Oggi, 8 marzo, è la Giornata internazionale dei diritti della donna, ricorrenza che ha lo scopo di ricordare tutte le conquiste sociali, economiche e politiche raggiunte dalle donne nel corso del tempo, ma anche e soprattutto le discriminazioni e le violenze a cui le donne di tutto il mondo sono ancora oggi sottoposte.
Però, per quanto possa sembrare strano e anacronistico, nell’Antico Egitto la donna godeva di assoluto rispetto da parte dell’universo maschile e si trovava in una situazione di assoluta parità sociale, civile, politica e religiosa con l’uomo. Anzi, uomo e donna costituivano le due parti complementari per il mantenimento dell’equilibrio del Paese, erano come il sole e la luna, la luce e le tenebre, assolutamente necessari perché non solo l’Egitto, ma anche tutta la popolazione, vivessero in serenità e pace, senza cadere nel caos.
Le donne poi beneficiavano della stessa educazione degli uomini: potevano accedere alle scuole di palazzo e del tempio, e non solo le nobildonne, ma anche le ragazze di umile estrazione sociale molto dotate dal punto di vista intellettuale. Tale istruzione permetteva loro di ricoprire alcune cariche molto importanti e di entrare nell’entourage del faraone e della famiglia reale, come servitrici delle regine oppure nutrici dei figli del re – due delle cariche più prestigiose della carriera dei funzionari.
Anche dal punto di vista giuridico donne e uomini godevano degli stessi diritti: le donne potevano entrare nei tribunali e partecipare alle cause come testimoni o addirittura difendersi da sole e potevano dare la loro approvazione o negazione su alcune questioni. Inoltre, le donne nobili avevano titoli religiosi e civili, disponevano di proprietà che amministravano da sé e che potevano trasmettere ai loro eredi. Invece le donne di umile estrazione sociale potevano prendere parte alle trattative per la compravendita delle proprietà terriere, oltre a svolgere alcune professioni che da sempre sembrano essere prettamente maschili, come birraie, giardiniere o musiciste.
Basti pensare al titolo di “Divina Adoratrice di Amon”, titolo onorifico assegnato alle mogli, madri o sorelle dei sovrani che erano anche sacerdotesse di Amon. Tale carica risale alla XVIII dinastia e la prima donna a ricoprila fu Ahmose Nefertari, Grande Sposa Reale di Ahmose I. Successivamente, a partire dalla XXI dinastia, il titolo venne associato a quello di “Sposa di Amon” e veniva assegnato a una figlia del faraone che doveva rimanere vergine e poteva consacrare monumenti e celebrare rituali religiosi. Durante il Terzo Periodo Intermedio, ed in modo particolare sotto la XXV dinastia, al titolo fu associato un notevole potere politico di controllo su Tebe, città sacra a Amon, e sulla regione circostante. Durante questa fase, per sottolineare il potere legato al titolo, il nome delle Divine Spose di Amon venne inscritto nel cartiglio, simbolo di regalità.
Sempre a proposito di regalità, vanno ricordate alcune donne che regnarono su tutto l’Egitto come faraoni: Nefrusobek (1797-1793 a.C.) fu la prima vera regina egizia, era figlia di Amenemhat III e sorella di Amenemhat IV ed è stata una degli ultimi faraoni della XII dinastia. La grandissima Hatshepsut (1478-1458 a.C.) ottenne il titolo di faraone usurpando il figliastro Thutmosi III attraverso la creazione di una genealogia celeste secondo la quale sarebbe stata diretta discendente del dio Amon e per questo legittimata a regnare. Di lei rimane l’imponente e celeberrimo tempio funerario di Deir el-Bahari. Tra le altre, Nefertiti (1334-1322? a.C.), moglie di Akhenaton e co-reggente e successore del marito stesso.
Non resta che affermare che la società egizia era decisamente molto più all’avanguardia delle successive, in cui alla donna venivano riconosciuti solo i ruoli di madre e di signora della casa.
La contemporaneità dovrebbe imparare molto dall’Antico Egitto!