Tra gli esiti dei lavori di messa in sicurezza della Regio VII di Pompei, di cui abbiamo parlato qualche settimana fa, (https://mediterraneoantico.it/articoli/archeologia-classica/nuove-aperture-pompei-restituite-alla-fruizione-le-domus-sirico-dellorso-ferito/) , importante e non secondaria, si segnala la riapertura al pubblico di una famosa attività commerciale dell’antica città vesuviana: il panificio di Popidio Prisco.
I panifici, pistrina, erano numerosi a Pompei, se ne contano 35, e dovevano sfamare le esigenze di una popolazione che si attestava, in età romana, tra le 8 mila e le 12 mila unità. Alcune attività, tra i prodotti di panificazione, avevano come specialità anche numerosi dolci. Il panificio di Popidio Prisco (VII 2, 22) si inserisce proprio all’interno di queste attività commerciali molto diffuse. Posto lungo il vicolo Storto nel centro della città, mette in mostra un forno a mattoni che nulla ha da invidiare ai nostri forni moderni, soprattutto perchè esteticamente molto simile a quello di molte pizzerie con forno a legna.
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La camera di tiraggio era posta come avancorpo rispetto alla camera di combustione, inoltre, mulino e panificio erano connessi perché il luogo di macinazione della farina e di lavorazione facevano parte di uno stesso processo di produzione. Nel cortile si notano alcune macine in pietra lavica, cinque, che servivano alla molitura del grano, fatte girare a forza di braccia o tramite l’impiego di asini. Queste sono formate da due elementi: uno inferiore a forma di cono, fisso (meta) e uno superiore, mobile a forma di clessidra (catillus) che, tramite attrito, riducevano i chicchi in farina. Questa, una volta pronta, era impastata con l’acqua, grazie ad un’apposita macchina impastatrice, una è stata trovata in un altro panificio nella Regio IX 12,6, molto simile alle macchine moderne, ma naturalmente funzionante a mano.
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La pasta, successivamente, veniva lavorata su appositi banchi per dare la forma al prodotto, generalmente pane dalla forma rotonda, a spicchi rilevati. Nel grande forno posto al centro dell’edificio, il pane poi veniva cotto e solitamente smerciato in un piccolo ambiente limitrofo con bancone. Nell’edificio di Popidio Prisco il bancone era assente; probabilmente il pane era prodotto su commissione oppure venduto all’ingrosso o tramite venditori ambulanti, detti libani. Il costo di una forma di pane si aggirava intorno ai 2 assi.
Il pane era anche nell’antichità un alimento di base della nutrizione. A differenza di quello che possiamo trovare nei nostri panifici, morbido e fragrante, il pane antico era particolarmente duro a causa di farine di scarsa qualità e di lievito insufficiente, che se conservato troppo a lungo, andava incontro ad acidità. Anche per queste ragioni, il pane difficilmente veniva consumato fresco, piuttosto era preferibile intingerlo nel vino, nell’olio o nelle zuppe. I Romani conoscevano anche altri tipi di pane, più raffinati come quello alle spezie, al latte, alle uova, al miele o all’olio. Oltre alla forma rotonda che gli scavi di Pompei ci hanno restituito, esisteva anche una forma di pane allungata. Tra i prodotti del panificio, anche vari tipi di “pizza”: morbida (artolaganum) e croccante (tracta).