Un antico vaso ospitato da oltre tre decenni nelle vetrine del Metropolitan Museum of Art di New York è stato confiscato la scorsa settimana dall’ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan. Il motivo? La presunta provenienza illecita del reperto, probabilmente da una tomba del Sud Italia trafugata. La faccenda ricorda da vicino un altro famoso caso che aveva come oggetto di indagine il vaso di Eufronio, coinvolto nel traffico internazionale di opere d’arte. Il vaso, un cratere a campana con Dioniso trainato su un carro da un satiro, molto probabilmente proviene da uno scavo illecito di tombaroli.
Il museo, come si legge negli atti, acquistò il reperto da un’asta di Sotheby’s nel 1989 per meno di 100.000 dollari, ma la direzione della famosa casa d’aste, citando il diritto alla privacy, ha negato il rilascio di qualsiasi informazione circa l’identificazione del venditore e precisando che all’epoca non vi erano sospetti sulla provenienza illecita del reperto. Gli investigatori americani hanno prelevato lo scorso 24 luglio il vaso dopo aver esaminato foto e documenti inviati dall’archeologo Christos Tsirogiannis, che nel 2014 ha pubblicato i suoi sospetti sul Journal of Art Crime e ha contemporaneamente mandato le prove al Met. Non avendo ricevuto nessuna risposta, la scorsa primavera Tsirogiannis ha coinvolto un sostituto procuratore di Manhattan, Matthew Bogdanos, specializzato in furti d’arte. Tra le prove esibite, alcune Polaroid, scattate tra 1972 e 1995 e confiscate dai magazzini di Giacomo Medici, 79enne mercante italiano arrestato nel 1997 e condannato nel 2004 per traffico di opere d’arte. Medici che per l’occasione è stato raggiunto in Italia dal New York Times, si dice estraneo ai fatti e nega qualsiasi relazione con questa vicenda. Tsirogiannis sostiene che il vaso e’ stato trafugato da una tomba nel sud Italia e presentava tracce di incrostazioni di terra. Medici che non è più agli arresti domiciliari dall’anno scorso, dopo aver scontato una pena di otto anni e mezzo abbreviata per buona condotta, non ricorda di averlo trattato nei suoi loschi affari, mentre il museo si dice estraneo sulla provenienza illecita del cratere e si dichiara dispiaciuto di vedere nuovamente collegato il nome del trafficante d’arte all’istituzione americana. Inoltre il museo tende a precisare che l’oggetto è stato consegnato ai procuratori il giorno successivo alla richiesta di confisca e anticipa che il vaso, usato nell’antichità per mescolare acqua e vino, tornerà in Italia. “Il museo ha lavorato con diligenza per assicurare una giusta risoluzione del caso”, ha dichiarato Kenneth Weine, portavoce del museo. Gli esperti attribuiscono il cratere a campana a maestranze pestane, in particolare al ceramografo Python, famoso artista attivo nel IV secolo a.C. In attesa di istruzioni da Roma, già da dicembre 2016 la direzione del Met ha informato le autorità italiane e in attesa dell’iter giudiziario previsto si dichiara disposto alla collaborazione e alla restituzione del reperto.
Fonte: New York Times