L’atletica statua in granito rosa del faraone Amenhotep II (1401/1398 a.C.) è arrivata a far bella mostra di sé all’interno della prima sala del Museo Gregoriano Egizio del Vaticano appositamente allestita per l’occasione, così da mettere in risalto la sua effige fino al prossimo 30 giugno 2019.
Inginocchiato nell’atto di compiere un’offerta agli dei, con il suo nemes (il tipico copricapo reale di stoffa a righe) e l’ureo sulla fronte, il sovrano della XVIII dinastia impera nel nuovo allestimento che riporta alla mente il pilone, ovvero l’ingresso monumentale di ogni tempio egizio, simbolo dell’orizzonte: il faraone infatti, come il dio Sole, appare all’orizzonte e illumina il mondo creato, portando la vita rinnovata ogni mattina. Un capolavoro – come afferma il Curatore Alessia Amenta – raccontato nel suo valore simbolico più profondo al grande pubblico dei Musei Vaticani, è un’opera che celebra il principio fondante della cultura egizia, vale a dire la rivalsa della caducità dell’uomo attraverso la regalità legittimata.
E’ la prima volta questo capolavoro della statuaria monumentale dell’antico Egitto lascia la Galleria dei Re del Museo Egizio di Torino, e lo fa per inaugurare un progetto promosso dai Musei Vaticani in collaborazione con le più importati istituzioni museali nazionali ed internazionali. “Collezioni in dialogo” è il titolo di questo nuovo progetto espositivo presentato lo scorso 4 dicembre dal direttore dei Musei Vaticani, Barbara Jatta, il direttore del Museo Egizio, Christian Greco, e il curatore del Museo Gregoriano Egizio, Alessia Amenta, progetto che si prefigge di creare reciproche e preziose opportunità di dialogo, confronto, ricerca e crescita scientifica.
Il prestito di uno dei capolavori identitari dell’Egizio non è che un ulteriore passo verso il dialogo con i Musei Vaticani, in quanto sono già diversi anni che le due istituzioni museali hanno avviato una proficua collaborazione scientifica di ricerca e conservazione portando avanti il Vatican Coffin Project e il Progetto Sekhmet, due importanti progetti internazionali che hanno prodotto numerose pubblicazioni, conferenze, convegni e mostre.
“La collaborazione con i Musei Vaticani – ha dichiarato il direttore del Museo Egizio, Christian Greco – è stata avviata più di quattro anni fa, con il Vatican Coffin Project, nell’ambito della ricerca che il Museo conduce sui sarcofagi del III Periodo Intermedio, e testimoniato poi con l’esposizione del sarcofago restaurato di Butehamon in occasione dell’inaugurazione del nuovo allestimento nell’aprile del 2015. Il prestito della statua di Amenhotep II, uno degli esempi più importanti della statuaria regale del Nuovo Regno, è un’altra tappa del dialogo tra le nostre collezioni. Per il Museo Egizio, porre la ricerca e lo studio alla base della sua attività istituzionale, significa anche mettere al centro il dialogo tra le istituzioni museali.”
Per il direttore dei Musei Vaticani Barbara Jatta “ogni collezione museale è uno spazio di dialogo. Per questo abbiamo deciso di consacrare dei luoghi privilegiati per evidenziare la ricerca attraverso il ‘dialogo’ in tutte le sue accezioni. In questo primo appuntamento è il Museo Gregoriano Egizio, e la statua di Amenhotep II è il simbolo di una rinnovata ma consolidata politica di apertura culturale”.
“Collezioni in dialogo” celebra dunque lo spazio museale stesso come luogo ideale di dialogo. Con questo presupposto, i Musei Vaticani e il Museo Egizio hanno trovato un’intesa per rispondere alla missione che ogni istituzione culturale per propria natura è chiamata ad assolvere: raccontarsi e raccontare quel passato che rappresentano.
La statua di Amenhotep II fu trovata all’interno del complesso templare di Karnak, nel tempio del dio Amon, e fa parte della collezione Bernardino Drovetti, console generale di Francia, acquistata dai Savoia nel 1824. Sul trono d’Egitto per ben 26 anni, Amenhotep II, celebre per le sue prodezze atletiche e militari, fece sì che l’Egitto divenne la più importante potenza del Mediterraneo orientale. In un momento di pace duratura il sovrano poté concentrare le sue attenzioni sull’attività costruttiva intensificando la realizzazione dei templi. Sotto la sua guida l’Egitto visse un periodo di grande prosperità e vide l’apice del suo imperialismo; grazie anche ad un’eccellente amministrazione i rapporti e gli scambi commerciali con i paesi limitrofi furono molto intensi, così come la circolazione di persone, beni ed innovazioni. Anche l’arte, influenzata da questo cambiamento, ci parla di Amenhotep II. Con lui l’arte si classicizza e si esprime attraverso una sobria eleganza e armoniosa perfezione, celebrando le perfette proporzioni del corpo. Infatti, nella grande produzione statuaria giunta fino a noi si possono notare delle novità stilistiche rispetto ai canoni estetici ereditati dai thutmosidi. Sono variazioni quasi impercettibili ma che preannunciano un cambiamento nella ritrattistica reale. I volti sono più sereni ed accennano un sorriso, gli occhi sono grandi, l’espressione si addolcisce e viene sottolineata la sua corporatura atletica: le spalle sono possenti e i muscoli ben in evidenza esaltando in questo modo le sue abilità fisiche tanto celebrate e mostrando quella sua prestanza fisica di cui fece elemento centrale della sua propaganda. (per saperne di più su questo grande faraone leggi qui: https://mediterraneoantico.it/articoli/egitto-vicino-oriente/amenhotep-ii-scoperta-straordinaria/ )