LA TOMBA DI NEFER-ABU A DEIR EL-MEDINA
Molti anni fa ero con mia moglie in visita a Luxor con il Dr. Mario Tosi, egittologo. Grazie a lui abbiamo ottenuto il permesso di visitare la tomba n, 5 di Deir el-Medina, una tomba chiusa al pubblico. Una grande emozione per me che a quei tempi ero ancora un novellino dei viaggi in Egitto.
Oggi, con il mio articolo, voglio rivivere quell’esperienza emozionante e nel contempo documentare alcune belle immagini di quella tomba che credo sia ancora chiusa al pubblico, e quindi poco nota.
La tomba di Nefer-Abu è stata pubblicata nel 1935 da J. Vandier per conto dell’IFAO. Le mie fotografie non sono sempre state in grado di riprendere i dipinti della tomba nella loro interezza. Infatti, 2-3 dipinti sono molto dilatati, iniziano sulla parete fino a raggiungere la mezzeria del soffitto a volta. In questi casi le immagini al tratto in b/n della pubblicazione mi sono d’aiutoi.
Nefer-Abu era un operaio che lavorava nella Sede della Verità, cioè nella Valle dei Re. È vissuto durante il regno di Ramesse II (XIX dinastia). La tomba di Nefer-Abu è monocroma: predomina il colore giallo su sfondo bianco.
Lo scopo di questo articolo è di magnificare questa tomba dai colori ancora brillanti e con alcune immagini originali che si trovano nella seconda sala. mai viste nelle altre tombe di Deir el-Medina.
Superato l’ingresso ci si trova nella prima sala dedicata soprattutto a una decorazione che mostra una lunga fila di personaggi, parenti e amici del defunto, che vengono a rendere omaggio a Nefer-Abu e a sua moglie che li attendono seduti. Altre immagini della prima sala, in parte rovinata, sono dedicate alla dea serpente della montagna tebana Meret-Seger (= colei che ama il silenzio) e a scene di offerta.
Tra queste scene la più curiosa vede una lunga fila di parenti e amici di Nefer-Abu fare un’offerta alla dea Hathor, rappresentata come vacca con il sole tra le corna, che esce dalla montagna tebana.
Non ho altre foto della prima sala, quindi andiamo a visitare direttamente la seconda sala ornata di grandi quadri luminosi. Le scene sono inquadrate da bande con iscrizioni geroglifiche e sono come dei grandi quadri indipendenti tra loro.
Seguendo la successione delle immagini illustrate nella pubblicazione della tomba possiamo ammirare un grande quadro che dalla parete sale fino alla mezzeria del soffitto: le grandi ali di un falco proteggono una figura di Osiri con la corona atef seduto davanti a una tavola imbandita di offerte e ai lati due cespi di lattuga. La figura di Osiri in trono è rappresentata come mummia. Dal lenzuolo funebre escono le mani che tengono il flagello nekhakha e il pastorale hekha.
Sulle grandi ali che proteggono Osiri compare un circolo formato da un serpente con al centro un falco con il nome Ra-Harakhti. Ai due lati delle ali due occhi udjat rappresentano il sole e la luna.
La figura che segue è un grande quadro che mostra un’immagine del re che fa un’offerta a due divinità femminili, i cui nomi, secondo il Vandier, sarebbero Uadjit, una donna con la testa di serpente, e Satit, due divinità simboliche del Basso e dell’Alto Egitto.
Segue un altro quadro con Ra-Harakhti, rappresentato come un uomo con testa di falco con il sole sul capo e un occhio udjat sul corpo, seduto in trono davanti a una tavola d’offerte con fette di pane. Ai lati della tavola d’offerta ci sono due cespi di lattuga, sacra al dio Min.
Il quadro che segue mostra a sinistra la montagna tebana. Davanti alla falesia si erge l’immagine di un grande uccello di cui si è perduta la testa. Tra le zampe dell’uccello c’è un’oca, ipostasi del dio Amon. Dietro l’uccello compaiono due grandi ali spiegate e un braccio femminile. Vandier ritiene che l’uccello rappresenti il dio Ra accolto dalla dea Hathor alla porta dell’Amentit. Non c’è spiegazione per il “ciuffo” sulla falesia.
Nel riquadro successivo due grandi scene si sovrappongono.
La scena del registro inferiore mostra il dio Aker rappresentato da due leoni che sostengono sul dorso il sole nel suo orizzonte, vale a dire Ra-Harakhti la cui immagine compare all’interno del disco solare. I due leoni sono indicati l’uno come la montagna a est, l’altro come la montagna a ovest definendo così la Valle del Nilo. Il dio Aker è la porta della terra che Ra-Harakhti deve attraversare per rinnovarsi durante il suo percorso notturno.
Nel registro superiore Nefer-Abu è in adorazione inginocchiato davanti a un naos su cui è posato il falco Ra-Harakhti protetto da un ureus. Dietro Nefer-Abu un albero sicomoro mostra tra i suoi rami frondosi un braccio umano che con un vaso da libazioni versa acqua su Nefer-Abu. Secondo il Vandier il braccio che versa l’acqua è senz’altro quello della dea Hathor.
La scena del quadrone successivo mostra gli dei Horus e Thot che versano acqua lustrale sulla figura di Nefer-Abu nudo. Sotto il corpo di Nefer-Abu c’è il bacino che indica purificazione. Nefer-Abu tiene tra le mani all’altezza del petto un amuleto del cuore.
L’acqua versata da una mano di Horus non è contenuta in un vaso lustrale ma da una piuma di struzzo, simbolo di maat, verità-giustizia, mentre l’acqua versata da Thot scende da un vaso a forma di ankh, vita. Horus e Thot rappresentano il nord e il sud dell’Egitto.
La scena successiva si svolge in un grande riquadro di due registri. Il registro superiore è dominato da una grande figura di Nefti stante con le stupende ali stese lungo tutto il registro. In ciascuna mano tiene il segno della vita ankh. Sotto le ali, alle estremità del cintro, sono rappresentate due figure: a est è il padre Nefer-Renpet, a ovest è lo stesso Nefer-Abu.
Sotto questa scena sfilano immagini del nodo di Isi tyet alternate a pilastri djed, simbolo di Osiri, dotati di braccia che tengono in pugno lo scettro was. Nel registro sottostante sono raffigurate le mummie di Nefer-Abu e della moglie (che si intravvede appena dietro la mummia di Nefer-Abu). Ai lati delle mummie sono rappresentati, dalla parte dei piedi, la dea Isi come falco e un personaggio definito dai geroglifici l’infinito djet che tiene in mano 3 torce accese. Dal lato della testa è rappresentata la dea Nefti come falco che ha davanti a sé un personaggio che rappresenta l’infinito heh che tiene in mano 3 torce accese
Questo quadrone è talmente esteso che le mie fotografie hanno ripreso solo metà della scena.
La mia ultima foto inquadra Nefer-Abu in piedi davanti alla porta del cielo posata sul segno djw, che rappresenta la montagna tebana. Questa è la porta che il defunto deve attraversare al mattino per lasciare la duat, così come farà il sole al termine del suo ciclo notturno, a cui il defunto è assimilato.
Oltre alla sua tomba ci sono due stele appartenute a Nefer-Abu: una stele si trova nel British Museum, l’altra stele è custodita nel Museo Egizio di Torino (CGT 50058).
Le due stele ci documentano su due particolari momenti della vita di Nefer-Abu. La stele del British Museum racconta, per bocca dello stesso Nefer-Abu, che egli ha peccato giurando il falso su Ptah, “signore della verità”. Per questo spergiuro Ptah lo ha reso cieco. Nefer-Abu descrive il dramma della sua vita da cieco, considera giusta la sua punizione, poi rivolge grandi elogi a Ptah e gli chiede di essere misericordioso.
La stele del Museo Egizio di Torino ci fornisce il seguito della vicenda: dopo avere riconosciuto le sue colpe verso la Cima (la montagna tebana sede dell’Amentit) e descritto il suo lamentoso stato durante la cecità, Nefer-Abu rivolge invocazioni alla Cima chiedendo misericordia. Infine, la Cima gli invia dolci brezze che gli rendono la vista. La stele conclude con una lode alla Cima misericordiosa e un invito a tendere gli orecchi e a stare attenti alla Cima. La stele ha inciso, oltre al testo geroglifico, un’immagine della dea Meret-Seger (= colei che ama il silenzio), la dea serpente che dimorava nella Cimaii.
Le due stele ci documentano su alcuni aspetti della religiosità popolare dei lavoratori che abitavano il villaggio di Deir el-Medina. La montagna tebana che sovrastava la Valle dei Re era considerata una divinità anche per la sua approssimativa forma di piramide. Così come erano divinità i serpenti che si manifestavano sulla montagna identificati nella dea Meret-Seger,
Altrettanto interessante e notevole è il riconoscimento di Nefer-Abu delle sue colpe e di stabilire un rapporto di causa ed effetto tra peccato e punizione divina. Questo senso della responsabilità personale del peccatore è una concezione di derivazione amarniana.
Gilberto Modonesi
i) La pubblicazione della tomba è opera di Jacques Vandier, La tombe de Nefer-Abou, Ifao, Le Caire 1935. Una sommaria descrizione della tomba si può leggere anche nel volume di Mario Tosi, Dizionario Enciclopedico, vol. II-Luoghi di culto e necropoli dal Delta alla Bassa Nubia, Ananke Torino 2006, pag. 165.
ii) Le due stele di Nefer-Abu possono essere lette integralmente nella traduzione di Edda Bresciani nel volume Letteratura e poesia dell’antico Egitto, Einaudi, Torino 1999, pagg. 446-447.