Cultura e Formazione dei giovani nell’Antica Pompei

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Il Foro Triangolare è stato un importante centro religioso, formativo e culturale dell’antica Pompei. Posto su una terrazza naturale, tra il mare e la piana del Sarno, l’area accolse originariamente, nella seconda metà del VI secolo a.C., l’insediamento di un tempio dorico. Nel II secolo a.C. l’utilizzo del pianoro fu esteso alla formazione scolastica giovanile. La struttura archeologica del Foro Triangolare risulta formata da uno spazio riservato ai riti sacri, un imponente propileo con colonne ioniche, un grande porticato a tre lati, aperto verso la valle del Sarno, che delimita una pista per competizioni ginniche e risulta collegato alla palestra sannitica. Nell’epoca augustea (I secolo a.C.) furono edificati all’interno di quell’area monumenti onorari e culturali, tra i quali una schola, formata da un sedile circolare usato come punto d’incontro, che all’epoca era presumibilmente utilizzato come “banco scolastico” dalla gioventù locale.

Il professore Giuseppe Lindinerro, nel corso di una delle sue conferenze per l’associazione Amici di Pompei dell’inizio del 2018 ha fatto notare che l’ambientazione della schola del Foro Triangolare somiglia molto (forse ha ispirato) la Scuola di Platone, raffigurata nel famoso mosaico pompeiano custodito al Mann. Elemento fondante della cultura romana e pompeiana è stata la lingua. Durante l’Impero se il latino e il greco prevalevano negli scritti dei colti, per quanto riguarda la lingua parlata e la scrittura popolare (come i numerosi graffiti incisi sui muri dell’antica Pompei) si utilizzava la lingua osca. L’alfabeto era quello inventato dai Fenici e diffuso dai Greci per tutta l’area mediterranea. Un affresco di Pompei ritrae gli strumenti utilizzati per la scrittura: tavolette cerate, stilo e calamaio, mentre per i calcoli erano utilizzati i ciottoli. La musica era ritenuta fondamentale nell’insegnamento dei giovani. Grande importanza si dava all’educazione fisica (mens sana in corpore sano). Fin dalla giovane età si insegnava la metrica, che era necessaria per interpretare e recitare con i ritmi giusti le composizioni poetiche. I poeti all’epoca avevano la stessa popolarità dei cantautori dei nostri giorni e le loro opere erano utilizzate nella formazione culturale e sentimentale dei ragazzi. Molto diffusa era l’Eneide, per l’importanza che rivestiva nel mito della fondazione di Roma.

Dai suoi avvenimenti più noti derivavano molti luoghi comuni delle parlate popolari, mentre numerosi affreschi pompeiani ne sono stati ispirati. I giovani si nutrivano della cultura classica antica, fatta delle opere dei grandi autori tragici della grecità (Euripide, Eschilo, Sofocle). I testi dei classici erano scritti in rotoli di papiri custoditi in biblioteche pubbliche o di famiglie patrizie. Ad Ercolano è stata trovata una raccolta di testi nella “Villa dei Papiri”. Si pensa che una biblioteca dello stesso tipo dovesse essere custodita nella Casa del Menandro di Pompei, dove sono stati trovati buchi nel muro che hanno probabilmente contenuto i sostegni di scaffalature dove erano riposti i papiri. Se la cultura dell’élite romana (e pompeiana) promanava dai poemi e dai testi filosofici e poetici, quella popolare è stata tramandata dai graffiti scritti in un latino contaminato sui muri di Pompei, in cui si nota una forte presenza di parole tronche e di termini sconosciuti. Le difficoltà di leggere oggigiorno i graffiti nascono dallo stato di conservazione degli intonaci e delle tavolette cerate e dalle tecniche con cui venivano rilasciate le iscrizioni. I graffiti sono una miniera di notizie sulla vita, gli usi ed i costumi dei pompeiani. Contengono frasi amorose, tariffe e prestazioni delle prostitute, iscrizioni elegiache ed oscene, propaganda politica ed altro. Su un muro della Basilica si legge: “Mi meraviglio per te che non crolli sotto questo cumulo di sciocchezze”.

Vi sono anche iscrizioni ufficiali, come quella del Foro Triangolare, che spiegano la diversa natura dei bilanci che avevano finanziato la costruzione del tempio. Altra cosa sono le incisioni sulle lapidi, che spesso riguardano iscrizioni funerarie o denominazioni toponomastiche. L’educazione nell’età imperiale a Roma (come a Pompei) era compito della madre, che seguiva i figli fino all’età della fanciullezza. Nell’epoca repubblicana, invece, i padri si vantavano di aver insegnato ai figli a leggere e scrivere, nuotare e combattere. Non appena i figli diventavano autonomi venivano affidati (durante l’età imperiale) a famosi pedagoghi. La plebe mandava, invece, i figli presso scuole private più economiche. Abitudine che veniva deprecata da Plinio il Giovane, che la considerava funesta per i costumi romani, anche perché il magister era spesso uno schiavo o un liberto privo di autorità nei confronti del giovane. La scuola primaria si svolgeva frequentemente in condizioni precarie. Il maestro insegnava lettura, scrittura e a far di conto con un metodo macchinoso che durava diversi anni. Per imparare i calcoli elementari gli allievi facevano i conti con le dita delle mani e con i sassolini. Per l’insegnamento superiore venivano impiegati professori di grammatica e retorica che provenivano dall’Oriente ed insegnavano in lingua greca, che si continuò ad utilizzare successivamente per l’insegnamento superiore della retorica, mentre per quello propedeutico della grammatica si adoperava sia il latino che il greco.

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