Veduta suggestiva della piana di Giza, Ph. Paolo Bondielli

Uno studio condotto dal Centro Europeo di Ricerca e di Insegnamento delle Geoscienze dell’Ambiente (CEREGE), diretto da Hader Sheisha, ha confermato la presenza di un ramo del Nilo, il “ramo di Khufu”, nella piana di Giza, da cui oggi il fiume è lontano 7km.

Schema ricostruttivo della piana di Giza e del “ramo di Khufu”. Crediti: Proceedings of the National Academy of Sciences (2022)

Ciò ha fornito un ulteriore dato, insieme alle fonti epigrafiche e alle indagini archeologiche, riguardo il trasporto e lo spostamento dei ca. 2,3 milioni di blocchi in calcare per la costruzione delle piramidi di Cheope (Khufu per l’appunto in antico egiziano), Chefren (Khafre) e Micerino (Menkaure).

Evidenza in situ dei blocchi utilizzati per la costruzione delle piramidi. Ph. Paolo Bondielli

In passato, gli scavi archeologici effettuati nel 2018 dal Dipartimento di Archeologia, Studi Classici ed Egittologia della Liverpool University e dall’Istituto Francese per l’Archeologia Orientale al Cairo, di cui avevamo parlato in Come sollevavano e spostavano i pesantissimi blocchi di pietra gli antichi Egizi? La risposta è arrivata dalle cave di Hatnub, avevano portato alla luce il sistema di utilizzo delle rampe nelle cave di Hatnub, a 18km a sud-est di Amarna. La rampa rinvenuta era affiancata da due serie di scale che avevano dei fori per l’alloggiamento di pali, i quali servivano per sollevare i blocchi di pietra, permettendo il loro trasporto anche su tratti molto ripidi.

La rampa centrale fiancheggiata da due serie di scale per sollevare e trasportare i blocchi dalle cave di Hatnub. Ph. MoA

Questa scoperta, insieme alla sua datazione all’epoca del faraone Cheope, aveva permesso la comprensione del sistema delle rampe utilizzate per la costruzione delle piramidi.

Anche le fonti epigrafiche ci vengono in aiuto. Nel 2013 il rinvenimento di rotoli di papiro presso Wadi el-Jarf da parte del professor Pierre Tallet dell’Università parigina della Sorbona e del suo team, aveva non solo consegnato ulteriori dati riguardo le derrate alimentari, ma anche gettato nuova luce sul sistema di trasporto dei blocchi e sulla realizzazione dei canali utilizzati come vie fluviali.

Uno dei papiri di Wadi el-Jarf. Ph. Tiziana Giuliani

Rilevante è, tra gli altri, il cosiddetto diario dell’ispettore Merer (papp. Jarf A & B, integrati con i frammenti C, D ed E), dove vi sono passaggi legati alla costruzione della piramide di Cheope, di cui i lavori preparatori a Tura iniziano nel primo mese della stagione Akhet, ovvero giugno/luglio. Importantissima è anche la menzione di un nuovo toponimo R3-š Ḫwfw, “entrata al lago di Khufu”, ovvero un lago artificiale creato a ridosso della grande piramide (per approfondire Wadi el-Jarf: il porto, i papiri e la costruzione della Grande Piramide).

I recentissimi risultati del lavoro del CEREGE hanno permesso di ricostruire il paleoambiente relativo alla piana di Giza (qui l’articolo originale Nile waterscapes facilitated the construction of the Giza pyramids during the 3rd millennium BCE) analizzando i cambiamenti del livello delle acque fino a ca. 6000 anni prima dell’era comune. Ciò ha evidenziato oscillazioni nell’innalzamento delle acque tra 14.800 e 5.500 anni fa in corrispondenza del Periodo Umido Africano in cui gran parte del Sahara venne ricoperto da laghi, alberi e graminacee. Presenza di acqua, sebbene in misura minore, è registrata anche tra 2700 e 2200 a.C., periodo nel quale si inquadrano le costruzioni delle piramidi di Giza (ca. 2550/2500 a.C.). Accanto alla misurazione della variazione del livello dell’acqua, gli studiosi hanno raccolto e analizzato anche del polline riconducibile a 61 specie vegetative di tipo palustre.

Ricostruzione della piana di Giza con la presenza del “ramo di Khufu”. Crediti: Proceedings of the National Academy of Sciences (2022)

Il “ramo di Khufu”, che si è poi andato inaridendo fino a scomparire in epoca tolemaica, fu dunque fondamentale per la costruzione delle piramidi confermando un lavoro congiunto tra l’utilizzo delle rampe e l’utilizzo dei canali per il trasporto dei blocchi in calcare.

Una veduta dell’area di Giza. Ph. Paolo Bondielli
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Chiara Lombardi

Laureata in Archeologia Orientale presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” con una tesi magistrale in Archeologia Egiziana dal titolo “Iside nei testi funerari e nelle tombe del Nuovo Regno: iconografia e ruolo della dea tra la XVIII e la XIX dinastia” (2013), ha conseguito un master di primo livello in “Egittologia. Metodologie di ricerca e nuove tecnologie” presso la medesima Università (2010-2011). Durante il master ha sostenuto uno stage presso il Museo Egizio de Il Cairo per studiare i vasi canopi nel Nuovo Regno (2010). Ha partecipato a diversi scavi archeologici, tra i quali Pompei (scavi UniOr – Casa del Granduca Michele, progetto Pompeii Regio VI, 2010-2011) e Cuma (scavi UniOr – progetto Kyme III, 2007-2017). Inoltre, ha preso parte al progetto Research Ethiopic language project: “Per un nuovo lessico dei testi etiopici”, finanziato dall’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente e dal progetto PRIN 2005 “Catene di trasmissione linguistica e culturale nell’Oriente Cristiano e filologia critico testuale. Le problematiche dei testi etiopici: testi aksumiti, testi sull’età aksumita, testi agiografici di traduzione” (2006-2007). Ha collaborato ad un progetto educativo rivolto ai bambini della scuola primaria per far conoscere, attraverso sperimentazioni laboratoriali, gli usi e i costumi dell’antico Egitto e dell’antica Roma (2014-2015). È stata assistente di ricerca presso la Princeton University (New Jersey) per “The Princeton Ethiopian, Eritrean, and Egyptian Miracles of Mary digital humanities project (PEMM)” (2020-2021). Ricercatrice indipendente, attualmente è anche assistente di ricerca per il Professor Emeritus Malcolm D. Donalson (PhD ad honorem, Mellen University). Organizza e partecipa regolarmente a diverse attività di divulgazione, oltre a continuare a fare formazione. Collabora con la Dott.ssa Nunzia Laura Saldalamacchia al progetto Nymphè. Archeologia e gioielli, e con la rivista MediterraneoAntico, occupandosi in modo particolare di mitologia. Appassionatasi alla figura della dea Iside dopo uno studio su Benevento (Iside Grande di Magia e le Janare del Sannio. Ipotesi di una discendenza, Libreria Archeologica Archeologia Attiva, 2010), ha condotto diversi studi sulla dea, tra cui Il Grande inno ad Osiride nella stele di Amenmose (Louvre C 286) (Master di I livello in “Egittologia. Metodologie di ricerca e nuove tecnologie”, 2010); I culti egizi nel Golfo di Napoli (Gruppo Archeologico Napoletano, 2016); Dal Nilo al Tevere. Tre millenni di storia isiaca (Gruppo Archeologico Napoletano, 2018 – Biblioteca Comunale “Biagio Mercadante”, Sapri 2019); Morire nell’antico Egitto. “Che tu possa vivere per sempre come Ra vive per sempre” (MediterraneoAntico 2020); Il concepimento postumo di Horus. Un’ analisi (MediterraneoAntico 2021); Osiride e Antinoo. Una morte per annegamento (MediterraneoAntico 2021); Culti egiziani nel contesto della Campania antica (Djed Medu 2021); Nephthys, una dea sottostimata (MediterraneoAntico 2021). Sua è una pubblicazione una monografia sulla dea Iside (A history of the Goddess Isis, The Edwin Mellen Press, ISBN 1-4955-0890-0978-1-4955-0890-5) che delinea la sua figura dalle più antiche attestazioni nell’Antico Regno fino alla sua più recente menzione nel VII d.C. Lo studio approfondisce i diversi legami di Iside in quanto dea dell’Occidente e madre di Horus con alcune delle divinità femminili nonché nei cicli osiriaco e solare; la sua iconografia e le motivazioni che hanno portato ad una sempre crescente rappresentazione della dea sulle raffigurazioni parietali delle tombe. Un’intera sezione è dedicata all’onomastica di Iside provando a delineare insieme al significato del suo nome anche il compito originario nel mondo funerario e le conseguenti modifiche. L’appendice si sofferma su testi e oggetti funerari della XVIII dinastia dove è presente la dea.

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