In queste ultime settimane il sito di Saqqara non smette di far parlare di sé: infatti, i reperti rinvenuti in un laboratorio di imbalsamazione risalente alla XXVI dinastia (VII-VI secolo a.C.) stanno riscrivendo la storia della mummificazione.
Grazie allo studio pubblicato sulla rivista Nature (https://www.nature.com/articles/s41586-022-05663-4#Fig4 ) ed effettuato sotto la guida dell’Università Ludwig Maximilian di Monaco di Baviera e dell’Università di Tubinga, in collaborazione con il Centro nazionale di ricerca del Cairo e con la partecipazione dell’Università di Torino, sono stati individuati gli “ingredienti segreti” utilizzati nel processo di imbalsamazione dagli antichi.

Le conoscenze attuali, prima di questo studio, si basavano su antiche fonti scritte, ovvero i cosiddetti Papiri dell’Imbalsamazione, e sulle analisi dei residui organici di mummie egizie, a cui si aggiungono le indicazioni fornite da autori greci come Erodoto e Diodoro. Pur conoscendo in modo preciso e puntuale i nomi egizi delle sostanze che venivano utilizzate in questo delicato e lungo processo – richiedeva circa 70 giorni -, numerosi sono i dibattiti sulle sostanze a cui effettivamente corrispondono.

Dopo aver individuato un laboratorio di imbalsamazione pochi metri a sud della piramide di Unas (V dinastia), ricco di manufatti – vi sono, infatti, 121 bicchieri e ciotole incisi con testi ieratici e demotici che forniscono istruzioni sull’imbalsamazione e/o nomi di sostanze imbalsamatrici – il team di ricerca ha analizzato il contenuto di 31 vasi.

I vasi rinvenuti nel laboratorio di Saqqara, ph. Ministry of Tourism and Antiquities

Attraverso esami, quali la gascromatografia-spettrometria di massa, è emerso che gli antichi egizi utilizzavano cera d’api, olio di cedro, ginepro, bitume, resina di pistacchio, gomma damar e resina di elemi, miscelandoli insieme e riscaldando le sostanze resinose con grasso o olio. Un aspetto certamente interessante riguarda il fatto che per ogni parte del corpo doveva essere utilizzata una precisa miscela di sostanze, come testimoniano i residui presenti nei vasi e le etichette apposte sugli stessi.

Quindi, come riportato nella rivista Nature “Questi risultati suggeriscono che gli imbalsamatori utilizzassero le sostanze per le loro specifiche proprietà biochimiche, in quanto resina di Pistacia , elemi, dammar, oli, bitume e cera d’api hanno proprietà antibatteriche o antimicotiche e odorifere, e quindi aiutano a preservare i tessuti umani e ridurre gli odori sgradevoli. Il grasso animale, l’olio vegetale e la cera d’api erano anche ingredienti essenziali nelle ricette per il trattamento di diverse parti del corpo, così come negli unguenti usati per idratare la pelle. Infine, le proprietà idrofobiche e adesive di catrami, resine, bitume e cera d’api erano utili per sigillare i pori della pelle, escludere l’umidità e trattare gli involucri di lino. Anche il colore o l’aspetto di questi prodotti potevano essere desiderabili.”

Una volta ottenuti tali risultati, i ricercatori si sono resi conto che molti dei prodotti utilizzati erano importanti dal Mediterraneo, dall’Africa tropicale e persino dal Sud-est asiatico. Tali provenienze permettono quindi di fare un discorso più ampio: fino a dove commerciavano gli antichi egizi? Si può immaginare, certamente, una vasta rete commerciale che metteva in comunicazione tutto il mondo allora conosciuto.

Questo studio, di carattere chimico e biochimico, dimostra la connessione e la necessaria integrazione delle scienze con l’archeologia e l’antropologia per avere una maggiore comprensione delle dinamiche del mondo antico. Infatti, partendo da analisi su residui organici, si sono potuti ricostruire il network commerciale dell’Antico Egitto e le pratiche di imbalsamazione, gettando nuova luce sulla ritualità e l’organizzazione di tale processo.

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