Ibico fu un poeta greco nato nell’antica città di Rhegion intorno al VI secolo a.C. Di famiglia aristocratica, figlio di Fitio, si sarebbe formato alla scuola del famoso poeta siciliano Stesicoro. Questo dato si può accettare a patto di non intenderlo necessariamente nel senso di un rapporto personale tra i due, che non è accertato storicamente, ma in quello dell’impiego di una tecnica poetica che, almeno nella produzione precedente il soggiorno del poeta a Samo, risente in maniera notevole del modello stesicoreo. Sappiamo che si trasferì a Samo e visse alla corte del tiranno Eace, per chi data il suo arrivo sull’isola intorno al 564-540 a.C., oppure, presso la corte del figlio di Policrate, per chi come Eusebio fissa l’arrivo del poeta a Samo intorno al 536-532 a.C. Questo viaggio venne motivato, secondo tradizione, da un suo rifiuto di divenire tiranno di Reggio. Lì incontrò un altro celebre poeta greco, Anacreonte.
« Ma quest’ultimo strumento (la Lira fenicia, o sambuca) Neante di Cizico, nel libro primo dei suoi Annali, dice che fu ideato da Ibico, il famoso poeta di Reggio; così come Anacreonte inventò il ‘barbiton'(strumento dalle molte corde) »
(Ateneo di Naucrati, IV, 175)
Riguardo la sua morte, secondo una nota leggenda, cadde per mano di alcuni ladroni e la sua morte fu vendicata da uno stormo di gru che condussero al ritrovamento dei suoi assassini. Sarebbe stato sepolto a Reggio Calabria.
« Ferito a morte dai ladri nei pressi di Corinto, il poeta in punto di morte vide uno stormo di gru e le pregò di vendicare la sua morte. I ladri nel frattempo giunsero a Corinto e, poco dopo seduti nel teatro, videro le gru sopra le loro teste. Uno di loro, sorpreso, esclamò: “Guardate, i vendicatori di Ibico!”, così la gente capì cosa era successo accusando gli autori del delitto. »
(Plutarco, De garrulitate, XIV)
Per quanto riguarda le sue poesie, ci restano solo pochi frammenti, meno di 100 versi, su temi erotici (encomi), e temi d’amore, soprattutto di esaltazione della bellezza degli efebi. Un suo frammento, conservato su un papiro, permette di leggere il cosiddetto Encomio di Policrate, in cui Ibico elenca alcuni eroi e aneddoti della guerra di Troia che però non racconterà, in quanto interessato ad esaltare la bellezza degli eroi, paragonando ai più belli lo stesso tiranno Policrate. Si trovò indubbiamente a vivere in un ambiente raffinato e gaudente, dove l’amore per il simposio e per i giovani discendeva direttamente dalle particolari tendenze di Policrate e di suo figlio.
Cicerone nelle Tuscolane IV, 71 indicò il reggino Ibico come il poeta più infiammato d’amore di tutti i poeti greci.
‘Solo in primavera crescono le mele cotogne, ed
i melograni, da fiotti innaffiati
nell’inviolato giardino delle vergini Ninfee
ed i gonfi frutti d’uva prosperano tra l’ombra
dei virgulti della vite;
ma non esiste alcuna stagione per me, se
ogni amore giace spento; tutto in fiamme,
simile a Borea tracia in
scintillanti lampi; egli, nella mia fanciullezza
ha scagliato l’amore da Cipride,
verso me, incrollabile; con bruciante
follia ha tenuto il mio cuore sotto crudele dominio’. (601, b)
Al celebre poeta, la città di Reggio Calabria ha dedicato una stele commemorativa.