Il 5 novembre 2020 nell’oasi di Siwa, dopo due anni di lavori, si è svolta l’inaugurazione della Fortezza di Shali alla presenza del Ministro del Turismo e delle Antichità Kalhed el Anani, del Ministro della Cooperazione Internazionale Rania el Mashat, del Ministro dell’Ambiente Yasmine Fouad, di diciotto ambasciatori e della popolazione dell’oasi in festa tra la quale decine di bambine e giovani ragazze abbigliate con i coloratissimi costumi locali che cantavano. Questa straordinaria operazione di restauro e di recupero monumentale è stata resa possibile dall’intervento dell’Unione Europea con il supporto di EQI (Environmental Quality International Group), un importante studio privato specializzato nel restauro ambientale guidato da Mounir Neamatalla sotto la supervisione del Ministero del Turismo e delle Antichità.

Shali è una città fortificata dalle caratteristiche uniche al mondo, che risale agli inizi del XIII secolo, un’opera iniziata da un gruppo di quaranta persone che abitavano nel vicino villaggio di Aghurmi, proprio dove si trova il celebre Tempio dell’Oracolo consultato da Alessandro Magno nel 332 a.C. considerato troppo poco sicuro.

Il nuovo insediamento chiamato Shali, che nella lingua berbera di Siwa parlata ancora oggi significa «città», fu subito circondato da alte mura per proteggere la popolazione dalle incursioni dei temibili Tebu, popolazioni nomadi del deserto che spesso effettuavano incursioni e razzie nelle zone abitate. Ciò che rende Shali unica al mondo è il fatto che fu costruita utilizzando un materiale locale chiamato karshef, costituito da un miscuglio di sale, sabbia e argilla e legno di palma. La grande depressione dell’oasi di Siwa nell’Era Terziaria era, infatti, occupata da un grande oceano chiamato Tetide che, ritirandosi per diventare l’attuale Mediterraneo, lasciò immensi depositi di sale che diventarono materiale da costruzione reperibile sul posto e a bassissimo costo.


Il karshef si dimostrò un materiale oltre che economico e facile da maneggiare anche estremamente resistente e infatti la fortezza durò intatta per ben oltre sette secoli ospitando una popolazione di ceppo berbero suddivisa in dodici tribù governate da altrettanti sheikhs e caratterizzata da una lingua, usi, costumi e tradizioni che non avevano riscontri in nessuna delle altre oasi conservando gelosamente la sua indipendenza fino al 1820 quando venne conquistata militarmente dall’Egitto e annessa di forza al suo territorio. Tutto questo mondo tribale e impermeabile al mondo esterno che viveva racchiuso in un vero e proprio labirinto di piccole stradine la cui larghezza era stata calcolata in modo da permettere il passaggio solo di un asino con un carretto e le case consistevano in stanzucce buie e anguste dove le famiglie vivevano ammassate durò fino ai primi decenni del XX secolo, quando delle piogge torrenziali sciolsero letteralmente gran parte della fortezza che gli abitanti abbandonarono progressivamente portandosi via tutto quello che poteva essere riutilizzato, come gli architravi, le porte e tutto il materiale ligneo, accelerando il processo di degrado della città ridotta nei decenni successivi a un enorme, anche se sempre imponente, cumulo di rovine: solo la grande moschea di el Ati2, il più antico edificio del mondo costruito in karshef, si salvò perpetuando la sua funzione di centro religioso e continuando a essere frequentata.

Gli abitanti di Shali si stabilirono tutt’intorno all’antica fortezza dando vita alla città moderna, che oggi conta oltre 35.000 abitanti. L’antica fortezza rimaneva lì come uno scheletro privo di vita circondata dalle moderne case di mattoni sotto gli occhi di una popolazione che palesemente la ignorava.


Era necessario fare qualcosa per ridare una nuova vita alla fortezza abbandonata e per questo fu lanciata questa imponente operazione denominata «Revival della Fortezza di Shali» che aveva lo scopo non solo di restituire il suo aspetto originario e di rendere nuovamente percorribili le antiche e strette viuzze brulicanti di vita e di attività che un tempo la percorrevano, ma anche di renderla nuovamente fruibile con l’apertura di negozi di artigianato locale, di un consultorio, di un museo e perfino di una biblioteca, opera di Sergio Volpi un appassionato studioso italiano che ha deciso di stabilirsi nell’oasi dedicando la sua vita a questa impresa coadiuvato dal giovane egittologo siwano Jibril el Senussi. Questa biblioteca dedicata a Siwa e alla sua storia è la più importante oggi esistente e raccoglie 650 volumi cartacei e circa 400 in formato digitale che coprono un periodo che va dal XVIII secolo ai nostri giorni ed è destinata a diventare in un prossimo futuro un vero e proprio centro di studi egittologici.




In copertina: Le mura della Fortezza di Shali dopo il restauro: i punti bianchi indicano le parti ricostruite che volutamente sono state realizzate con un colore diverso dalle parti antiche originali (ph. D. Pellegrini)