Vero e proprio sport nazionale, come lo è oggi per noi il calcio, non c’era un antico Egizio che non fosse appassionato di questa arte, faceva così parte della loro cultura e del loro quotidiano da essere rappresentata ovunque sin dalle prime dinastie. La lotta è una delle discipline più antiche al mondo e, tra quelle da combattimento, è quella che senz’altro affonda le sue radici più indietro nel tempo. Nata come espressione naturale di difesa e per diletto, si è sviluppata nei secoli favorendone l’aspetto educativo, formativo, militare e sportivo, nonché la diffusione ad ogni livello della società egizia. Fonti antiche ci narrano dell’esistenza di tre tipi di sport da combattimento praticati lungo le sponde del Nilo: la lotta, la lotta con i bastoni e la boxe; ma tra queste primeggiava su tutti la lotta, o almeno ne abbiamo una più diffusa e migliore documentazione visiva. Le prime testimonianze compaiono nell’Antico Regno ed arrivano dalla necropoli di Saqqara, precisamente dalla sepoltura di Ptah-Hotep, visir, nonché “filosofo” (celebri sono le sue massime) e “ispettore dei sacerdoti delle piramidi di Isesi, Menkauhor e Niuserra” durante la V dinastia. Stiamo parlando quindi del 2400 a.C. circa, oltre 1500 anni prima dell’istituzione dei giochi olimpici in Grecia. Nella mastaba D64 intestata a Ptah-Hotep e Akhethotep, nella parete est della camera dedicata al “filosofo”, nel primo registro in alto a destra sono ben visibili sei coppie di giovani lottatori, uno dei quali porta il nome di Akhethotep, quindi potrebbe trattarsi proprio del figlio dello stesso Ptah-Hotep che si confronta con un suo coetaneo.

Sono sei istantanee di un incontro di lotta di un realismo eccezionale, dove vediamo rappresentate scena di lotta corpo a corpo con i contendenti che si confrontano completamente nudi (proprio come vedremo, secoli più avanti, combattere i lottatori nei famosi giochi sacri ellenici). La modernità delle prese lascia esterrefatti e nel complesso le immagini sono di estrema importanza in quanto, bellissime a livello iconografico, sono soprattutto indicative dell’importanza che la pratica sportiva aveva già nella vita quotidiana anche negli alti ceti della società egizia.
Il maggior numero di scene di lotta, però, provengono sicuramente dal Medio Regno. Straordinarie sono le rappresentazioni presenti nelle tombe dei nomarchi e degli alti dignitari del nomo dell’Orice, a Beni Hassan, la necropoli dell’antica Menat-Khufu, capoluogo del sedicesimo distretto dell’Alto Egitto. Sono trentanove le tombe scavate lungo la falesia rocciosa durante l’XI e la XII dinastia nella riva destra del Nilo, le più importanti sono quelle di Kheti, Baqet III, Khnumhotep e Amenemhet, che presentano bassorilievi di squisita fattura raffiguranti, tra le altre, scene di guerra, lotta, giochi e sollevamento pesi, nonché rarissime raffigurazioni di visi visti frontalmente piuttosto che di profilo come la tradizione suole tramandarci. Solo nella tomba di Baqet III, ufficiale e nomarca del governatorato della moderna Minya durante il regno di Amenemhat I (sovrano dell’XI dinastia, 1994-1964 a.C. circa), sono presenti circa 400 fotogrammi con scene di lotta praticata con scopo ginnico e di addestramento militare, dove le tecniche sono molto simili a quelle dell’odierna lotta libera e del submission grappling.

Le scene, dipinte nella parete orientale della suddetta tomba, la BH15, permettono di seguire senza problemi l’azione dei lottatori che si fronteggiano ancora una volta nudi, indossano infatti soltanto una semplice cintura. La sequenza inizia proprio con la sistemazione di questo accessorio, anche oggi parte indispensabile dell’equipaggiamento riservato a questa disciplina, e prosegue con delle immagini che si sviluppano in una serie particolareggiata di movenze del corpo umano offrendo una descrizione analitica del gesto motorio. Vengono illustrati i movimenti esplorativi e i primi tentativi di presa, ai quali seguono rotazioni, cadute, prese e atterramenti; tutto è un dinamico alternarsi di situazioni, le scene si susseguono rapidamente l’una dopo l’altra, come una sorta di ripresa cinematografica di un incontro di lotta. Le immagini, in discreto stato di conservazione, ci forniscono un campionario completo di movenze e gesti compiuti dai lottatori, nonché una sequenza di movimenti che potrebbe essere suddivisa in cinque singole fasi. Sono documentazioni di un inestimabile valore, costituiscono delle preziose informazioni su quello che era quest’arte durante quel periodo storico e allo stesso tempo sono la testimonianza della grande popolarità di cui godeva questa attività a livelli agonistici anche in zone non centrali dell’antico Egitto.
Durante il Nuovo Regno l’usanza di combattere nudi fu abbandonata; fatta eccezione per alcune raffigurazioni incise su dei frammenti, i lottatori erano sempre vestiti con una gonna corta simile a quella che indossavano i soldati. Un’altra novità fu l’introduzione dei soldati nubiani come gruppo etnico associato alla lotta: i soldati nubiani erano davvero idonei alla pratica di questo sport in quanto il loro fisico era effettivamente predisposto all’arte del combattimento. Dipinti mostrano lottatori egizi e nubiani confrontarsi fra di loro e da uno studio condotto sulle tecniche rappresentate sono emerse similitudini con le manovre effettuate dagli odierni lottatori nuba. La prima raffigurazione di lottatori nubiani arriva dalla tomba di Tyanen, un ufficiale dell’esercito di Amenhotep III, dove è interessante notare l’immagine di un piccolo gruppo di soldati in marcia formato da un egiziano e quattro nubiani (riconoscibili dai fisici) e dove l’ultimo di questi tiene in mano uno stendardo con impressi due lottatori. Ciò rende evidente la presenza di una squadra di lottatori all’interno della truppa.

Nel Nuovo Regno gli incontri di lotta facevano parte del programma di molteplici cerimonie, tanto nelle occasioni di festa quanto, probabilmente, per onorare un defunto. Proprio dal periodo amarniano, arriva la rappresentazione di un incontro di lotta avvenuto alla presenza di Akhenaton in occasione della consegna di un tributo da parte della Nubia. Il racconto è scolpito in quattro scene nella tomba di Meryre, attendente di palazzo di Nefertiti.
Nonostante il numero elevato di scene e la varietà delle stesse, le informazioni sulle regole che disciplinavano questo sport purtroppo non ci sono giunte, quindi il regolamento continua a sfuggirci; le carenze in merito sono tali che non ci è ben chiaro nemmeno quali fossero le regole per la determinazione della vittoria e della sconfitta, ma, considerando le analogie presenti nelle movenze e nelle tecniche, si suppone che le anche le regole potessero essere più o meno simili a quelle della lotta libera moderna. Gli esempi riportati, altri frammenti calcarei, disegni abbozzati, fregi, le immagini estremamente realistiche dei due lottatori che si scontrano a Medinet Habu (il tempio dei milioni di anni di Ramesse III) e tante altre rappresentazioni ancora, ci parlano di questa antica arte di “fare alle braccia”; sono la conferma della popolarità di cui godette questo sport e di come fosse esercitato ad altissimi livelli per tutto l’arco temporale della storia dell’antico Egitto. La modernità delle prese e delle tecniche pervenuteci, nonché lo spirito combattivo, sono un meraviglioso esempio di quanto poco sia mutato il concetto di lotta corpo a corpo nel tempo; attraversando un percorso che ha visto trascorrere millenni e susseguirsi civiltà, non solo non hanno subito sostanziali modifiche, ma ci hanno lasciato un messaggio chiaro di quanto l’attività agonistica non occupasse una posizione accessoria nella vita di tutti i giorni già lungo le sponde del Nilo.