I Misteri di Khoiak
L’iscrizione qui presentata, relativa ai misteri di Osiri celebrati tra il 12 e il 30 del mese di Khoiak (8-26
dicembre), occupa tre delle pareti del cortile del piccolo tempio di Osiri edificato nell’angolo N-E
(geografico, non rituale) della terrazza inferiore del tempio di Hathor a Dendera. Si compone di 159 colonne,
così suddivise: parete Ovest: coll. 1-60; parete Sud: coll. 61-127; parete Est: coll. 128-159.
Questa grande e celebre iscrizione è costituita in realtà da sette testi diversi, relativi a differenti questioni
riguardanti, però, un soggetto comune; sono stati redatti in maniera indipendente gli uni dagli altri, da autori
diversi, senza linea direttrice e definita in maniera assoluta. Ognuno porta un titolo particolare.
Probabilmente si è preso tra la ricca collezione degli scritti relativi alle feste osiriche del mese di Khoiak
quelli che si riteneva dessero un’idea d’insieme delle cerimonie e dei loro particolari riti e li si è assemblati,
senza preoccuparsi di coordinarli; da qui le discordanze, le ripetizioni, le diseguaglianze di stile.
Estremamente preziosa per il suo contenuto, l’iscrizione di Dendera non offre, tuttavia, che un’idea
frammentaria di ciò che dovevano essere originariamente i rituali dei misteri di Osiri durante il mese di
Khoiak.
Jaḫdun-Lim, re di Mari
Il regno di Jaḫdun-Lim ci è noto grazie a un’iscrizione ufficiale conservata su un grande disco di terra cotta e
alle tavolette degli archivi di Mari. Il suo regno, di una ventina di anni, ebbe una fine tragica: egli morì,
infatti, assassinato dai suoi servitori, per ragioni che non ci sono note. È tuttavia probabile che l’assassino
fosse stato commesso su istigazione del re assiro Šamši-Addu I. Infatti, alla morte di Jaḫdun-Lim il regno di
Mari passò sotto il controllo del monarca assiro, che vi installò il figlio Iasmaḫ-Addu come governatore.
Questo “interregno assiro” durò una ventina di anni. Alla morte di Šamši-Addu I, infatti, Zimri-Lim, figlio di
Jaḫdun-Lim, riuscì a riconquistare il “trono dei suoi padri” e a mantenersi al potere per più di trent’anni. È
sotto il suo regno che Mari conobbe una grande prosperità, alla quale mise brutalmente fine la conquista di
Hammurapi di Babilonia.
Il Papiro Chirurgico Edwin Smith
Come ormai tutti sanno, l’antico Egitto fu una delle grandi civiltà del bacino medio orientale. La sua organizzazione si manifestò in tutti gli aspetti sociali e religiosi raggiungendo un grado di cultura che ancora oggi ci lascia sorpresi. L’architettura sacra e profana, l’urbanistica, l’arte, la saggezza, l’etica sociale, la conoscenza approfondita e sistematica del mondo circostante (acque; terra; cielo), l’oculato sfruttamento delle risorse naturali e la strutturazione bellica di difesa e offesa, ne fanno un modello di cultura antica che dette dei punti alle civiltà mesopotamiche e ai Greci.
Nella vita quotidiana degli antichi Egiziani non poteva mancare il campo della medicina. La ricerca in questa branca della scienza coinvolge lo studio di molti aspetti della civiltà nilotica. Le indagini sulle fonti letterarie e le rappresentazioni artistiche, ma ancor di più l’esame dei resti umani e delle mummie, ha espanso il campo delle conoscenze antiche.
Avvicinarsi a Sparta
Un’aura potentemente suggestiva circonda da sempre l’antica Sparta.
È un luminoso mattino di settembre e dalla terrazza più occidentale dell’acropoli si vede il Taigeto schierare la sua barriera in un maestoso dispiegamento, e Sparta adagiata ai suoi piedi.
La città appare ancora rassegnata, in una grata accettazione del dominio delle cime che sancirono verso occidente i limiti del suo abitare.
Dalla parte opposta, a est, la delimitano le anse del suo fiume Eurota. Ci attrae la sua apertura: la più aperta città della Grecia, l’unica polis senza mura, «abitata per villaggi secondo l’antico modo della Grecia»: così Tucidide (I.10.2) ne fissò per sempre l’eikós, l’aspetto.
Il monumento funerario di Ameneminet
Egitto ramesside, seconda metà del XIII secolo a.C. circa. In un giorno a noi sconosciuto, uno dei più importanti e valorosi comandanti militari di Ramesse II, Ameneminet, lascia il mondo dei vivi e inizia il suo viaggio verso la vita ultraterrena. Come
ogni egizio dei tempi antichi, egli non voleva che il suo nome e le sue gesta fossero dimenticati dai posteri, e per questo motivo aveva affidato all’abilità di operai e artisti la realizzazione della sua tomba, del suo sarcofago e di altri monumenti funerari
commemorativi. Di tutto ciò, purtroppo, non molto si è preservato fino ai nostri giorni, ma il reperto più particolare che si è sottratto all’oblio di oltre trenta secoli può essere considerato artisticamente un unicum nel suo genere.
L’insegnamento di Onkhsheshonqy
Questo testo è conservato dal papiro demotico del British Museum n° 10508, della tarda età tolemaica. La redazione originaria risale però al V-IV secolo a.C.
Vi si distinguono due parti: la prima, che introduce le istruzioni di saggezza, ha forma narrativa e non manca di inquadramento storico. Le prime cinque pagine, infatti, ci raccontano la storia di Onkhsheshonqy, che fu imprigionato per aver udito di un complotto contro il Faraone e non averlo riferito.
La seconda parte, pp. 6-28, comprende le istruzioni, scritte in versi di diversa lunghezza, in uno stile assai ricercato, che impiega il parallelismo dei membri e un ampio vocabolario. Esse sono divise in capitoli, secondo le prime parole di ogni massima.