Antonio hostis publicus: dalle filippiche al secondo triumvirato

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Nel 44 a.C. Marco Antonio ricopriva la carica di console insieme a Cesare. Durante i lupercali, il 15 febbraio, aveva tentato di mettere in testa una corona al dittatore a vita, che l’aveva rifiutata. Un mese dopo, alle idi di marzo, Antonio fu allontanato dal senato da Gaio Trebonio, mentre Tillio Cimbro attirava Cesare nella trappola con la scusa di una petizione e Casca (che solo un mese prima aveva tentato di mettere in testa la corona a Cesare, insieme a Cassio, prima di Antonio, durante la festa dei Lupercali) dava la prima pugnalata. Cassio avrebbe voluto uccidere anche Antonio ma Bruto era contrario.

Fig. 1 Vincenzo Camuccini – La morte di Cesare

Marco Antonio, inizialmente fuggito, in serata andava da Calpurnia dove attingeva ai fondi di Cesare; il giorno seguente, il 16 si trovava sull’isola tiberina dove si ricollegava alle truppe comandate da Lepido. Quest’ultimo propose di trucidare i congiurati, ma Aulo Irzio chiese un accordo con i cesaricidi e Marco Antonio, incredibilmente, decise di accettare. Il 17 in senato si tenne un dibattito e Cicerone avanzò la proposta dell’amnistia, che Marco Antonio accolse a patto che venissero approvati anche tutti gli atti di Cesare.

Il giorno successivo, 18 marzo, Antonio aprì il testamento di Cesare e scoprì che il suo erede era un suo pronipote, il neo figlio adottivo di Cesare, Gaio Ottavio – divenuto Gaio Giulio Cesare Ottaviano -, che riceveva i 3/4 dell’eredità, mentre Marco Antonio era secondo anche ai cugini di Ottaviano Lucio Pinario e Quinto Pedio, venendo dopo in linea di successione perfino al cesaricida Decimo Giunio Bruto, che aveva convinto Cesare ad andare in senato quella mattina funesta.

Il 20 marzo infine avvennero i funerali: Marco Antonio mantenne alto l’onore di Oratore del nonno, tirando fuori alla fine del suo discorso fino a quel momento relativamente morbido nei confronti dei cesaricidi, con un abile colpo di scena, le vesti insanguinate di Cesare e leggendo il suo testamento, in cui Cesare donava ai romani i suoi giardini e 300 sesterzi a ogni cittadino romano. La folla esplose, cominciò a lanciare oggetti nella pira funebre e i cesaricidi furono costretti alla fuga per evitare il linciaggio.

Il rapporto con Ottaviano: dalla guerra di Modena al triumvirato

Il rapporto tra Antonio e Ottaviano fu avverso sin da subito. Ottaviano, che al momento dell’assassinio del prozio si trovava ad Apollonia dove Cesare stava radunando le truppe per l’imminente campagna partica, si precipitò subito a Roma, che stava diventando una città sempre più spettrale, con Antonio a mantenere rigidamente il potere e i cesaricidi che andavano via uno a uno.
Ottaviano cercava di ritagliarsi un suo spazio e per questo andava contro Antonio per prendere sotto la sua ala più cesariani possibili.

Cicerone infine ebbe la meglio nella lotta politica, e con l’appoggio di Ottaviano, non perse tempo nello screditare Antonio dinanzi al senato (pronunciando 14 filippiche – la XIV avviene il 21 aprile del 43 a.C., il giorno prima era arrivata la notizia della battaglia avvenuta il 14 a Forum Gallorum) e persuadendoli nel dichiararlo nemico pubblico. L’assemblea senatoria non accolse queste provocazioni ma al contempo annullò le decisioni più importanti del console e lo destituì da ogni incarico per l’anno seguente.

Ormai la scena politica era stata riconquistata da Cicerone che ostacolava l’operato anche pacifico di Antonio. Nel giugno del 44 il console fece passare una permutatio provinciarum con cui scambiava il proconsolato della Macedonia dell’anno seguente con quello della Gallia Cisalpina, data in precedenza a Decimo Bruto, oltre ad ottenere il controllo delle sei legioni macedoni.

Ottaviano reclutò allora 3000 uomini tra i veterani di Cesare tentando di prendere Roma, senza successo, quindi si asserragliò ad Arezzo, dove riuscì a mettere in piedi due legioni. Nel frattempo, Antonio accusava Ottaviano di aver tentato di farlo uccidere e il giovane erede di Cesare veniva onorato – grazie all’appoggio di Cicerone (che credeva di manipolare Ottaviano) – con un imperio propraetorio, quindi secondo solo ai consoli dell’anno seguente, Aulo Irzio (autore dell’ottavo libro del De Bello Gallico) e Vibio Pansa.

Al contempo Antonio, che non aveva ottenuto da Decimo Bruto la cessione della Gallia Cisalpina, si era mosso a nord. Questi assediò Modena, dove si trovava il cesaricida, ma venne raggiunto dalle forze consolari, al sopraggiungere del 43 (dopo essere dichiarato hostis publicus, grazie anche alle filippiche di Cicerone, appena terminato il suo consolato nel 44) e sconfitto nella battaglia di Forum Gallorum il 14 aprile e nella battaglia di Modena il 21 dalle legioni riunite dei consoli Aulo Irzio e Vibio Pansa e del giovane Cesare Ottaviano.

Aulo Irzio rimase ucciso in battaglia, a Modena. Pansa morì poco dopo (il 23); Ottaviano sosteneva nel suo res gestae divi Augusti che il console era ferito, ma probabilmente venne ucciso, facendolo avvelenare, dal futuro imperatore. Entrambi i consoli morirono quindi in battaglia o poco dopo e Ottaviano, rimasto il più alto in comando, si fece nominare con la forza console, marciando su Roma ed entrando in senato in armi.

Il secondo triumvirato

Una volta nell’assemblea, Cicerone si fece avanti e gli fece intendere che avrebbe comunque ottenuto il consolato (magari insieme a lui, venti anni dopo quello “trionfale” che sventò la congiura di Catilina). Ottaviano gli rispose emblematicamente dicendo che Cicerone era “l’ultimo dei suoi amici“, giocando sul doppio senso della parola ultimo (il medesimo in italiano e latino).

Nei pressi di Bologna, nel novembre successivo, si giunse ad un accordo stipulato tra Antonio, Ottaviano e Lepido, il secondo triumvirato, che a differenza del primo triumvirato, non era un accordo privato tra Cesare, Pompeo e Crasso, ma un “triumvirato costituente”, una magistratura ufficiale (ratificato dalla lex Titia per un quinquennio). Ne avrebbe fatto le spese in primis Cicerone, che sarebbe stato posto in cima alle liste di proscrizione triumvirali per volere di Marco Antonio, con l’avvallo di Ottaviano.

 

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