Si è tenuto il 12 gennaio, presso l’Università Normale di Pisa, nell’Aula Magna di Palazzo Boilleau, un convegno dal titolo “Epicurei contro Accademici, Cinici e Stoici. La polemica epicurea nei papiri ercolanensi da Colote a Filodemo”. L’evento, organizzato dall’Ateneo, ha avuto lo scopo di fungere da cornice per il lancio del progetto “EpicureanPolemic”, coordinato dal prof. Graziano Ranocchia e co-finanziato dalla Commissione Europea e dal MIUR, nell’ambito del Progetto FARE (“Framework per l’Attrazione e il Rafforzamento delle Eccellenze per la ricerca in Italia”. In pratica, un’eccellenza tra i progetti di ricerca italiana, già premiato con fondi UE e ulteriormente valorizzato con il sostegno dello Stato. Ma di cosa si tratta?
Il nucleo del programma consiste nell’analisi, attraverso tecniche scientifiche innovative, dei Papiri di Ercolano, con lo scopo di recuperare nuove e più precise informazioni circa i testi in essi contenuti e di produrne nuove edizioni critiche. Questi celeberrimi papiri, censiti nel 1986 nel numero di 1826, provengono da una biblioteca antica, unica al mondo mel suo genere, e ci sono giunti grazie all’eruzione che nel 79d.C. distrusse le città di Ercolano, Pompei e Stabia. Rinvenuti a metà ’800 attraverso scavi poco ortodossi (nella cosiddetta, per ovvi motivi, “Villa dei Papiri”, nota anche come Villa dei Pisoni, dal nome della potente gens che la eresse a metà del I secolo a.C.), sono stati studiati nel corso dei decenni e hanno restituito un immenso patrimonio di dati circa perduti filosofi greci della Scuola di Epicuro.
Vissuto a cavallo tra IV e III secolo a.C. ad Atene, Epicuro diede il via a una delle correnti filosofiche principali dell’Età Ellenistica, l’Epicureismo appunto, che dal mondo greco approdò successivamente al mondo romano, per diffondersi poi così in tutto l’Impero. Se da un lato si deve ricordare come lo Stoicismo fosse la corrente filosofica prediletta dall’aristocrazia romana, non si può tuttavia dimenticare come Epicuro e i suoi discepoli abbiano profondamente influenzato la cultura dell’Urbe, annoverando trai suoi seguaci alcuni dei più importanti letterati latini (Lucrezio e Virgilio su tutti). E proprio il Golfo di Napoli sembra essere stato la roccaforte di questa Scuola nel mondo romano, come testimoniano questo straordinario ritrovamento, ma anche il fatto che Virgilio si recò proprio a Napoli per seguire le lezioni dei celeberrimi maestri epicurei Sirone e Filodemo di Gadara. Alle opere quest’ultimo, significativamente, appartiene la maggior parte dei testi rinvenuti nella biblioteca della villa.
Ma com’è possibile che dei papiri siano sopravvissuti a un’eruzione vulcanica di proporzioni spaventose, a un millennio e mezzo abbondante di sepoltura e possano essere stati letti da studiosi degli ultimi due secoli? La spiegazione rivela l’incredibile fortuna che l’umanità abbia avuto nel ricevere questo dono dal passato. Come noto, le varie città distrutte dal Vesuvio non subirono tutte il loro tragico destino con le stesse modalità. Se infatti Pompei e Stabia furono immediatamente colpite da una pioggia di cenere, pomici e lapilli, che le sommerse uccidendone in questo modo tutti gli abitanti, Ercolano fu invece investita in un secondo momento dalla cosiddetta “nube ardente”. Questo significa che, risparmiata nelle prime ore dell’eruzione da qualsiasi danno diretto, la città fu spazzata dopo diverse ore da una letale mistura di cenere, gas venefici e vapore acqueo, a temperature talmente elevate che ogni persona sorpresa all’aria aperta ne venne vaporizzata all’istante.
Diversa fu la sorte di chi si trovava in un ambiente chiuso e, di conseguenza, dei papiri: anch’essi vennero inceneriti rapidamente, ma non con la stessa istantanea fulmineità che aveva colpito gli altri. Se questo causò a uomini e animali una morte ancor peggiore, fece sì che i papiri, bruciati velocemente in un ambiente chiuso quasi privo di ossigeno, si carbonizzassero in blocchi compatti ed estremamente fragili, senza tuttavia dissolversi. Nel corso dei secoli poi la loro sopravvivenza fu garantita dalla colata lavica che sigillò in un momento ancora successivo l’intero areale, e così essi giunsero agli scavatori ottocenteschi in una condizione certo danneggiata, ma in un certo senso anche indenni. Dal 1855, anno del rinvenimento della biblioteca, numerosi studi sono stati condotti su di essa, centinaia di papiri “srotolati”, a volte con successo e a vote con risultati disastrosi, e decine di opere sono state recuperate dai fogli carbonizzati. Le difficoltà principali sono sempre state quelle dello srotolamento materiale dei libri, avvolti spesso in maniera complicata, e della lettura dei caratteri, poiché l’inchiostro si dissolve rapidamente dopo essere stato esposto all’aria aperta, e spesso non è agevolmente distinguibile dal resto della pagina annerita.
Ma oggi, grazie a un metodo impiegato dal prof. Mocella nel 2015 e poi perfezionato dal dott. Seales dell’Università del Kentucky, è possibile realizzare uno screening ai raggi X dei rotoli, che permette attraverso il contrasto di recuperare decine e decine di lettere e di riordinarle in seguito attraverso specifici software, venendo così a srotolare virtualmente il solo testo scritto, senza intervenire materialmente ad aprire le pagine. Ed è appunto con versioni sempre più affinate di questi strumenti che verranno condotte le indagini del team del prof. Ranocchia, per svelare nuovi testi antichi.
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