Cleopatra morì per il morso di un aspide?

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"La morte di Cleopatra", olio su tela di Reginald Arthur del 1892 ora esposto al Roy Miles Gallery di Londra. (ph. wikimedia commons)

Il 12 agosto del 30 a.C., all’età di 39 anni, moriva Cleopatra Tea Filopatore, la sovrana egizia meglio conosciuta con il semplice nome di Cleopatra anche se fu la settima regina a portare questo nome. Ultima regnante del periodo tolemaico, con la sua morte l’Egitto vedrà definitivamente la fine del periodo ellenistico e diverrà una provincia romana. Amante di due dei più potenti uomini del suo tempo, seduttrice e dotata di grande carisma e abilità diplomatiche, Cleopatra VII fu una dei nemici più temuti di Roma. Amata dal suo popolo – fu l’unico sovrano della dinastia tolemaica ad aver imparato la lingua locale – preferì il suicidio alla fine ingloriosa che Roma le avrebbe riservato. E’ proprio la morte della famosa regina che ha reso ancora più affascinante e suggestiva la sua vita già ricca di colpi di scena: piuttosto che sfilare per le strade di Roma come un trofeo di guerra, e vedere il suo regno sottomesso, si tolse la vita inscenando una morte a dir poco teatrale. Ma come morì realmente Cleopatra VII?

Dopo il suicidio di Antonio, il quale si tolse la vita con onore pur di non essere prigioniero di Ottaviano, Cleopatra si rinchiuse nel suo palazzo, nel mausoleo dei Tolomei, e sapendo che la sua sorte era ormai segnata, secondo la versione classica lasciata da Plutarco, si uccise facendosi mordere da un serpente, un aspide per la precisione, che era stato nascosto per volontà della regina in un cesto di fichi freschissimi. Con la sovrana delle Due Terre furono trovate prive di vita anche le sue due ancelle. Duecento anni dopo la sua morte, lo storico romano Cassio Dione ci fa sapere che Cleopatra ebbe una morte tranquilla e indolore. Shakespeare, nella sua tragedia storica dedicata alla regina e al suo Antonio, aggiunse che si fece mordere al seno.

Analizzando attentamente tutti questi dettagli, troppe cose non quadrano! Già in età antica questa storia non stava in piedi e sollevò parecchi dubbi e perplessità. Studi recenti, infatti, hanno portato a formulare diverse ipotesi.

Intanto non poteva trattarsi di un aspide in quanto questo non avrebbe portato ad una morte veloce ed indolore visto che nel mordere la sua vittima la vipera inocula poco veleno, ma piuttosto potrebbe essersi trattato del cobra egiziano (il Naia haie) che, oltre ad essere simbologicamente associato alla figura del re nell’antico Egitto, ha un morso quasi sempre letale. Cleopatra conosceva molto bene i veleni, parecchi sono i trattati a lei attribuiti su di essi, oltre a quelli di cosmesi e di “farmacologia”. Lo stesso Plutarco, nel suo “Vita di Antonio”, narra di come Cleopatra fosse conoscitrice dei veleni e illustra come la regina avesse fatto ricadere la sua scelta sull’aspide: «…Cleopatra raccoglieva ogni sorta di veleni mortali, tra i più forti che ci fossero, e di ciascuno di essi provava se erano efficaci e nello stesso tempo indolori, propinandoli ai detenuti in attesa di morire. Poiché vide che quelli istantanei procuravano una morte subitanea, ma dolorosa, e i più dolci non erano rapidi, provò gli animali, osservandoli di persona, mentre venivano applicati uno dopo l’altro. Fra tutti trovò quasi solo il morso dell’aspide che induceva nelle membra un torpore sonnolento e un deliquio dei sensi, senza per questo arrecare spasimo o provocare gemiti; non appariva che un lieve sudore alla fronte, mentre le facoltà percettive svanivano, si rilasciavano dolcemente, e resistevano a ogni tentativo di risvegliarle e richiamarle in vita, come chi dorme profondo…».

Andrew Grey, un esperto di serpenti interpellato dall’egittologa inglese Joyce Tyldesley – ricercatrice del museo di Manchester che ha dedicato parte dei suoi studi nel cercare di svelare i misteri che avvolgono la morte dell’ultima regina dell’Egitto antico – ha confermato che gli aspidi sono troppo grandi per poter essere nascosti senza problemi in un cesto di fichi, inoltre, come sostengono i ricercatori tedeschi Christoph Schaefer (storico dell’antichità) e Dietrich Mebs (tossicologo), con le temperature caldissime di quel periodo (agosto in Egitto), il rettile non se ne sarebbe stato tanto tranquillo nascosto sotto un cesto di fichi. Ma non solo. Nel caso in cui Cleopatra si fosse lasciata mordere (cosa a cui la studiosa inglese non crede nella maniera più assoluta), sarebbe morta dopo una lunga e dolorosa agonia. Una versione dei fatti, dunque, questa, a cui è molto difficile credere. Cleopatra non avrebbe mai pianificato una morte del genere, ma avrebbe fatto del tutto per poter avere una morte immediata e quasi indolore, cosa che sicuramente non fa il veleno di un serpente, in quanto causa la morte solo dopo ore di atroci sofferenze: i sintomi che si scatenano dopo il morso di un serpente velenoso sono molto sgradevoli e includono vomito, diarrea, oltre che insufficienza respiratoria; prima di indurre la morte paralizza nervi e muscoli (cominciando dagli occhi), ma non paralizza il cervello. E lei questo lo sapeva.

Inoltre, per essere sicura di morire con il suo morso, Cleopatra avrebbe dovuto premere le ghiandole venefiche del rettile, perché di fronte ad una vittima troppo grande da mangiare il serpente per difendersi potrebbe solo mordere la sua vittima senza rilasciare il veleno, una tecnica chiamata dry bite che letteralmente significa appunto morso asciutto. Senza poi trascurare il fatto che è imprevedibile la quantità di veleno che il serpente velenoso potrebbe iniettare, questo potrebbe non essere sufficiente per suicidarsi e potrebbe perciò solo causare ore e ore di pene. Quindi, perché correre il rischio di sopravvivere dopo essersi inflitti queste sofferenze? Cleopatra era una donna troppo intelligente per affrontare una morte atroce come quella che la tradizione ci vuole tramandare.

Tutto questo induce a pensare che le cose non siano andate proprio così. E si ritorna ad esaminare le fonti storiche secondo le quali, come ho già detto, Cleopatra ebbe una morte tranquilla ed indolore, cosa che abbiamo visto essere del tutto incompatibile con il morso di un serpente, oltre al fatto che il rettile non avrebbe potuto proprio fisicamente iniettare il suo veleno per ben tre volte per poter uccidere tre persone.

Il suicidio di Cleopatra, busto in marmo di Claude Bertin, 1690 circa, Museo del Louvre, Parigi. (ph. wikipedia)

Qui sorge plausibile l’ipotesi proposta dai due ricercatori tedeschi i quali ritengono che Cleopatra si avvelenò bevendo una miscela di veleni.

Un particolare cocktail di piante velenose avrebbe assicurato una morte sicura e indolore, e non sarebbe stato complicato prepararlo visto che gli antichi Egizi conoscevano molto bene i “benefici” e gli effetti che inducevano l’assunzione di determinate piante nei giusti dosaggi (non dimentichiamo, infatti, i famosi papiri Edwin Smith ed Ebers – giusto per nominare i più conosciuti – che sono dei veri e propri trattati di medicina: il primo prettamente scientifico, il secondo coadiuvato dalla potenza degli incantesimi).

Schaefer e Mebs ritengono che Cleopatra avesse usato una miscela di cicuta, aconito e oppio; una pozione simile, a base di cicuta, venne usata anche per avvelenare Socrate. La corte era piena di esperti in veleni, la stessa regina ne era appassionata studiosa, era quindi noto che una tale miscela avrebbe causato una morte indolore in poco tempo. L’oppio avrebbe agito da analgesico, la cicuta avrebbe paralizzato il sistema nervoso fino alla morte per insufficienza respiratoria, mentre l’aconito è una pianta estremamente tossica.

Tutto, in questo modo, sembra filare liscio e potrebbe essere la versione dei fatti più plausibile, se non che, nonostante le solide argomentazioni scientifiche appena presentate, un illustre storico apprezzato a livello mondiale e specializzato di medicina, scienze e di piante medicinali nell’antichità, il dottor Alain Touwaide, sostiene che durante il periodo in cui era in vita Cleopatra non era uso comune mescolare veleni vegetali.

A questo punto soltanto il ritrovamento del suo corpo e le analisi forensi applicate ai suoi resti potrebbero chiarire definitivamente le cause della morte di colei che, come la definiva Plutarco, era “irresistibile per il suo infinito piacere di parlare e per la dolcezza e l’armonia della sua voce”.

Se questa versione dei fatti venisse confermata, la storia dell’aspide verrebbe relegata al campo della leggenda, come di leggende e miti, d’altronde, è cosparsa la vita dell’intrepida e ammaliante sovrana. Ma sapendo che Cleopatra era venerata come regina ed era considerata la reincarnazione della dea Iside, come non immaginare una messa in scena teatrale per il suo addio alla vita terrena?! E’ facile immaginare che, imprigionata dagli eventi, si fece preparare una pozione velenosa dalla sua corte e che lasciò istruzioni per montare quella che sarebbe stata la sua leggenda, una storia talmente suggestiva ed affascinate da restare nel ricordo della collettività per sempre, la sua storia e la sua fine gloriosa sarebbero così rimasti vivi per l’eternità. Inoltre, la morte della discendente di Iside causata dal morso di un serpente sarebbe stata vista dai suoi sudditi come segno della sua discendenza divina.

Bellissimo e significativo è il passo che Plutarco riporta narrandoci della conversazione – avvenuta di fronte al corpo ormai inerme dell’ammaliante sovrana – intercorsa tra una sua ancella e Marco Vipsanio Agrippa: «Ti sembra sia stata una degna fine? chiese il romano. L’ancella rispose: Più che degna… degna dell’ultima regina d’una grande stirpe!».

 

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Tiziana Giuliani

Egittofila, sin dall’infanzia appassionata di Antico Egitto, collabora con l’associazione Egittologia.net dal 2010. Ha contribuito alla realizzazione di EM-Egittologia.net Magazine (rinominato poi MediterraneoAntico) seguendone la pubblicazione già dai primi numeri e ricoprendo in seguito anche il ruolo di coordinatrice editoriale. Dal 2018 è capo redattrice di MediterraneoAntico.

Organizza conferenze ed eventi legati al mondo degli Egizi, nonché approfondimenti didattici nelle scuole di primo grado. Ha visitato decine di volte la terra dei faraoni dove svolge ricerche personali; ha scritto centinaia di articoli per la ns. redazione, alcuni dei quali pubblicati anche da altre riviste (cartacee e digitali) di archeologia e cultura generale. Dall’estate del 2017 collabora con lo scrittore Alberto Siliotti nella realizzazione dei suoi libri sull’antico Egitto.

Appassionata di fotografia, insegna ginnastica artistica ed ha una spiccata predisposizione per le arti in genere.

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