Civis Romanus sum (Parte 1)

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A Roma così come nelle zone provinciali d’Italia, accanto ai cittadini romani, esistevano persone con una condizione giuridica differente, che andava dall’essere cives parzialmente, i cittadini romani senza diritto di voto, fino ad essere totalmente estranei al mondo romano, i peregrini.

La toga era la tipica veste del cittadino romano

A Roma era cittadino chi nasceva da iustum matrimonium, ovvero da un matrimonio che seguiva le norme fissate dal diritto tra padre e madre, entrambi romani, o tra padre romano e madre latina o peregrina, a patto che questa avesse lo ius connubi, cioè il diritto di connubio. Secondo questa formula, definita da Gaio (I, 78-80), questo era il cittadino per nascita. Se il figlio era nato da nozze illegittime seguiva la condizione giuridica della madre. La lex Minucia, che risale alla fine dell’età repubblicana, fissò dei limiti. Se il padre era latino o peregrino, il figlio seguiva la sua condizione. Se un figlio nasceva dopo l’acquisizione della cittadinanza dei genitori allora di conseguenza era cittadino anche lui, se invece era nato prima, restava peregrino e quindi non veniva sottoposto alla patria potestà del padre, propria del diritto romano. Era un civis chi possedeva i tria nomina: ovvero, un praenomen, un nomen e un cognomen. Un atteggiamento che scandalizzava i Greci, così gelosi del proprio diritto di cittadinanza, era la concessione agli schiavi affrancati, i liberti, di ricevere con l’atto della manomissione, la cittadinanza romana che si traduceva in : “libertas id est civitas”, ovvero in diritti politici come diceva Cicerone. Paradossalmente non era così raro che uno schiavo venisse liberato dal proprio padrone, sia per generosità sia sotto pagamento di una somma, tanto che Augusto farà approvare una legge che proibiva ai padroni di liberare più di cento schiavi nel suo testamento. Non tutti gli schiavi manomessi però potevano acquisire la cittadinanza romana; ne erano esclusi quelli rei di aver commesso gravi atti infamanti e due leggi, la lex Aelia Sentia del 4 d.C. e la Iunia Norbana del 19 d.C. ne determinarono le ragioni. La prima generazione di schiavi liberati non godeva però appieno dei diritti politici di un cittadino, infatti non poteva accedere alle cariche della magistratura e il suo voto aveva valore inferiore rispetto a quello di un civis romanus normale.

 In cosa consiste la cittadinanza romana?

La cittadinanza romana è un insieme di diritti civili e politici a cui però corrispondono dei doveri. Non abbiamo un elenco dei diritti e doveri dei cittadini né successivamente altre deliberazioni fissarono mai lo stato di civis. Il concetto di “diritti civili” è abbastanza moderno e non appartiene al mondo antico. Il cittadino gode del diritto di contrarre matrimonio (ius connubii) a cui consegue il regime dotale, la patria potestas e il diritto di successione; del diritto di stipulare contratti secondo le norme di legge (ius commercii) e del diritto di proprietà di schiavi, beni e proprietà; del diritto di fare testamento; di essere istituito erede; di essere giudicato tramite un processo giusto solo di fronte ai tribunali di Roma per i crimini di cui è accusato e di essere anche testimone in un processo. I diritti comportano anche dei doveri nei confronti della res publica: il diritto di votare in assemblea (ius suffragii) a cui si collega il diritto di essere eletto magistrato (ius honorum), il diritto di essere tutelato dalla provocatio ad populum e di poter invocare l’intercessio di un tribuno o di un magistrato. Ovviamente era dovere di un cittadino servire nelle legioni e pagare le tasse.

Dal 167 a.C., grazie al bottino macedonico, nessun cittadino fu gravato di imposte e alla fine della repubblica il servizio militare fu assicurato dai volontari stipendiati, sempre cittadini romani. Come si acquisiva, la cittadinanza romana poteva anche essere persa. Questa cambiava nel momento in cui si subiva una capitis deminutio, ossia un cambiamento di condizione giuridica. Si poteva perdere il proprio stato di “libertà” (in epoca arcaica per schiavitù per debiti o per prigionia di guerra), oppure si poteva essere condannati penalmente se si diventava cittadini di un’altra città poiché il diritto romano vietava la doppia cittadinanza.

Fresco Sala Maccari, Palazzo Madama (Senado Italiano), Roma, Itália

I problemi delle conquiste posero Roma di fronte alla scelta di un altro tipo di cittadinanza che fu definita: civitas sine suffragio, concessa a partire dal IV a.C. fino al II secolo a.C. a popoli conquistati o annessi ma senza che gli si attribuisse loro diritto di voto. Rimanevano però gli obblighi militari e finanziari. I peregrini non erano cittadini romani ma appartenevano a comunità straniere. La loro condizione giuridica dipendeva dai rapporti che la città aveva con Roma. Se facevano parte di una civitas autonoma, avevano pieni diritti; diversamente se la città si era opposta a Roma con le armi, questa non godeva più dei propri diritti e la condizione era fissata da Roma stessa. Se erano peregrini dediticii, ossia appartenenti a popoli nemici ma che avevano fatto deditio in fidem populi romani, allora questi non potevano in nessun modo accedere alla cittadinanza. Lo straniero mancava di tutela giuridica, a meno che non fosse coperto da un trattato internazionale stipulato tra Roma e un’altra civitas, oppure da un patto di hospitium, una sorta di patto stretto tra famiglie.

Per tutta l’età repubblicana, Roma procedette con grande cautela nella concessione della cittadinanza agli stranieri. Inizialmente le concessioni avevano carattere individuale e non si estendevano a moglie e figli. Esistevano poi altre condizioni di cittadinanza, particolare era la situazione dei latini. Il Latino aveva diritti a metà strada tra il cittadino romano e lo straniero. La parola latini inizialmente indicava le popolazioni che abitavano il Lazio, particolarmente vicine a Roma non solo per motivi geografici ma anche politicamente ed etnicamente. Una volta inglobate, si ritrovarono presto in un ambito privilegiato rispetto alle altre popolazioni sottomesse: in particolare godevano dello ius connubii e inoltre se per qualsiasi motivo un latino si trovava a Roma nel giorno in cui si fossero riuniti i comizi poteva esercitare il diritto di voto. Nel tempo lo status di latino venne a caratterizzarsi come una condizione di cittadinanza privilegiata, ma non quanto quella romana poiché non era permesso l’accesso a cariche politiche. Erano latini anche gli abitanti delle colonie create da Roma e gli schiavi liberati in particolari circostanze. lo ius Latii  fu accordato a varie comunità della Gallia Transalpina, poi Narbonense che vennero da quel momento in poi considerate colonie. Augusto e i suoi successori concederanno la latinità anche ad altre città galliche. A partire dal 242 a.C. Roma dovette affrontare per la prima volta il problema degli “stranieri”. In tale anno venne creato il pretore peregrino con il compito di risolvere i contenziosi tra Roma e gli stranieri che, dopo le guerre puniche, proiettava la città verso un mondo ampio fatto di scambi e di richiami di persone dall’Italia e dal Mediterraneo. Iniziano così i problemi di diritto relativo non solo alle azioni commerciali ma soprattutto alla presenza di stranieri sul territorio di Roma.

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Alessandra Randazzo

Studia Lettere Classiche presso il DICAM dell’Università di Messina. Ha ricoperto il ruolo di redattrice e social media manager per www.mediterraneoantico.it e attualmente per la testata Made in Pompei, inoltre è Ufficio Stampa per la società di videogames storici Entertainment Game Apps, Ltd.
Durante la carriera universitaria ha partecipato a numerose campagne di scavo e ricognizione presso siti siciliani e calabresi.
Per la cattedra di Archeologia e Storia dell’arte Greca e Romana presso il sito dell’antica Finziade, Licata (AG) sotto la direzione del Prof. G.F. La Torre, febbraio-maggio 2012; per la cattedra di Topografia Antica presso Cetraro (Cs) sotto la direzione del Prof. F. Mollo, luglio 2013; per la cattedra di Topografia Antica e Archeologia delle province romane presso il sito di Blanda Julia, scavi nel Foro, Tortora (Cs) sotto la direzione del Prof. F. Mollo, giugno 2016.
Ha inoltre partecipato ai corsi di:
“Tecnica Laser scanning applicata all’archeologia” in collaborazione con il CNR-IPCF di Messina, gennaio 2012;
Rilievo Archeologico manuale e strumentale presso l’area archeologica delle Mura di Rheghion – tratto Via Marina, aprile-maggio 2013;
Analisi e studio dei reperti archeologici “Dallo spot dating all’edizione”, maggio 2014; Geotecnologie applicate ai beni culturali, marzo-aprile 2016.
Collabora occasionalmente con l’ARCHEOPROS snc con cui ha partecipato alle campagne di scavo:
“La struttura fortificata di Serro di Tavola – Sant’Eufemia D’Aspromonte” sotto la direzione della Dott.ssa R. Agostino (Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria) e della Dott.ssa M.M. Sica, 1-19 ottobre 2012;
Locri – Località Mannella, Tempio di Persefone sotto la direzione della Dott.ssa R. Agostino (Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria), ottobre 2014;
Nel marzo 2014 ha preso infine parte al Progetto “Lavaggio materiali locresi” presso il cantiere Astaldi – loc. Moschetta, Locri (Rc) sotto la direzione della Dott.ssa M.M. Sica.

Collabora attualmente con la redazione di: www.osservarcheologia.eu

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