Oltre il fascino suscitato nell’immaginario collettivo dalle vestigia e dai simboli della civiltà etrusca, quelle vicende sacre ed umane, sospese in una dimensione atemporale carica di suggestioni, celano ancora intriganti misteri.

In epoca etrusca l’area della Toscana comprendente la pianura e le alture collinari fra Firenze, Prato, Pistoia, il Montalbano, il Mugello e la Val di Sieve (ovvero il territorio a nord del fiume Arno, definibile come “fiesolano” dal nome del centro etrusco di Fiesole che fungeva da fulcro) costituiva un’area strategica la cui unità culturale è testimoniata da un notevole tesoro archeologico. La mostra “L’ombra degli Etruschi. Simboli di un popolo fra pianura e collina”, allestita a Palazzo Pretorio di Prato (visitabile fino al 30 giugno 2016), ripercorre la storia delle popolazioni che abitavano quest’area attraverso una produzione di pregio tra cippi, stele e bronzetti, utili per comprendere le radici culturali profonde e apprezzare il significato di una produzione eccellente, strettamente connessa alla sfera del sacro e dell’oltremondano.

Assai significative sono le “pietre fiesolane”, ovvero cippi e stele in pietra arenaria con decorazione a rilievo con funzione funeraria, ritrovate in quest’area fra pianura e collina. Questi reperti di età arcaica (VI-V sec. a. C.) sono estremamente preziosi anche perché narrano i temi a quel tempo cari all’aristocrazia, che affida a questi oggetti la rappresentazione di se stessa e dei propri valori. Si tratta di immagini di animali, reali e fantastici, raffigurati con le effigi degli stessi defunti, o anche guerrieri, sacerdoti/magistrati, oppure scene più articolate come quella del simposio, talvolta associato ad un momento di gioco. Ne è un esempio mirabile la Stele Peruzzi, con la decorazione (su una sola facciata) che si articola in due riquadri: in alto una scena di simposio, con due figure maschili semisdraiate su un letto da convito (kline) e all’estremità sinistra un coppiere, coperto in parte da un tavolo a tre gambe con sopra due grandi vasi (situle). In basso una scena di gioco: vediamo due giovani uomini uno di fronte all’altro, seduti su due sgabelli, con in mezzo un tavolo a tre gambe. Il personaggio di destra protende una mano, in un gesto che pare quello di chi prende o lascia qualcosa, forse dei dadi da gioco.

Anche la donna viene raffigurata, ma come protagonista di un particolare tipo di stele a forma ovoidale rastremata verso l’alto, come si può notare nella Stele di Londa I: una lastra a forma di lira, dove sul lato principale è raffigurata una figura femminile di profilo, seduta, con in mano un rametto di melograno con tre frutti, simbolo di vita e di morte.

Tuttavia non mancano anche cippi privi di immagini, i quali dovevano trasmettono il messaggio attraverso l’essenzialità della loro stessa forma.

All’interno dell’area che è stata individuata è da segnalare un insediamento nella zona di Gonfienti, poco a sud di Prato, in quella parte di pianura tra il fiume Bisenzio, il torrente Marinella e il piede del rilievo della Calvana con l’altura di Pizzidimonte, a cavallo tra gli attuali comuni di Prato e Campi Bisenzio. Gonfienti (dal latino letteralmente confluentes, ovvero “confluenti”, per indicare una porzione compresa tra due fiumi) è un luogo edificato su uno protostorico preesistente (risalente alla tarda età del Bronzo) e rigorosamente pianificato come città di nuova fondazione con una rete di pozzi e canali per favorire le coltivazioni e con una serie di percorsi viari che vengono potenziati per favorire i collegamenti con l’Etruria meridionale verso sud-ovest e le coste dell’Adriatico verso nord-est.

Proprio a Gonfienti, e nello spazio immediatamente circostante, fin dal Settecento sono noti esemplari di offerenti, ovvero figure votive in bronzo: così come il popolo etrusco traspone se stesso nelle figure di pietra in occasione della morte, allo stesso modo traspone se stesso nelle figure di bronzo in occasione della preghiera. Alcuni di questi pezzi, figure di sesso sia maschile che femminile, possiedono una struttura del volto e del corpo molto semplificata. Ma troviamo anche oggetti più elaborati, come il Kouros di Pizzidimonte: si tratta di un giovane nudo, con gambe dritte e spalle arrotondate, torso lungo e piatto e braccia sottili. La testa è tondeggiante e volto appena accennato, capigliatura lunga e compatta, con riccioli sulla fronte e trecce ricadenti sul petto. In linea generale nell’impianto rivela tratti peculiari della prima metà del VI sec a. C., tuttavia osservando in particolare la tipologia del volto, sembra avere a che fare con modelli greco orientali della seconda metà dello stesso secolo, reinterpretati in Etruria settentrionale verso la fine del VI secolo.  Il pezzo in questione è stato da poco riconosciuto come quello ritrovato nel 1870 dal cappellano Sanesi nella zona di Pizzidimonte. Tuttavia il recupero più noto dell’area di Pizzidimonte risale al 1735, quando venne rinvenuto un deposito di materiali antichi tra i quali l’Offerente di Pizzidimonte, una statuetta votiva che fu presa in custodia dall’erudito pratese Giuseppe Bianchini, ma della quale si sarebbero misteriosamente perdute le tracce per anni, e ricomparsa all’improvviso nel 1899 tra le antichità etrusche del British Museum, dove è ancora conservata. Qui in mostra viene esposta una replica esatta realizzata con stampa 3D, per poter apprezzare la notevole qualità del pezzo, con i tratti decisi del volto, incorniciato dalla capigliatura a krobylos (pettinatura nella quale i capelli ricadenti sulle spalle vengono tirati in alto e fatti passare attraverso un nastro che circonda il capo), resa mediante sottili incisioni. Le linee del corpo armoniose, e il tipico mantello semicircolare etrusco, drappeggiato sulla spalla sinistra, riccamente decorato e mosso da pieghe che ne esaltano la figura, segnando le membra e mettendo in risalto la muscolatura.

Nella città di Gonfienti è rilevante anche la presenza di ceramiche da simposio e da mensa di produzione attica: numerose sono le ceramiche a figure rosse, databili a partire dalla prima metà del V secolo, con alcune kylikes tra le quali si distingue per qualità e complessità la kylix attribuibile al celebre pittore ateniese Douris, sulla quale sono raffigurate scene mitologiche con una decorazione estremamente elaborata in linea con il repertorio iconografico del maestro.

La notevole diffusione di bronzetti votivi in età arcaica e la presenza a Gonfienti di un’opera ceramografica di altissimo livello conferma la rilevanza del centro etrusco all’interno della rete commerciale ma anche culturale dell’Etruria settentrionale e la particolare attività di quest’area in questo periodo. L’esistenza di luoghi di culto e un nuovo approccio nei confronti del mondo del sacro appaiono collegati alla riorganizzazione del comprensorio, che vede in collina la strutturazione di Fiesole, in pianura la fondazione di Gonfienti e la centuriazione degli spazi circostanti fino al sestese e alle porte di Firenze, dove il guado dell’Arno si riconferma punto focale per i collegamenti, nell’ambito di un complesso e articolato sistema di interscambi e collegamenti con le rotte adriatiche e dell’Attica.

Questa mostra rappresenta un invito a compiere un insolito viaggio nel tempo e nello spazio all’interno della koiné che nell’età arcaica si era sviluppata, con un proprio linguaggio ben definito, in quest’area della Toscana, nel fertile territorio a nord del fiume Arno.

NOTA:

Le immagini sono state fornite dagli Organizzatori dell’evento, ad esclusivo utilizzo collegato alle esigenze di Ufficio Stampa dell’iniziativa medesima. La possibilità di utilizzare queste immagini è riservata unicamente al fine di corredare con le stesse servizi, articoli, segnalazioni inerenti la mostra cui si riferiscono. Qualunque diverso utilizzo è perseguibile ai sensi di Legge ad iniziativa di ogni avente diritto.

 

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