fiori in segno di commiato, l’aria che usciva dal foro era la stessa aria che avevano respirato gli uomini che deposero tutti quei manufatti e la salma del faraone per il suo eterno riposo… il tempo non aveva più senso, tutto sembrava fosse accaduto ieri… come non sentirsi un intruso!? Questa fu la prima impressione che Carter descrisse minuziosamente nel suo diario, aggiungendo che ben presto altri pensieri presero il sopravvento e si susseguirono veloci: “l’eccitazione della scoperta, la febbre dell’incertezza”, l’impulso quasi irresistibile (provocato dalla curiosità) di irrompere nella stanza, spaccare ogni sigillo e aprire avidamente ogni contenitore per sapere quale tesoro potesse custodire. In tutta la storia dell’archeologia non si era mai visto niente di simile a ciò che stavano vedendo!

Anticamera KV62 (ph. p0012 © The Griffith Institute. Tutankhamun Anatomy of an Excavation. The Howard Carter Archives, Photograph by Harry Burton)

L’ambiente, così colmo di oggetti, sembrava il magazzino di un museo. Ammassati l’uno sull’altro vi era un numero infinito di oggetti, alcuni dall’aspetto familiare, altri mai visti prima. Proprio sotto di loro, sulla soglia, un oggetto particolarmente sensibile alla luce attirò la sua attenzione: Carter posò lo sguardo su una splendida tazza lotiforme in alabastro traslucido che come fu avvolta dalla luce della torcia si rischiarò e prese vita rilasciando i suoi caldi riflessi. (Leggi qui sul particolare significato che assunse questa coppa)

Anticamera KV62 (ph. Harry Burton © The Griffith Institute, Oxford. Resa a colori da Dynamichrome)

Distogliendo l’attenzione da quella coppa realizzò che la stanza non conteneva nessun sarcofago. Delusi di questa grande assenza, ma profondamente appagati per ciò che i loro occhi avevano visto, richiusero il foro e bloccarono l’accesso esterno alla sepoltura con un cancello di ferro. La loro mente vacillava al pensiero di ciò che avevano visto e le immagini che si formavano ripensando a tutti quei tesori erano così forti da togliere il respiro …e non avevano ancora visto nulla di ciò che avrebbe restituito la tomba! Di certo per Carter, Lord Carnarvon e tutti i presenti, quello appena vissuto sarebbe stato il giorno più bello della loro vita. Avevano appena fatto una scoperta sensazionale, un ritrovamento che di lì a poco sarebbe stato battezzato come la scoperta archeologica del XX secolo!

Il corridoio visto dall’anticamera (ph. p0014© The Griffith Institute. Tutankhamun Anatomy of an Excavation. The Howard Carter Archives, Photograph by Harry Burton)

Sources: dal diario di Howard Carter, Tutankhamon

FOTO: © The Griffith Institute. Tutankhamun Anatomy of an Excavation. The Howard Carter Archives, Photograph by Harry Burton

FOTO A COLORI: Harry Burton © The Griffith Institute, Oxford. Resa a colori da Dynamichrome per la mostra “The Discovery of King Tut” inaugurata alla 5th Avenue di New York il 21 novembre 2015

FOTO SENZA CREDITI: se qualcuno riconoscesse come proprie queste immagini è pregato di segnalarcelo così da accreditarle correttamente.

[1] Arthur Robert “Pecky” Callender: ingegnere e architetto inglese, ex funzionario delle linee ferroviarie egiziane, nonché amico di vecchia data di Carter. Una figura forse poco conosciuta che l’egittologo inglese assoldò per le sue abilità nel periodo in cui aspettava l’arrivo di Lord Carnarvon. Infatti il suo contributo e la sua esperienza professionale furono indispensabili durante il lavoro di smontaggio e rimontaggio degli scrigni in legno dorato che contenevano i sarcofagi di Tutankhamon.

[2] In realtà la celebre conversazione non avvenne, o non avvenne nei termini riportati qui e che si rifanno alla pubblicazione originale del diario di Carter. Questo scambio di battute sembra fosse una licenza che l’autore si prese su suggerimento di Arthur Cruttenden Mace (restauratore del team e co-scrittore con Carter del primo libro sulla scoperta della KV62). Modificando un po’ ciò che Carter annotò nel suo diario quel fatidico giorno, il racconto si arricchì di una maggiore suspense e rese di maggior impatto quello che già di per sé era un incredibile momento.

Lord Carnarvon e Howard Carter
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Tiziana Giuliani

Egittofila, sin dall’infanzia appassionata di Antico Egitto, collabora con l’associazione Egittologia.net dal 2010. Ha contribuito alla realizzazione di EM-Egittologia.net Magazine (rinominato poi MediterraneoAntico) seguendone la pubblicazione già dai primi numeri e ricoprendo in seguito anche il ruolo di coordinatrice editoriale. Dal 2018 è capo redattrice di MediterraneoAntico.

Organizza conferenze ed eventi legati al mondo degli Egizi, nonché approfondimenti didattici nelle scuole di primo grado. Ha visitato decine di volte la terra dei faraoni dove svolge ricerche personali; ha scritto centinaia di articoli per la ns. redazione, alcuni dei quali pubblicati anche da altre riviste (cartacee e digitali) di archeologia e cultura generale. Dall’estate del 2017 collabora con lo scrittore Alberto Siliotti nella realizzazione dei suoi libri sull’antico Egitto.

Appassionata di fotografia, insegna ginnastica artistica ed ha una spiccata predisposizione per le arti in genere.

2 Commenti

  1. Conosco perfettamente la storia del ritrovamento della tomba. Sono affascinato dai libri letti e riletti di Carter. Dalle foto e dalla mia esperienza in Egitto visitando i luoghi ed in i reperti grandiosi conservati al museo del Cairo

  2. Conosco la storia. Ho visto la tomba e poi l’indescrivibile meraviglia del corredo nel Museo del Cairo. Una raffinatezza assoluta nei tessuti e gli ornamenti mi riempie ancora gli occhi. Un senso estetico e una ricerca di elevare la ricchezza a eleganza attraverso forme morbide e assieme austere delle statue come la ricerca di una grande magia. Certo, quelle forme si erano poco modificate nei secoli, ma ora mi mostravano l’essenza del classicismo egiziano.

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