Amenhotep II: una scoperta straordinaria

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Camera sepolcrale e sarcofago di Amenhotep II (ph. Siliotti)

Fino al 7 gennaio sarà in scena al Mudec di Milano un’interessante mostra: “EGITTO – La straordinaria scoperta del Faraone Amenofi II” che per la prima volta permette al pubblico di ammirare la parte più importante della tomba del faraone ricostruita a grandezza naturale e di vedere i documenti relativi alla sua scoperta opera del grande egittologo francese Victor Loret acquisiti nel 2002 dall’Università degli Studi di Milano. Queste righe che seguiranno non vogliono trattare della mostra sulla quale si è già tanto parlato, ma vogliono solo prendere spunto dai suoi contenuti per focalizzare l’attenzione su Amenhotep II, su cosa la sua tomba ci ha donato e cosa ha reso la sua scoperta così straordinaria visto che la vita di Amenophis II, eppur trattandosi dell’esistenza di un valoroso faraone, non è stata poi così eclatante da emergere nella millenaria storia dell’antico Egitto.

Innanzi tutto è curioso, come avrete notato, che vi siano diversi nomi per indicare lo stesso faraone: Amenhotep, Amenofi, Amenophis ed anche Amenothes. Ma per quale motivo? Stessa è la sorte capitata a tutti e quattro i sovrani della XVIII dinastia che portavano lo stesso appellativo di “Amon è in pace/Amon è soddisfatto” per il nome del Figlio di Ra nella titolatura reale. E tutto per un errore dei Greci che nel trascrivere nella forma greca il nome egiziano  jmn Htp[1] (si legge Amenhotep) hanno scritto erroneamente Amenophi, quando la corretta versione greca era Amenothes (versione, quest’ultima, utilizzata dallo stesso Maspero e da altri egittologi dell’Ottocento ed inizi Novecento), un nome quindi diverso sia nella scrittura che nel significato che ha anche reso celere il passo nella versione italianizzata di Amenofi.

IL SOVRANO

Amenofi/Amenhotep II fu il settimo faraone della XVIII dinastia. Dalla sua titolatura reale[2] possiamo già individuare quali fossero le sue idee politiche e religiose e supporre così quale potesse essere la sua indole[3], ma molte informazioni sulla sua giovinezza ci sono giunte

Amenhotep II rappresentato nella TT56, la tomba di Userhat (ph. A. Siliotti)

da una stele eretta in un tempio da lui voluto nei pressi della grande sfinge di Giza e moltissime altre informazioni ci sono giunte sia dalle documentazioni epigrafiche lasciate dagli alti funzionari del suo entourage e dai suoi contemporanei che dagli eventi storici registrati che ci permettono di delineare bene il personaggio e il periodo del suo regno.

Quando salì al trono l’Egitto stava vivendo uno dei periodi di maggior espansione territoriale e crescita. Figlio del grande Thutmosi III, il Napoleone d’Egitto, la sua figura per questo non godette mai di luce propria; vivere all’ombra

Amenofi II mentre scaglia frecce dal suo carro (ph. Università di Milano)

di un padre così importante gli tolse visibilità anche se tante furono le imprese che compì nei suoi ventisei anni di regno e fu l’unico faraone che si fece notare per la sua eccellenza nelle attività atletiche che spaziavano dal tiro con l’arco (sulle cui prestazioni ci sono molte leggende[4]) all’equitazione, dai virtuosismi ai remi ai primati nella corsa, imprese che resero portentoso anche il suo fisico tanto che la sua mummia sembra gigantesca se messa a confronto con le altre mummie reali (leggi qui sulle imprese sportive del faraone).

Amenhotep II (ph. C. Coppo per il Mudec)

Salito al trono diciottenne, dopo una breve coreggenza con il padre e “grazie” alla morte prematura del fratellastro Amenemete deceduto giovanissimo, Amenhotep II fin dall’infanzia fu incitato dal padre Thutmosi III a domare destrieri di razza e ad addestrarsi per divenire a sua volta un valoroso condottiero. Cresciuto nel Kap (una scuola riservata ai principi e ai figli dell’élite egizia) con il suo fratello di latte Kenamon (sepolto nella tomba TT93 dove il futuro sovrano è raffigurato sulle ginocchia di Amenemhotep, madre di Kenamon, che lo allatta) acquisì tutte le nozioni necessarie per governare; fu inoltre educato e seguito nella crescita da un alto dignitario di nome Min, che tra i tanti riconoscimenti si fregiava del titolo di sindaco di Tjeny (Thinis) e delle Oasi[5]. L’aver seguito l’educazione del giovane erede al trono conferì a Min anche il titolo di tutore del principe, proprio come lo vediamo fregiarsi nella sua tomba (la TT109) dove sono rappresentate due scene che mostrano Min con il giovane Amenhotep: nella prima Min è seduto con il principe sulle sue ginocchia mentre lo guarda in volto e nella seconda il principe prende lezioni di tiro con l’arco sotto l’attenta guida del suo tutore. I testi che commentano l’immagine fanno capire che il principe realmente trascorse la sua giovinezza nella corte del palazzo di Thinis, nella casa del suo tutore. Una volta salito al trono, Amenhotep II condusse in Siria e nella Palestina settentrionale tre campagne militari concentrate, tra l’altro, nei primi nove anni di regno: furono importanti situazioni in cui dimostrò di essere in grado di mantenere il controllo dei possedimenti egiziani (conquistati dal padre) in territorio straniero. Tutto questo è documentato in una stele eretta a Menfi ed ora custodita presso il Museo Egizio del Cairo, dove si evince che i sovrani Ittiti, Babilonesi e Mitanni riconobbero il dominio degli antichi Egizi su un’ampia area della Siria e della Palestina. Le sue operazioni difensive si svilupparono anche a Sud dei confini egizi, ripristinò infatti l’ordine anche a Napata, in Nubia. Le azioni militari condotte da Amenhotep II furono certamente un successo, visto che dalla seconda parte del suo regno la pace prosperò e si protrasse fino al regno di Akhenaton. In un momento di pace così duratura il sovrano poté concentrare le sue attenzioni sull’attività costruttiva intensificando la realizzazione dei templi, terminando quelli iniziati dal padre ed edificando pure un porto a Peru-Nefer (Avaris)[6] dove aveva anche una residenza. Sotto la sua guida l’Egitto vide l’apice del suo imperialismo; grazie anche ad un’eccellente amministrazione i rapporti e gli scambi commerciali con i paesi limitrofi furono molto intensi, così come la circolazione di persone, beni ed innovazioni.

Amenhotep II (ph. A. Siliotti)

Anche l’arte, influenzata da questo cambiamento, ci parla di lui. Infatti, nella grande produzione statuaria giunta fino a noi (parliamo di circa un centinaio di statue) si possono notare delle novità stilistiche rispetto ai canoni estetici ereditati dai thutmosidi. Sono variazioni quasi impercettibili ma che preannunciano un cambiamento nella ritrattistica reale. I volti sono più sereni ed accennano un sorriso, gli occhi sono grandi, l’espressione si addolcisce e viene sottolineata la sua corporatura atletica: le spalle sono possenti e i muscoli ben in evidenza esaltando in questo modo le sue abilità fisiche tanto celebrate sia nelle steli che testimoniate dai testi e mostrando quella sua prestanza fisica di cui fece elemento centrale della sua propaganda.

LA SCOPERTA DELLA TOMBA

La scoperta della KV35. Dettaglio dalla mostra al Mudec (ph. A. Siliotti)

Circa 3300 anni dopo la morte di Amenhotep II avvenuta probabilmente verso il 1395 a.C. (la data del suo decesso è controversa), il 9 marzo del 1898, l’archeologo francese Victor Loret scoprì nella Valle dei Re l’ingresso della sua tomba, nella quale riuscì a penetrare già la sera del giorno stesso della scoperta, precisamente alle ore 19 come poi preciserà nelle sue memorie. Esattamente come fece in precedenza per la tomba di Thutmosi III (la KV34), Loret documentò meticolosamente ogni ritrovamento nel suo diario di scavo: un foglio per ciascun giorno di lavoro che puntualmente Loret piegava in tre parti. Su un lato del foglio segnava la data mentre sull’altro lato disegnava di volta in volta la pianta della sezione della tomba in cui stava lavorando, riproducendo con degli schizzi tutto ciò che trovava. Tutto questo dettagliato lavoro fu soltanto riassunto nel rapporto preliminare presentato dallo stesso Loret all’Institut Égyptien del Cairo il 12 maggio del 1898. La descrizione precisa dell’eccezionale ritrovamento rimase inedita e sconosciuta per un centinaio di anni, fino a quando questi diari non furono individuati agli inizi del ‘900 negli Archivi dell’Istituto di Egittologia dell’Università degli Studi di Milano. Questi documenti (esposti per la prima volta nella mostra milanese) si rivelarono un vero e proprio tesoro che, correlato dalle foto che Loret allegava ai suoi appunti minuziosamente conservati in tre taccuini, completa le preziose informazioni che la tomba stessa ha fornito. Nell’ipogeo di Amenhotep II vennero ritrovati non solo oltre 2000 reperti che facevano parte del corredo funerario benché già ripetutamente depredato nell’antichità, ma anche un tesoro ben più importante: la mummia del faraone che ancora riposava nel “suo” sarcofago (già di per se una scoperta eclatante)[7] e ben 15 corpi reali, 9 dei quali erano stati deposti in un vero e proprio nascondiglio.

Ricostruzione della KV35 al Mudec (ph. A. Siliotti)

La tomba di Amenhotep II (KV35) è una delle più belle realizzazioni dell’architettura funeraria e dell’arte decorativa della XVIII dinastia e la ricostruzione a grandezza naturale della stanza a sei pilastri e della camera sepolcrale, ossia della parte più importante dell’ipogeo, è il principale punto di attenzione della mostra milanese che permette al visitatore di avere un’idea della maestosità e della raffinatezza di questa sepoltura. Situata sul versante occidentale della Valle dei Re, ai piedi di una falesia e ad un centinaio di metri più ad ovest della tomba di Tutankhamon, la KV35 penetra le rocce della montagna tebana per 92 metri; malgrado la sua posizione piuttosto nascosta ed appartata era stata selvaggiamente spogliata a più riprese già durante l’antichità. La struttura della tomba è complessa, le sue dimensioni imponenti e numerosi sono i punti in comune, sia sul piano della struttura che su quello del programma decorativo, con quella di Thutmosi III (KV34), scoperta appena un mese prima sempre da Loret. Una volta varcato l’ingresso dell’ipogeo, Loret trovò di fronte a sé una doppia successione di scale e corridoi che conducevano ad un profondo pozzo, aldilà del quale trovò una stanza a due pilastri il cui asse maggiore era disposto a 90° rispetto alla parte iniziale. Non si sa esattamente a cosa servissero questi pozzi presenti anche in molte altre tombe, ma è probabile che avessero una duplice funzione, pratica e rituale: servivano a raccogliere l’acqua delle piogge, che sarebbero potute penetrare fino alla sala del sarcofago, ed erano inoltre l’evocazione del mondo sotterraneo e della tomba di Osiri. In un annesso al pozzo Loret trovò i due crani e i resti di ossa la cui attribuzione è da mettere in relazione alla destinazione originale della tomba, quindi appartenenti a Merytra-Hatshepsut, madre di Amenhotep II e moglie di Thutmose III, e a Ubensenu, figlio di Amenhotep II.

Una delle barche ritrovate all’interno della tomba di Amenhotep II (ph. A. Siliotti)

Giunto nell’anticamera, una sala a due pilastri completamente priva di decorazioni, Loret trovò i modelli di alcune barche di legno (in origine dovevano essere una ventina) che sarebbero dovute servire al faraone nel suo viaggio nel mondo dell’Aldilà e, addossato alla parete di fondo, adagiato sopra una barca, l’egittologo scoprì un corpo seminudo con il petto squarciato e con un grande foro sul cranio. La mummia posta all’interno della barca sarebbe appartenuta al faraone Sethnakht, il cui sarcofago fu invece successivamente trovato nella stanza denominata da Loret “n.4”[8].

Ricostruzione della KV35 al Mudec con vista della scalinata di accesso alla sala a sei pilastri (ph. A. Siliotti)

Dalla sala a due pilastri una terza scala e un terzo corridoio portarono Loret a una grande sala rettangolare sostenuta da sei pilastri il cui soffitto di colore blu punteggiato di stelle a cinque punte di colore giallo riproduceva la volta celeste. La sala a sei pilastri continuava nella camera sepolcrale dove si trovava un sarcofago in quarzite gialla dipinta in rosso ad imitazione del granito che, al momento della scoperta, conteneva la mummia del faraone ancora intatta e con al collo una ghirlanda di fiori di mimosa. Il sarcofago era decorato esattamente come quello di Thutmosi III con raffigurazioni delle dee Iside e Nefti alle estremità e di Anubi con i Quattro Figli di Horo sui due lati, mentre sul coperchio vi era una rappresentazione della dea del cielo Nut.

Anche il programma decorativo delle pitture parietali era analogo, sia sul piano stilistico che

Sarcofago di Amenhotep II (ph. A. Siliotti)

su quello dei contenuti, alla tomba di Thutmosi III, anche se qui venne definitivamente abbandonata la forma ovale a cartiglio della camera sepolcrale che aveva caratterizzato le tombe dei primi tre Thutmose. Le pareti della stanza a sei pilastri erano decorate con i testi completi del Libro dell’Amduat (ossia il libro di “Ciò che c’è nell’Aldilà”) e con le illustrazioni corrispondenti, come se si trattasse di un grande papiro murale evocato anche dal colore beige del fondo sul quale si stagliavano i disegni e i testi dipinti in rosso e in nero. Sui pilastri, invece, era raffigurato il faraone al cospetto di tre divinità: Hathor (raffigurata per ben dieci volte), Osiri e Anubi. La sala a sei pilastri e la camera sepolcrale erano entrambe dotate di due annessi laterali, disposti lungo i lati nord-ovest e sud-est.

KV35, rappresentazione della III ora nel libro dell’Amduat (ph. A. Siliotti)
Dettaglio di una delle pareti della KV35, la tomba di Amenhotep II (ph. A. Siliotti)
Assonometria KV35 (©Geodia)
Schizzo di Loret della stanza 1 Loret e la numerazione delle 4 stanze (ph. A. Siliotti al Mudec)

Nella stanza n.1, la prima stanza ispezionata che si trovava subito a destra accedendo alla camera funeraria a sei pilastri, Loret si trovò di fronte a “uno spettacolo incredibile che ci colpì immediatamente”[9]: adagiate sul pavimento, fianco a fianco, vi erano tre mummie prive di sarcofagi: due donne, che successivamente furono denominate Young Lady

(KV35 YL) e Elder Lady (KV35 EL), e un ragazzo. I corpi avevano il torace aperto e un foro sul cranio analogamente al corpo trovato sulla barca. La salma della donna più anziana fu attribuita alla regina Ty, (conosciuta anche con il nome di Tiye era la sposa di Amenhotep III, madre di Amenhotep IV/Akhenaton e nonna di Tutankhamon), mentre l’identità della più giovane (25/35 anni) e quella del ragazzo rimangono ancora sconosciute, anche se la Young Lady è stata identificata dopo gli accertamenti eseguiti sul DNA come figlia di Amenhotep III e Ty, quindi sorella e sposa di Amenhotep IV/Akhenaton, e possibile madre di Tutankhamon.

Le mummie della stanza 1 (ph. A. Siliotti al Mudec)

Loret proseguì tentando la perlustrazione della seconda stanza sulla parete di destra, ma questa era occlusa da un muro di blocchi di pietra “cementati” con calce.

Schizzo di Loret sulla disposizione delle mummie della stanza 4 (ph. A. Siliotti al Mudec)

Attraverso una fenditura presente sull’angolo in alto a destra del muretto l’egittologo sbirciò al suo interno e scrisse: “… La stanza è abbastanza grande, circa tre metri per quattro metri, e la candela schiarisce a malapena. Tuttavia, posso vedere nove bare stese sul pavimento, sei sul fondo, che occupano l’intera parete, e tre davanti, lasciando un piccolo spazio libero sulla destra[10]. Il 24 marzo, dopo aver esaminato le stanze n.2 e 3 (poste sulla parete opposta alla stanza n.1), Loret si dedicò alla stanza che custodiva le nove mummie demolendo il muro che ne impediva l’accesso del quale catalogò e misurò ogni singolo blocco scoprendo un’iscrizione che riferiva di un’ispezione compiuta all’interno della tomba nell’anno 13 del regno di un sovrano il cui nome, però, era mancante.

Presentazione al Mudec della disposizione delle mummie reali nella stanza n.4 come da appunti e foto di Loret (ph. A. Siliotti)

Dopo aver rimosso le quattro assise superiori di pietra Loret entrò e poté esaminare i nove sarcofagi, alcuni provvisti di coperchi e altri no. L’egittologo capì immediatamente di trovarsi di fronte ad un nuovo nascondiglio reale molto simile a quello di Deir el-Bahari, dove, all’epoca del Gran Sacerdote Pinegiem II (XXI Dinastia, 990-969 a.C.), furono nascoste più di 50 mummie di sovrani, regine e dignitari che lì furono traslate per proteggerle dai ladri di tombe. Loret documentò e disegnò ciascun sarcofago, la sua posizione, le iscrizioni presenti sia sui sarcofagi che sulle bende delle mummie e prese nota di tutti gli oggetti sparsi nella stanza; tra questi c’erano due corone di mimose, una delle tante varietà di piante e fiori trovate all’interno dei sarcofagi durante la rimozione dei corpi che appartenevano ad alcuni tra i più celebri faraoni della XVIII, XIX e XX dinastia. Furono identificati: Thutmose IV, Amenhotep III (all’interno del sarcofago di Ramesse III con coperchio di Seti II), Seti II, Merenptah (all’interno del sarcofago di Sethnakht), Siptah (sarcofago non suo, ma il nome del titolare è illeggibile), Ramesse V, Ramesse VI (sarcofago di Ra, “primo profeta di Menkheperra”), Ramesse IV (sarcofago di Ahaa, “sacerdote-puro”) e vi era infine il corpo di una donna di identità sconosciuta, forse la regina Tauseret deposta sul coperchio del sarcofago di Sethnakht. La tomba era stata quindi riutilizzata intorno all’anno 1000 a.C. per donare alle salme un luogo più sicuro per il loro eterno riposo e proteggerle così, come era stato fatto per i corpi di Deir el-Bahari, dalla furia vandalica dei ladri di tombe che probabilmente avevano già trafugato le loro dimore per l’eternità. Anche la tomba di Amenhotep II venne comunque più volte profanata già nei tempi antichi: una prima volta nell’anno 8 del regno di Ramesse VI; una seconda come riportato nelle iscrizioni presenti nel muretto che occludeva la stanza 4; seguirono altre intrusioni che portarono al danneggiamento delle mummie della stanza 1 e di quella dello stesso faraone. Nella tomba vi erano anche le tracce di un’ultima ispezione avvenuta durante la XXI dinastia all’epoca del Gran Sacerdote Pinegiem I (1070-1032 a.C.) prima della sua chiusura definitiva: ovunque vi erano sparsi in modo caotico, oggetti frantumati e altri rimasti miracolosamente intatti, alcuni di essi erano stati riordinati sommariamente mentre le mummie furono risistemate in modo frettoloso e approssimativo talvolta in sarcofagi che appartenevano ad altri defunti come avvenne perfino per quella di Amenhotep II.

Una delle pagine del giornale di scavo relative alla stanza n.4 (ph. Università di Milano)
Victor Loret (ph. Università di Milano)

Una volta terminato lo scavo Loret preparò ed imballò tutti i reperti scoperti nella KV35 per inviarli al Cairo, ma contrariamente ad ogni aspettativa, si vide arrivare l’ordine firmato dal ministro Fakhry Pacha e da Sir William Garstin del Ministero dei Lavori Pubblici, istituzione a capo del Servizio delle Antichità, di lasciare le mummie dove erano. Plausibile fu la reazione di Loret a questo ordine insensato e l’accrescere della sua paura per l’incolumità della tomba. Anche la stampa dell’epoca parlò di questa decisione sconcertante e del rischio concreto a cui veniva sottoposta la sepoltura. Due anni dopo Loret si dimise dalla carica di direttore del Servizio delle Antichità e Gaston Masperò, nel gennaio del 1900, prese il suo posto ottenendo che le nove mummie reali della stanza n.4 fossero trasferite al Cairo, mentre quelle di Amenhotep II, la mummia che si trovava nella barca e le tre mummie della stanza n.1 sarebbero dovute rimanere al loro posto, nella loro tomba, per una forma di rispetto, mentre le altre potevano essere spostate in quanto estranee alla sepoltura. Le nove mummie partirono quindi per il Cairo con una solenne cerimonia come testimoniano le foto trovate negli archivi di Loret, mentre Howard Carter (allora giovane ispettore della Valle dei Re) sistemava la tomba cercando di ridisporre le mummie rimaste in situ come erano state trovate: quindi la mummia rinvenuta all’interno della barca fu riposta accanto al primo pilastro dell’anticamera, le tre mummie tornarono nella stanza 1 (anche se vi furono adagiate con ordine inverso) e Amenhotep II ritrovò il suo eterno riposo nel “suo” sarcofago, ma sollevato, così che i turisti potessero ammirarlo agevolmente. Purtroppo, però, i timori di Loret si dimostrarono più che fondati: nel novembre del 1901 la tomba venne di nuovo profanata dai ladri e sparirono sia la barca nella quale era conservato il corpo probabilmente appartenuto a Sethnakht, la cui mummia venne fatta a pezzi, sia lo splendido arco tanto amato dal sovrano che proprio per il rapporto che lo legava ad Amenhotep II si trovava a fianco della sua mummia la quale venne anch’essa danneggiata. La barca fu successivamente ritrovata ed è ora esposta al Museo del Cairo. Nel 1931 anche la mummia di Amenhotep II venne traslata al Cairo e ricongiunta con le altre mummie reali, mentre le tre mummie della stanza n. 1 rimasero ancora nella tomba fino al 2010.

 

di Tiziana Giuliani e Alberto Siliotti

 

Un ringraziamento particolare al Mudec e agli organizzatori della mostra “EGITTO – La straordinaria scoperta del Faraone Amenofi II” che ci hanno permesso di fotografare e pubblicare le immagini qui allegate.

 

Note:

[1] Il quinto nome della titolatura per Amenhotep II, quella di Figlio di Ra, èjmn Htp nTr HqA jwnw (Amon è in pace. Divino è il sovrano di Eliopoli).

[2] La titolatura reale di Amenhotep II:

Nome di Horo: Toro possente dalla grande forza; Le due Signore: Ricco e potente che siede sul trono di Tebe; Horo d’oro: Che sottomette con la forza tutti i paesi; Colui che regna sul giunco e sull’ape: Grandi sono le apparizioni di Ra; Figlio di Ra: Amon è in pace. Divino è il sovrano di Eliopoli.

[3] La titolatura scelta da un sovrano al momento della sua incoronazione è una sorta di “propaganda elettorale” con la quale il faraone comunica le sue intenzioni.

[4] Era voce diffusa che non ci fosse alcuno pari a lui nel tiro con l’arco e che il suo arco non potesse essere piegato da nessuno, proprio come più tardi leggeremo nell’Odissea per l’arco di Ulisse che non poteva essere teso da nessun’altro se non dal suo proprietario. Sembra che Omero si sia ispirato più volte alle prodi gesta di Amenhotep II, infatti, in un altro passo dell’Odissea, Ulisse emula il sovrano della XVIII dinastia in una delle leggendarie azioni in cui veniva spesso rappresentato il faraone, il quale, sul suo carro in corsa, era solito scagliare frecce attraverso delle lame forate di dodici scuri piantate nel terreno.

[5] Portatore dei sigilli del Re dell’Alto e Basso Egitto, supervisore dei profeti di Osiride ed Onuris, supervisore dell’esercito della riva occidentale, amministratore capo del Signore delle Due Terre, sorvegliante del sud e scriba.

[6] Peru-Nefer era il porto di Avaris, l’ex capitale degli Hiksos costruita sul delta, che più tardi, nella XIX dinastia, divenne il centro amministrativo voluto da Ramesse II con il nome di Pi-Ramesse ed è oggi localizzato nell’area di Tell el-Dab’a. Peru-Nefer era uno dei principali approdi del Mediterraneo e porta di accesso, soprattutto mercantile, all’Egitto.

[7] Era la prima volta nella storia dell’egittologia che veniva trovata una salma reale ancora nel suo sarcofago all’interno della sua tomba; qualche anno più tardi accadrà di nuovo nella KV62 con il ritrovamento del corpo di Tutankhamon.

[8] Questa prima numerazione, data da Loret in base all’ordine in cui ispezionò le stanze, venne successivamente cambiata più volte. Già nel suo rapporto preliminare presentato all’Istitut Égyptien del Cairo la numerazione non corrisponde a quella riportata su taccuino di scavo.

[9] Da Loret in Bulletin de l’Institut d’Egypte – 1898

[10] Da Loret in Bulletin de l’Institut d’Egypte – 1898

Amenhotep II e Hathor (ph. A. Siliotti)

Per la mostra leggi qui 

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