Si è inaugurata ieri la mostra “NOMISMA. Reggio e le sue monete” presso il Museo Archeologico di Reggio Calabria, un evento promosso e fortemente voluto dal Direttore Carmelo G. Malacrino, che ne è anche il curatore, assieme all’Ordinario di Numismatica del DICAM dell’Università di Messina, Daniele Castrizio.
Il desiderio, come spiega Malacrino, è quello di valorizzare ulteriormente il #MArRC con uno dei patrimoni più ricchi che esso contiene, il Medagliere, che non ha ancora ricevuto nell’allestimento del museo la giusta vetrina.
La mostra si pone come obiettivo di raccontare la storia della città di Reggio Calabria attraverso le sue monete, cercando, tramite una ben accurata pannellonistica, di far conoscere aspetti più ampi della storia della città, toccando aspetti della vita economica, religiosa, politica e culturale che rappresentano preziose testimonianze mnemoniche ma che solo pochi conoscono.
Le emissioni monetarie di Rhegion non sono state continue durante il corso della sua lunga storia. La città ha battuto moneta alla fine del periodo arcaico, più o meno per gran parte dell’età classica e fino alla conquista dionigiana del 386 a.C., per poi riprendere a coniare alla metà del IV secolo a.C. Entrata poi nell’orbita romana, dopo la sconfitta di Annibale, Rhegion cessa di battere moneta e diventa uno dei porti più attivi del Mediterraneo, divenendo anche se per poco, punto di arrivo del grano egiziano destinato a sfamare l’Urbe. La storia della città continua in periodo tardo antico, dove la sua importanza crebbe ulteriormente grazie all’esportazione del cosiddetto “vino reggino” e poi con la produzione di seta grezza, che metteva Reggio, nel VII secolo, al centro dell’interesse imperiale, perché la seta era monopolio dell’imperatore stesso.
Durante il periodo bizantino, Rhegion tocca il periodo più “alto” della sua storia. Dopo la caduta di Siracusa nell’878, la città diventa capitale dei domini imperiali in Italia. In questo periodo riapre la zecca, siamo sotto gli imperatori Basilio I il Macedone e Leone VI il Saggio, e conia monete d’oro e di bronzo; ma, da li a poco, eventi sconvolgenti, come la conquista della città nel 901 da parte di Abu al-Abbas Abdallah, emiro di Ifriqiya, fanno perdere a Reggio la zecca e l’archivio del tema. La città conserva solo il titolo di capitale e sede del Metropolita, il più importante vescovo italiano. Nel 1038, per finanziare Giorgio Maniace che voleva riconquistare la Sicilia ormai in mano saracena, la zecca reggina continua a battere moneta divisionale ma non in quantità elevata.
Tre i reperti in mostra è difficile scegliere quale pezzo ci ha affascinato di più. Ma tra le vetrine, complice un’attenta analisi della Professoressa Maria Caltabiano, Ordinaria di Numismatica presso il DICAM dell’Università di Messina abbiamo deciso di raccontarvi la storia della moneta battuta da Anassila, tiranno di Rhegion, in occasione della sua vittoria alle Olimpiadi nel 480 a.C.
Il suo nome (Anaxilas), compare tra i vincitori dei giochi olimpici tra il 500 a.C. e il 476 a.C.
Secondo la legge olimpionica sulla “parità dei partecipanti” non si presentò come potente governatore, ma come atleta nella gara dei carri trainati da muli e vinse! La sua storia la conosciamo grazie ad Aristotele, che ci informa anche che, dopo la gara, per celebrare il successo, organizzò un sontuoso banchetto dove invitò molti personaggi presenti ad Olimpia. Una volta rientrato in patria, nella sua Rhegion, per celebrare il suo trionfo si fece coniare una moneta, il cui diritto reca una biga trainata da mule, mentre sul rovescio è raffigurata una lepre, che simboleggiava esuberanza e ricchezza. Oltre che su moneta, sappiamo sempre da Aristotele, che il tiranno volle farsi celebrare anche da alcuni versi di un poeta famoso, Simonide di Ceo, che, a causa della poca generosità di questo, non voleva comporre nessuna ode. Alla fine però il poeta celebrò la vittoria olimpica con alcuni versi, di cui purtroppo ci rimane solo un verso, in cui le mule trainatrici della biga vengono appellate come “Figlie delle cavalle”.
“Salve, o figlie delle Cavalle dai piedi di procella…”
La Professoressa Caltabiano, durante il suo intervento, ha inoltre spiegato un ulteriore messaggio dietro questi due simboli, le mule e la lepre, presenti sul dritto e sul rovescio della moneta. Secondo Erodoto, l’Hemionos, il mulo, avrebbe simboleggiato il desiderio da parte del tiranno di unire due etnie diverse: Calcidesi e Messeni, pensando positivamente alla loro “possibile” convivenza. Quando aveva conquistato Zancle, poi chiamata Messene, Anassila aveva trovato calcidesi di stirpe dorica in città ed il messaggio di questa moneta comune non solo a Reggio ma anche a Messina era proprio questo: le uguali legende auspicavano la concordia tra popoli. Così come la lepre, simbolo di Afrodite doveva portare amore, e solo dietro questi concetti di amore e concordia le due città avrebbero potuto garantire di conseguenza la prosperità ai suoi abitanti.
Quanta attualità dietro un reperto così piccolo e così ricco di storia?