Il magnifico cornuto

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Il Museo Archeologico “Antonino Salinas” di Palermo, nell’ambito dell’iniziativa curata dal Museo Civico di Castelbuono, è lieto di presentare al pubblico il riallestimento del prezioso Ariete in bronzo da Siracusa. Dal 6 luglio, dopo cinque anni di riposo, la splendida scultura -donata nel 1448 dal re Alfonso d’Aragona ai Ventimiglia che lo conservavano un tempo a Castelbuono, con un esemplare gemello, distrutto durante i moti del 1848- ritorna in esposizione accompagnata dal Cunto del Maestro Mimmo Cuticchio che narrerà la vicenda di Giovanni Ventimiglia e dell’ariete. “Un’operazione – affermano Francesca Spatafora, direttore del Museo Salinas, e Laura Barreca, direttore del Museo Civico di Castelbuono – di costruzione di una rete territoriale tra istituzioni culturali siciliane attraverso gli alti valori della storia e dei suoi simboli. Il fatto che avvenga utilizzando un linguaggio multidisciplinare e contemporaneo come quello dell’Opera dei Pupi, sottolinea la straordinaria potenza evocativa che le opere della classicità mediterranea hanno lasciato in Sicilia”.

L’ingresso è gratuito; orari di apertura: martedì-venerdì ore 9.30-19; sabato e domenica 9.30-13

In occasione del riallestimento sarà inoltre proiettato l’opera video dello spettacolo “Tra i sentieri dei Ventimiglia”, realizzato da Costanza Arena e Roberto Salvaggio, allievi dell’Accademia di Belle Arti di Palermo (Corso di Audio Video del Prof. Marco Battaglia). L’evento fa parte del progetto “Tra i sentieri dei Ventimiglia”, che include lo spettacolo teatrale di Mimmo Cuticchio, presentato a Castelbuono lo scorso 16 aprile, e la mostra a cura di Laura Barreca e Valentina Bruschi, con gli apparati scenici, i pupi originali e le scenografie realizzate dall’associazione Figli d’Arte Cuticchio, all’interno di un’installazione curata da Pietro Airoldi. Le musiche originali di Giacomo Cuticchio sono state composte appositamente per lo spettacolo e per il video, e sono ispirate alla poesia scritta da Torquato Tasso per Giovanni III Ventimiglia nel 1590. Dramaturg della scrittura teatrale è Piero Longo. La mostra è visitabile al Museo Civico di Castelbuono fino al 17 luglio 2016.

L’ARIETE BRONZEO DEL MUSEO DI PALERMO

Il grande Ariete bronzeo proveniente da Siracusa, ha una storia lunga e complessa da raccontare. Il nostro Ariete, infatti, è  l’unico superstite di una coppia che, ancora  nel cinquecento era posta ai lati del portale d’ingresso al  Castello Maniace di Siracusa, edificato a Ortigia da Federico II di Svevia. Non è noto, tuttavia, se la coppia di bronzi, variamente datata tra il III sec.a.C. e il II sec.d.C., provenisse dalla stessa  Siracusa  o se l’imperatore svevo l’avesse recuperata in altro luogo e destinata successivamente ad adornare la nuova possente fortezza.

Da Tommaso Fazello sappiamo che nel 1448 la coppia di bronzi fu donata da Alfonso d’Aragona, come premio per avere sedato una sommossa a Siracusa, a Giovanni Ventimiglia marchese di Geraci che li trasportò a Castelbuono.

Alla sua morte, il figlio Antonio li pose a decorare la tomba paterna, ma pochi anni dopo, per ordine del Viceré Gaspare de Spes, le due statue, insieme a tutti i beni,  vennero confiscate a Enrico, nipote di Giovanni, accusato di tradimento e trasportate a Palermo nella sede dei Viceré, il Palazzo Chiaramonte (Steri), dove furono collocate intorno al 1510-1511.  Nel 1517, tuttavia, le sculture furono trasferite al Castello a Mare, divenuto nel frattempo sede regia. Alcuni decenni più tardi, quando la sede regia si trasferì al Palazzo Reale, le due sculture furono lì trasferite e poste ad adornare una delle sale più belle del Palazzo che, proprio in virtù della presenza dei due arieti, venne chiamata “Camera de los Carneros” o “Stanza delli Crasti”.

Nel 1735, al tempo di Carlo III, le statue furono portate a Napoli, ma, nello stesso anno, a causa delle proteste dei Palermitani, vennero trasferite nuovamente a Palermo, nella Galleria del Palazzo Reale dove furono viste da Wolfgang Goethe e ammirate da Jean Houel che le rappresentò  in una splendida incisione del suo Voyage Pittoresque.

Da Michele Amari sappiamo, infine, che durante i moti insurrezionali del 1848 una delle due statue fu colpita da una cannonata mentre  la seconda venne solo leggermente danneggiata e  donata poco dopo al Regio Museo di Palermo dove, ancora oggi, si trova.

Sotto il profilo stilistico, si tratta di un’opera di straordinaria raffinatezza ed eleganza e caratterizzata da un efficace naturalismo.

L’animale è raffigurato accovacciato con la zampa anteriore destra  ripiegata su se stessa, mentre la sinistra è portata in avanti, quasi pronta per effettuare un balzo in avanti.

La testa è ruotata a sinistra, con i grandi occhi spalancati, le narici sono dilatate e la bocca è semiaperta. Il vello, finemente modellato con ciocche lunghe e ondulate, ricopre per intero il corpo dell’animale,  mentre la fronte e la porzione sottostante alle corna sono ricoperte da fitti riccioli.

La qualità artistica dell’opera è notevolissima, in particolare per quello che riguarda la minuziosa resa dei dettagli anatomici, del vello, dei riccioli e per la sapiente capacità di rappresentare l’animale in una posa piena di tensione.

Si tratta di  un prodotto di alto livello,  stilisticamente collegabile, secondo alcuni studiosi, ad un contesto culturale di pieno ellenismo influenzato dalla scuola di Lisippo, il grande scultore greco del IV secolo a.C. L’analisi stilistica ha indotto a ipotizzarne una realizzazione all’interno  di una bottega siracusana di grande livello artistico e una probabile destinazione al palazzo dei tiranni della città.

Recentemente, tuttavia, a seguito di un approfondito intervento di restauro, si è proposta per la scultura una datazione ad età romano-imperiale, compresa tra la fine del I e la fine del II sec.d.C., giustificata da alcuni dettagli

Testo e immagini : Ufficio stampa Museo Salinas

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