Agli Uffizi una mostra riscopre le meraviglie della scultura del Quattrocento in legno dipinto

L’atmosfera operosa e febbrile di una caratteristica bottega del Rinascimento, nutrita dal fertile humus delle arti minori, tra voci sommesse e garzoni che si affannano mescolando polveri e trasportando sacchi di gesso, è un’immagine suggestiva che possiamo ricreare abbandonando il rigido stereotipo accademico che professa la netta distinzione tra la pittura e la scultura. Il “caso” della scultura lignea dipinta evidenzia, attraverso una lettura non convenzionale della vita artistica della Firenze del Rinascimento, come la pittura sia intimamente legata alla scultura: la policromia fa parte della scultura fin dal mondo antico ed è addirittura un elemento fondamentale nel Medioevo e per tutto il ’500.

La mostra “Fece di scoltura di legname e colorì”, aperta al pubblico dal 22 marzo fino al 28 agosto 2016 presso la Galleria delle Statue e delle Pitture degli Uffizi, illustra la scultura in legno dipinto nel Quattrocento a Firenze, valorizzando l’attività di artefici e botteghe specializzati nella realizzazione di opere devozionali, tra le quali splendidi crocifissi, madonne e santi penetranti e carichi di pathos, talora recuperati dal buio delle cappelle, dov’erano chiusi da secoli, e restaurati, liberati dai pesanti strati delle ridipinture posteriori, fino a tre, quattro, o in alcuni casi otto strati aggiunti in epoche differenti, con pesanti interferenze sulla corretta lettura stilistica, finalmente mostrano le suggestive tracce delle cromie originali.

Nella Firenze dell’epoca lo stile era dettato da personaggi come Brunelleschi e Donatello, che erano amici e quasi coetanei: li separavano soli nove anni, essendo il primo nato nel 1377 e il secondo nel 1386. In mostra si può ammirare il Crocifisso in legno intagliato e dipinto realizzato da Donatello, conservato nella Basilica di Santa Croce (e questa esposizione è un’occasione rara e preziosa per osservarlo da vicino, in quanto di solito è inaccessibile, “nascosto” dietro le grate della cappella di san Ludovico). La fama di questo Crocifisso è legata ad un curioso aneddoto, riferito dal Vasari ne Le Vite, relativo al giovane Donatello, il quale, poco più che ventenne, dopo aver lavorato alla Porta del Paradiso sotto la direzione del suo maestro Lorenzo Ghiberti, aveva realizzato un Cristo in croce ligneo, di cui era a tal punto orgoglioso da decidere di mostrarlo all’amico Filippo Brunelleschi. Senonchè, pare che quest’ultimo mostrasse scarso entusiasmo per l’opera, paragonandola alla raffigurazione di un contadino, più che di un Cristo. Sfidato da Donatello a fare di meglio, Brunelleschi scolpì il Crocifisso ancora oggi conservato in Santa Maria Novella, dinanzi al quale Donatello avrebbe riconosciuto con ammirazione la grandezza del rivale: “a te è conceduto fare i Cristi, et a me i contadini”. Al di là del colorito racconto, appare chiara la profonda differenza espressiva, pur nell’ambito di un naturalismo che entrambi ricercavano: il Crocifisso di Donatello, dal volto molto tipizzato, le proporzioni irregolari, la cassa toracica bombata a dispetto del punto vita particolarmente sottile, è forse più realistico e “sanguigno”, di certo lontano oramai dalla leziosità gotica del maestro Ghiberti, ma distante anche dalla compostezza e dalla perfezione ideale del Crocifisso brunelleschiano, le cui proporzioni definite a livello matematico ne fecero, di fatto, la prima figura moderna (vale a dire non più gotica) della storia dell’arte italiana, e il capostipite dei Crocifissi fiorentini del Rinascimento fino a Michelangelo.

E’ ragionevole supporre che sia Donatello che Brunelleschi oltre a intagliare le sculture lignee, le dipingessero anche in prima persona. E questo permetteva loro di raggiungere, nell’effetto finale tra modellato e colore, quel naturalismo integrale che entrambi perseguivano, ciascuno a modo proprio. Tuttavia molto più spesso capitava che gli scultori del legno si rivolgessero ai pittori per “colorire” le loro opere, come nel caso di uno dei pittori più interessanti e richiesti all’epoca per tale scopo: Neri di Bicci, che aveva dipinto i busti intagliati di Desiderio da Settignano e i crocifissi di Benedetto da Maiano e le sculture di don Romualdo da Candeli. Un esempio della collaborazione (e della contaminazione) tra pittori e scultori è rappresentato dalla Crocifissione con la Vergine e i Santi di Neri di Bicci, nella quale la figura del crocifisso riecheggia nelle forme quello ligneo di don Romualdo da Candeli: le braccia distese sui bracci del patibolo, la testa appena chinata dopo aver esalato l’ultimo respiro, il busto scandito nei volumi con le costole ed i muscoli evidenti, il perizoma candido che giunge  a lambire le ginocchia. Il tutto annullando la drammaticità in una silente immobilità.

Un caso di notevole interesse è rappresentato dal Tondo Doni, quello che il Vasari definisce emblema della maniera moderna, ovvero l’unico sicuro dipinto su tavola di Michelangelo Buonarroti. Commissionato dal ricco borghese Agnolo Doni e raffigurante la Sacra Famiglia, abbagliante nel colore che amplifica le posture originali dei protagonisti, il dipinto curiosamente rappresenta anche uno dei più famosi episodi di collaborazione tra un Michelangelo in veste di pittore ed uno scultore proveniente dalla più alta tradizione dell’intaglio ligneo fiorentino: Francesco del Tasso, il quale eseguì per quest’opera la spettacolare cornice con grottesche, racemi e protomi umane, probabilmente su disegno dello stesso Buonarroti.

Attraverso una esposizione di così alto profilo, presentata dal Direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt e curata dallo storico dell’arte Alfredo Bellandi, gli Uffizi riconfermano l’impegno, che da sempre caratterizza questa storica e prestigiosa istituzione, nel valorizzare temi poco noti, ma di un soave lirismo ed una poeticità sublimi, offrendo ai visitatori ed agli studiosi l’opportunità di riappropriarsi di un tassello fondamentale della storia dell’arte. In questo caso con valore aggiunto: suggerire, oltre le circa cinquanta opere esposte nel circuito della mostra, un itinerario attraverso le chiese e i Musei fiorentini, dove sono conservati altri capolavori lignei non esposti in mostra, come il sopracitato Crocifisso di Brunelleschi, conservato nella Basilica di Santa Maria Novella, la splendida Maddalena Orante di Donatello, opera sorprendente per la sua drammatica intensità, mirabilmente ricollocata nell’ambito del nuovo Museo dell’Opera del Duomo di Firenze. Ed ancora il Crocifisso di Antonio del Pollaiolo nella Basilica di San Lorenzo, e quelli di Andrea del Verrocchio al Museo Nazionale del Bargello, e di Benedetto da Maiano per la Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Non ultimo, il Crocifisso delicatissimo, nudo, di una bellezza fragile e carezzevole, quasi adolescenziale, eseguito per la Chiesa di Santo Spirito dal giovane Michelangelo Buonarroti, poco dopo la morte di Lorenzo Il Magnifico.

 

NOTA:

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