Lungo il percorso della mostra “Alessandro magno e l’Oriente” allestita presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli e visitabile fino al 28 agosto prossimo, è presente una statua in marmo di Zeus seduto in trono risalente al I sec. a.C., prestigioso prestito del Museo Archeologico dei Campi Flegrei nel castello di Baia. L’autore è ignoto ma le dimensioni piuttosto contenute, circa 74 cm di altezza, suggeriscono la sua presenza nel larario di una facoltosa famiglia greca o romana vissuta nel tardo periodo ellenistico probabilmente a Bacoli.

Zeus siede su un trono dallo schienale alto che presenta una ricca elaborazione. I piedi poggiano su di un basso sgabello e il mantello consente la vista del suo possente petto. Purtroppo il braccio destro – che doveva terminare con una saetta impugnata saldamente dalla mano – risulta mancante subito dopo la piega del gomito ed è stato pesantemente deteriorato dall’azione di organismi marini della famiglia dei mitilidi. Secondo l’iconografia classica il braccio sinistro doveva reggere uno scettro, ma la delicatezza di questa parte della statua non ha resistito alle sollecitazioni ricevute nel corso del tempo ed è andata perduta.

Su un lato del reperto appaiono evidenti incrostazioni marine, quasi assenti nell’altro lato. Questo suggerisce una lunga permanenza in mare della statua in calcare, appoggiata sul fianco che si è preservato e protetto grazie al parziale insabbiamento.
Ma oltre alla storia antica Zeus in trono ha vissuto anche un’avvincente storia moderna!
La statua appare al pubblico per la prima volta nel 1992 all’interno delle sale del J. P. Getty Museum di Los Angeles che l’acquistò, incautamente, dai coniugi e collezionisti inglesi Barbara e Lawrence Fleischman, ai quali fu venduta nel 1987 da un disinvolto mercante inglese che risponde al nome di Robin Symes.

Symes era titolare della Symes Ltd. ora in liquidazione, la più nota società legata al traffico illegale di antichità rubate e rivendute ai musei di tutto il mondo, talvolta ignari, talvolta superficiali nel verificare le documentazioni dei reperti e talvolta…chissà! È notizia di poche settimane fa il rientro in Italia di 750 reperti archeologici databili tra il VIII sec. a.C. e il Medioevo che comprendono gioielli, sarcofagi, vasi, statue, utensili ed altro ancora, tutti prevenienti dal “tesoro di Symes”, grazie ad un negoziato durato ben 17 anni.
Il suo nome è legato anche alla Venere di Morgantina, restituita all’Italia ancora una volta dal J. P. Getty Museum che ne era entrato in possesso dopo aver versato al solito Symes l’incredibile somma di 18 milioni di dollari. Nel 2011 la splendida statua di scuola fidiaca realizzata in calcare con tecnica pseudo-acrolitica in cui si ravviserebbe la dea Demetra, è tornata nel suo territorio d’origine e da allora è custodita presso il museo di Aidone.

Quindi il J. P. Getty Museum e Robin Symes sono ancora al centro di vicende poco chiare che prendono il via da scavi clandestini sul territorio italiano e proseguono con ricettatori senza scrupoli che muovono i reperti tra vari Paesi d’Europa, per arrivare infine nelle sale espositive dei grandi musei internazionali, visitati da milioni di persone ogni anno. Reperti che vengono tutt’oggi attenzionati dalle autorità competenti italiane che indagano senza soluzione di continuità per verificarne l’eventuale acquisto illecito e mettere in atto tutte le azioni necessarie per il rientro in Italia.

Nel caso della statua di Zeus in trono la svolta è avvenuta grazie ad un colpo di fortuna.
A Bacoli il 12 dicembre del 2012 viene ritrovato un frammento di marmo, frutto di scavi clandestini, che i finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Roma mettono presto in relazione con l’opera custodita presso il Getty. Dopo aver sovrapposto virtualmente il frammento su un’immagine del Zeus con esito decisamente positivo, il team di investigatori italiani ottiene una rogatoria internazionale e può realizzare la stessa prova dal vero, verificando senza ombra di dubbio che “il frammento marmoreo si rivelava perfettamente congruo con il resto della scultura e più precisamente con il bracciolo destro del trono” (dal comunicato stampa diffuso dalla Guardia di Finanza, reperito dal sito www.journalchc.com).

Di fronte all’evidenza Timothy Potts, direttore del museo californiano, non può e non vuole opporsi al rientro in Italia del reperto illegalmente sottratto, concretizzando un’azione che “rientra nella nostra politica di collaborazione con il ministero dei Beni Culturali italiano per la risoluzione di controversie e questioni relative alla provenienza e proprietà di oggetti facenti parte della nostra collezione, in modo da rispondere a nuovi quesiti che dovessero emergere, nel rispetto della buona fede e della missione culturale di entrambe le parti” (T. Potts).

Nel 2017 la statua arriva al Museo Archeologico di Napoli dove viene esposta in attesa di capirne l’esatta provenienza e nel 2018 – come promesso dal direttore ad interim del Parco Archeologico dei Campi Flegrei, Paolo Giulierini (direttore del MANN) e dall’allora ministro Franceschini – Zeus torna a casa e viene collocato definitivamente nel Museo Archeologico dei Campi Flegrei nel castello di Baia.
Ad attenderlo una mostra dal titolo “Il visibile, l’invisibile e il mare”, dove ad accogliere questo prezioso reperto vi erano altre 11 statue provenienti dai fondali antistanti l’area archeologica dei Campi Flegrei, Miseno, Baia e Cuma.

Il video ufficiale del Parco Archeologico dei Campi Flegrei che racconta dell’arrivo del Zeus in trono a Baia e l’inaugurazione della mostra del 2018:
https://www.youtube.com/watch?v=9_xE7uAr658
L’archeologia ci fa vedere chi siamo stati.
È importantissima per capire se davvero
ci siamo evoluti.