Quando tornai a Roma dalla Gallia e dalla Spagna, sotto il consolato di Tiberio Nerone e Publio Quintilio, portate felicemente a termine le imprese in quelle province, il Senato decretò che si dovesse consacrare un’ara alla Pace augustea nel Campo Marzio e ordinò che in essa i magistrati, i sacerdoti e le vergini vestali celebrassero ogni anno un sacrificio. (Tramandato dallo stesso imperatore Augusto nelle Res Gestae).
La propaganda politica dell’imperatore Augusto (27 a.C.-14 d.C.) fu quella di celebrare la Pax, la dea Pace attraverso la costruzione di un altare: l’Ara Pacis Augustae. Sorgeva al centro di un’ampia area pianeggiante del Campo Marzio, libera da costruzioni, utilizzata per le esercitazioni militari e per le attività ginniche. Il Senato decretò la sua costruzione il 4 luglio del 13 a.C. e fu inaugurato il 30 gennaio del 9 a.C., nel giorno dell’anniversario della nascita di Livia, moglie dell’imperatore.
Il monumento è costituito da due parti significative: il recinto e la mensa. Il recinto, che poggia su di un basamento in marmo quasi del tutto ricostruito, è suddiviso in due registri decorativi separati da una decorazione a motivo a svastica: quello inferiore vegetale e quello superiore figurato con scene mitiche sui lati corti e una rappresentazione di un corteo sui lati lunghi. Il recinto cinge la mensa, altare costituito da un podio di quattro gradini sul quale si offrivano il vino e le spoglie animali, decorata in alto da festoni e bucrali intervallati dalle coppe rituali e in basso da una recinzione lignea, separati da una fila di palmette.

La decorazione del prospetto occidentale a partire da sinistra è costituita da pochi frammenti originali che rappresentano il mito della Fondazione di Roma: Romolo e Remo allattati dalla Lupa sotto il fico ruminale e sotto gli sguardi di Faustolo, il pastore padre adottivo dei gemelli e di Marte, in veste militare, che li generò con la vestale Rea Silvia.
La decorazione frontale di destra è il rilievo più integro dell’intera composizione: rappresenta il sacrificio di Enea in veste sacerdotale ai Penati, divinità protettrice della famiglia e dello Stato. Enea è nell’atto di fare un’offerta assistito da un giovane che tiene un vassoio con frutta, pani e una brocca. Un secondo assistente spinge una scrofa al sacrificio, chiaro riferimento alla leggenda su Enea che sognò il dio Tiberino il quale gli disse che sul suo cammino avrebbe trovato un scrofa bianca con trenta piccoli e che in quel luogo Ascanio, suo figlio, avrebbe fondato trent’anni più tardi una città e l’avrebbe chiamata Albalonga. Enea sacrificò l’animale a Giunone nella speranza di ottenere i favori.
La decorazione posteriore rappresenta la Vergine Genitrice, madre divina di Enea progenitrice della gens Iulia, che siede sulle rocce con un abito velato, una corona di fiori e frutta. Circondata dalle aure velificantes due donne che stringono un mantello gonfio dai venti sedute su un drago marino e un cigno dalle ali spiegate simboleggiando rispettivamente i venti benefici di mare e di terra, sostiene due putti di cui uno le porge un pomo.
La decorazione più lacunosa dei quattro rilievi è quella che rappresenta la dea Roma in veste di amazzone con il seno destro scoperto, tiene una corta spada, un elmo e un’asta. La figura è stata completata incidendo a graffito su malta in base a considerazioni iconografiche.




Infine sui lati lunghi un corteo che secondo un’ipotesi rappresenta la scena del reditus dell’imperatore Augusto, la cerimonia di accoglienza di ritorno dalle province occidentali dell’impero; secondo un’altra rappresenta la cerimonia di inauguratio dell’ara. Entrambi i rilievi vanno letti insieme in un’unica processione dove i personaggi si dirigono da sinistra verso destra; in uno dei due rilievi il gioco di sguardi e il volgersi delle teste convergono sull’imperatore che viene riconosciuto coronato di alloro e con il capo velato.
