Presentati i risultati degli studi compiuti nella villa stabiana tra il 2007 e il 2012. Per la prima volta impiegato il silicone per ottenere calchi delle radici
Il giardino del grande peristilio di Villa Arianna a Stabia non era come tutti gli altri o, quanto meno, rispetto a quelli presenti nelle ville della vicina Pompei, non assolveva ad una funzione soltanto “decorativa” e naturalistica: a Villa Arianna ci si andava per fare vita sociale, per passeggiare godendosi il panorama che dominava le isole del Golfo, per conversare di affari o di politica, per farsi notare, ma anche per “osservare” senza essere visti. Insomma era da considerarsi un po’ come un luogo esclusivo per la “movida” dell’epoca, un posto dove tessere la complicata trama delle relazioni sociali. È questo forse l’aspetto, ma non il solo, che rende praticamente unico nel suo genere il grande giardino della villa stabiana più famosa.
Questi interessanti elementi di novità sono emersi nell’ambito del convegno organizzato dal Rotary Club di Castellammare di Stabia (Napoli) dal titolo: “L’Importanza dei beni culturali per la crescita sociale ed economica del territorio: il recente studio sul giardino di Villa Arianna, a cura della Fondazione Ras e dell’Associazione Internazionale Amici di Pompei” che si è svolto lo scorso 13 ottobre all’Hotel Stabia. Durante la serata è stato presentato il volume “Excavation and study of the garden peristyle of the Villa Arianna, Stabiae, 2007-2012” che raccoglie tutte le risultanze degli studi effettuati per oltre cinque anni sul complesso stabiano. La pubblicazione, edita dall’associazione internazionale Amici di Pompei e dalla Fondazione Restoring Ancient Stabiae (Ras), riporta quindi i risultati di quelle indagini che hanno fatto emergere particolari inediti sul giardino del peristilio di Villa Arianna.
Hanno aperto la serata, moderata da Giulio Clemente, Presidente Rotary Club di Castellammare di Stabia, gli interventi di Daniele Pesenti, vicesindaco di Castellammare di Stabia; di Nicola Di Lorenzo, consigliere delegato Ras; di Giovanna Bonifacio, direttrice degli Scavi di Stabia per il Parco Archeologico di Pompei. Ha concluso gli interventi istituzionali della serata, infine, Antonio Pannullo, sindaco di Castellammare di Stabia.
A introdurre il pubblico nelle meraviglie dell’antica villa stabiana è stato Paolo Gardelli, archeologo Ras, ricercatore dell’Università Lmu di Monaco di Baviera e curatore del volume, il quale ha accennato alle alterne fortune vissute dagli scavi dello storico edificio. La Villa fu interessata infatti da una prima campagna di scavo tra il 1761 e il 1762, ma si trattò di scavi veloci: i Borbone si affrettarono e reinterrare subito tutto, in seguito alle vibranti proteste dei contadini locali che si lamentavano delle espropriazioni delle terre. Gli scavi ripresero poi nel 1777-1778, quando fu possibile redigere la prima planimetria completa del giardino della villa. Inoltre, il ritrovamento di 18 ollette forate accatastate una sull’altra, utilizzate per piantare i fiori nel giardino, fece comprendere che la Villa, al momento dell’eruzione vesuviana che la distrusse, era in rifacimento dopo il terremoto del 62 d.C.
A illustrare le caratteristiche dello spazio verde di Villa Arianna è stato invece il professor Thomas Howe, della South Western University, Coordinatore scientifico Ras il quale tra il 2007 e il 2012 ha coordinato per la Ras gli studi sull’edificio che, ovviamente, non ha avuto una sorte dissimile dalle altre migliaia di costruzioni distrutte dalla furia del Vesuvio nel 79 d.C. «Lo studio sul giardino del grande peristilio di Villa Arianna a Stabiae – ha scritto Howe nel libro di cui è curatore – con la messa in luce completa della superficie antica, è stato portato avanti nell’arco di quattro campagne di scavo a cavallo degli anni 2007 e 2010, grazie al coordinamento di diversi gruppi di lavoro da parte della fondazione Restoring Ancient Stabiae (Ras) e sotto la supervisione della Soprintendenza archeologica di Pompei (oggi denominato Parco Archeologico). Il risultato più significativo ottenuto dagli studi condotti fino ad oggi è, in particolare, la prova archeologica dell’esistenza di due modelli distinti di piantumazione, i cosiddetti “viridia”: il primo è il modello restituitoci dagli affreschi provenienti dalla Villa di Livia a Prima Porta; l’altro è quello composto da “ambulationes” centrali del tipo documentato a Roma nel Tempio di Eliogabalo, così come in altre porticus della città. I resti archeologici rafforzano la nozione di come, nel corso dei primi decenni dalla pace di Augusto e nella successiva età giulio-claudia, le innovazioni nel campo dell’architettura dei giardini fossero strettamente correlate alle novità coeve nel campo dell’architettura e delle arti figurative».
Il professor Howe, dopo aver ricordato ai presenti che per lui, cittadino americano, è stato un privilegio lavorare a Stabiae, ha spiegato che all’arrivo della prima equipe, nel 2007, il giardino era perfettamente conservato, benché “invisibile”, perché ancora coperto dallo strato consolidato di lapilli. Una volta rimossa la coltre è stato possibile avviare gli studi su un giardino lungo ben 108 metri: un primo dato, questo, che rende una prima idea dell’unicità di Villa Arianna nel panorama delle ville vesuviane.
La prima scoperta è stata rappresentata dal fatto che lo strato di lapilli aveva conservato perfettamente la forma delle radici delle piante, il che ha facilitato non poco il lavoro degli archeologi nella ricostruzione dell’organizzazione dello spazio verde: si è così potuto stabilire che l’hortus era suddiviso in tre linee di alberi e, quindi, due linee di piantumazione di arbusti. Gli alberi che ornavano il giardino erano di circa 60-70 anni.
Nello scavo a Stabiae ha fatto il suo esordio un metodo innovativo per ottenere i calchi delle radici delle piante, probabilmente utilizzato per la prima volta in assoluto in ambito archeologico: per raggiungere questo obiettivo, infatti, il team del professor Howe ha utilizzato il silicone al posto delle colate di gesso, vale a dire proprio lo stesso materiale che si usa ad Hollywood per realizzare le maschere che si vedono nei film horror! L’impiego del gesso per realizzare calchi, infatti, oltre a presentare costi più alti e tempi più lunghi (il silicone è pronto dopo soli 45 minuti), non avrebbe consentito di conservare i dettagli. Grazie a questo metodo, invece, oltre alle grandi forme delle radici si è potuto osservare anche le terminazioni delle stesse. E non è tutto: il livello di dettaglio offerto dal silicone ha permesso di ottenere anche le forme degli insetti presenti fino al momento della distruzione. Un dettaglio importante, che ha consentito di stabilire che nel giardino c’era un prato: quindi è stato dedotto che lo spazio verde di Villa Arianna era usato per passeggiare, a differenza della maggior parte dei giardini pompeiani, che invece erano fatti più che altro per essere guardati. Come già anticipato, infatti, a Villa Arianna ci si andava per fare vita sociale. Il giardino poteva ospitare centinaia di persone, almeno 250 secondo l’analisi di Howe; la disposizione delle piante, inoltre, era stata studiata per favorire l’interazione tra gli ospiti e le modalità di socializzazione che questi preferivano, alternandosi ad esempio tra le zone più in vista e quelle che offrivano maggiore discrezione. C’è da dire, poi, ai confini del giardino, dove iniziava il peristilio, c’erano degli ambienti simili a delle camere: da lì si poteva vedere agevolmente chi passeggiava nel giardino praticamente senza essere visti. In sostanza, ha quindi concluso Howe, a Villa Arianna ci si andava per vedere, ma anche per essere visti.
Al di là dell’uso principale per il quale era stato concepito, ha spiegato poi il professor Howe, il giardino di Villa Arianna rappresenta a giusta ragione un grandioso lavoro di ingegneria, in quanto il piano di calpestio aveva la pendenza giusta per far scivolare verso il pendio della collina (l’odierna Varano) l’acqua piovana. Gli archeologi hanno individuato questa caratteristica notando che nei giorni di pioggia in cui erano al lavoro, l’acqua non si accumulava sul suolo.