Dal mito di Parthenope all’insediamento della Palepolis. Nuove ricerche sui fondali di Castel dell’Ovo

0
3447

L’origine di Neapolis è legata da sempre a miti e leggende secolari, addirittura uno di questi rimanda ad Ulisse e alle Sirene cantate da Omero nell’XII libro dell’Odissea.

In un luogo in mezzo al mare battuto dalle correnti e dalle onde, su uno scoglio, dimoravano le Sirene, tremende creature dal volto bellissimo di donna e dal corpo di volatile che con il loro canto ammaliante attraevano e ingannavano i navigatori. Circe mise in guardia Ulisse proprio dal loro canto e da una morte atroce, poichè durante il viaggio lui e i suoi compagni avrebbero dovuto attraversare proprio la dimora delle Sirene per completare il loro ritorno verso casa.

Stamnos con Ulisse e le Sirene

Per sfuggire alle creature, l’arguto Ulisse turò le orecchie dei compagni con della cera ma non le sue; lui preferì legarsi all’albero della nave per sentire quel canto melodioso che faceva innamorare gli uomini portandoli alla follia e incontro alla morte. A causa di quell’umiliazione, tre sorelle sirene, Parthenope la vergine, Leucosia la bianca e Ligea dalla voce chiara decisero di gettarsi in mare per trovare la morte. Il mito narra ancora che il corpo di Parthenope venne portato dalle correnti sull’isolotto di Megaride ( oggi lì sorge Castel dell’Ovo) e i pescatori quando videro quel bellissimo volto ormai privo di vita decisero di seppellirla a protezione della città che stava sorgendo. Secondo un’altra leggenda è dal corpo di Parthenope che prese forma il Golfo di Napoli con il capo della sirena ad oriente sull’altura di Capodimonte, e i piedi ad occidente verso il promontorio di Posillipo. Una leggenda più tarda vuole invece il Vesuvio, un giovane centauro, innamorato della Sirena Parthenope e Zeus ingelosito trasformare Vesuvio in vulcano e la sirena nella città di Napoli.

Non vi è una versione ufficiale del mito, ma tante storie concorrono a raccontare l’origine della città legata alla sirena Parthenope, da sempre venerata e posta a protezione della città, tanto da far prendere ancor oggi agli abitanti il collettivo sinonimo della città stessa: partenopei.

Galleria, credits: http://www.iulm.it/wps/wcm/connect/iulmit/iulm-it/news-e-eventi/notizie/la-leggend-+di-napoli

Tralasciando il mito, secondo la tradizione letteraria antica, verso la fine del IX – inizi VIII secolo a.C. un gruppo di genti provenienti da Rodi fondarono un emporio commerciale sulla collina di Pizzofalcone e sulla penisola di Megaride, mentre, intorno alla metà dell’VII secolo a.C., i Greci di Cuma trasformarono quell’iniziale punto di approdo in un vero e proprio centro abitativo denominato Parthenope. La tradizione locale circa l’esistenza e l’origine di Partenope è stata confermata dal ritrovamento di una necropoli in Via Nicotera che consente di collocare la vita di questo primo centro tra il 650 e il 550 a.C., periodo dell’espansione cumana verso il Golfo di Napoli che fu per lungo tempo denominato “Golfo di Cuma”.

Galleria 2, credits: http://www.iulm.it/wps/wcm/connect/iulmit/iulm-it/news-e-eventi/notizie/la-leggend-+di-napoli

Il mito di fondazione della città torna protagonista di un progetto di ricerca coordinato dall’Università Iulm di Milano nell’ambito del “Sea. Re N. Project” guidato dal professor Louis Godart (consigliere culturale per il Ministero degli Esteri, accademico dei Lincei e già professore di Filologia Micenea alla Federico II di Napoli) insieme ad alcuni archeologi subacquei napoletani e dal direttore scientifico del Progetto di Ricerca “Napoli- Rilevamenti geoarcheologici subacquei a Castel dell’Ovo”, Filippo Avilia. Le indagini, già partite ad ottobre, mostrerebbero il ritrovamento del primo porto dell’antica Palepolis, confermando quindi che il primo insediamento di Parthenope sarebbe sorto proprio a largo di Castel dell’Ovo. Durante le immersioni sono state fotografate delle gallerie tufacee a quattro metri e sessanta di profondità. Queste, più che cave, appaiono come postazioni militari, una sorta di corridoi “bunker” posti a controllo del tratto di mare e presentano similitudini di taglio e dimensioni con l’Antro della Sibilla a Cuma risalenti al IV secolo a.C.

Le gallerie, inoltre, attraversano una cresta di tufo e insieme ad un’altra traccia riscontrata, una strada arcaica, si potrebbero ricollegare al primo insediamento cumano di Pizzofalcone datato alla metà del VII secolo a.C. Il direttore Avilia dice che se tutte le ricerche fossero confermate, ci troveremmo davanti ad un porto con doppio approdo, quello del primo insediamento della “Palepolis”.

Castel dell’Ovo versante ovest, credits: http://www.iulm.it/wps/wcm/connect/iulmit/iulm-it/news-e-eventi/notizie/la-leggend-+di-napoli

Finora a sostenere questa ipotesi vi erano solo alcuni pescatori esperti della zona, perché quando il fondale è visibile si intravedono abbastanza chiaramente le strutture. Durante alcuni sondaggi nel porticciolo di Santa Lucia nel 2014, Avilia vide il banco di tufo quasi affiorante, ipotizzando quindi che in realtà Castel dell’Ovo fosse in origine una penisola; il successivo ritrovamento delle gallerie lo confermerebbe. Pizzofalcone poteva benissimo avere due approdi, non solo quello di levante nei pressi del Maschio Angioino dove sono state ritrovate le navi scoperte nel corso della realizzazione della metropolitana, ma anche a ponente, considerato un approdo poco adatto, ma che in origine era un’insenatura protetta, oggi in posizione molto avanzata, mentre in antico, come attestato dagli studi geologici, la spiaggia era molto arretrata ed arrivava quasi fino a piazza dei Martiri. La baia che andava da Megellina, rientrava poi a piazza dei Martiri, curvava sotto Pizzofalcone proseguendo poi con il braccio di Castel dell’Ovo, la penisola di Megarys; forse proprio la baia del primo insediamento greco sulla collina di Pizzofalcone, prima della Neapolis. Le ultime scoperte sarebbero quindi da collegare a questo approdo, congetture che comunque vanno di pari passo a meticolose prospezioni geo-archeologiche e che continuano nonostante il mare agitato di novembre. La nuova campagna di ricerca archeologica, che vede la collaborazione del rettore della Iulm Mario Negri e della direttrice del Dipartimento Studi Umanistici Giovanna Rocca e della ricercatrice Erika Notti, ha consentito di ampliare la conoscenza delle strutture già individuate nel 2016. Di qui anche un progetto di tutela e valorizzazione del patrimonio sommerso che è punto cardine del progetto biennale della Iulm, finanziato con dieci mila euro per questo primo anno e che vuole l’istituzione di campi scuola in accordo con il Comune di Napoli, la creazione di percorsi turistici subacquei, la creazione di un’app e di un sito web. E soprattutto la mappatura di questo tratto di costa che va da Posillipo a Castel dell’Ovo.

 

Advertisement
Articolo precedenteProgetto Acheloo: la ripresa dell’indagine archeologica a Civitavecchia
Prossimo articoloScoperto meraviglioso tesoro medievale nei pressi dell’Abbazia di Cluny
Alessandra Randazzo

Studia Lettere Classiche presso il DICAM dell’Università di Messina. Ha ricoperto il ruolo di redattrice e social media manager per www.mediterraneoantico.it e attualmente per la testata Made in Pompei, inoltre è Ufficio Stampa per la società di videogames storici Entertainment Game Apps, Ltd.
Durante la carriera universitaria ha partecipato a numerose campagne di scavo e ricognizione presso siti siciliani e calabresi.
Per la cattedra di Archeologia e Storia dell’arte Greca e Romana presso il sito dell’antica Finziade, Licata (AG) sotto la direzione del Prof. G.F. La Torre, febbraio-maggio 2012; per la cattedra di Topografia Antica presso Cetraro (Cs) sotto la direzione del Prof. F. Mollo, luglio 2013; per la cattedra di Topografia Antica e Archeologia delle province romane presso il sito di Blanda Julia, scavi nel Foro, Tortora (Cs) sotto la direzione del Prof. F. Mollo, giugno 2016.
Ha inoltre partecipato ai corsi di:
“Tecnica Laser scanning applicata all’archeologia” in collaborazione con il CNR-IPCF di Messina, gennaio 2012;
Rilievo Archeologico manuale e strumentale presso l’area archeologica delle Mura di Rheghion – tratto Via Marina, aprile-maggio 2013;
Analisi e studio dei reperti archeologici “Dallo spot dating all’edizione”, maggio 2014; Geotecnologie applicate ai beni culturali, marzo-aprile 2016.
Collabora occasionalmente con l’ARCHEOPROS snc con cui ha partecipato alle campagne di scavo:
“La struttura fortificata di Serro di Tavola – Sant’Eufemia D’Aspromonte” sotto la direzione della Dott.ssa R. Agostino (Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria) e della Dott.ssa M.M. Sica, 1-19 ottobre 2012;
Locri – Località Mannella, Tempio di Persefone sotto la direzione della Dott.ssa R. Agostino (Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria), ottobre 2014;
Nel marzo 2014 ha preso infine parte al Progetto “Lavaggio materiali locresi” presso il cantiere Astaldi – loc. Moschetta, Locri (Rc) sotto la direzione della Dott.ssa M.M. Sica.

Collabora attualmente con la redazione di: www.osservarcheologia.eu

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here