Il decreto dell’Abaton

Sulle pareti interne della “Porta di Adriano” a File, nota anche come “Portico di Osiri”, molte delle raffigurazioni sono relative al culto e ai misteri di Osiri. Di particolare importanza, oltre alla ben nota ultima iscrizione in caratteri geroglifici pervenutaci, è il testo conosciuto come “Decreto dell’Abaton”, che specifica tutte le prescrizioni relative a questo luogo “inaccessibile” (è questo il significato del termine greco ἄβατον abaton), che gli Egizi chiamavano “luogo puro” o “isola pura”, sull’isola di Bigga, dove è sepolta la gamba sinistra di Osiri. Le iscrizioni, accompagnate da una serie di rilievi figurati, danno una duplice versione del decreto, la seconda, purtroppo, non completa. Esse risalgono al regno di Adriano (117-138).

Vita dei Santi Massimo e Domezio

Secondo la tradizione, Massimo e Domezio erano figli dell’imperatore Valentiniano I (364-375); educati cristianamente, nutrivano il desiderio di vivere come eremiti, osteggiati, però, in questo dal padre. A Nicea fecero conoscenza con un prete di nome Giovanni, al quale confidarono il loro desiderio di farsi monaci. Giovanni li indirizzò a un certo Agabos di Tarso, un anacoreta siriaco, il quale li rivestì con l’abito dei monaci siriani. I due fratelli rimasero presso Agabos fino alla sua morte. Prima di morire, tuttavia, Agabos aveva avuto in sogno una visione nella quale il santo monaco egiziano Macario (300-390) chiamava a sé i due giovani.

Il graffito ieratico del “Decreto di Horkhebi”

Sono venuto a conoscenza di questo graffito agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso, leggendo lo splendido libro di Paul Barguet sul tempio di Amon a Karnak1. Mi sono subito procurato il facsimile del graffito, eseguito dal Mariette (MARIETTE 1875), e la sua prima trascrizione geroglifica a opera dello Spiegelberg (SPIEGELBERG 190). Inoltre, nei miei viaggi in Egitto, allora ben più frequenti di adesso, non mancavo di andare a vederlo (a quei tempi l’accesso alla zona era consentito!). Ne avevo tentato anche una prima traduzione, che ho ultimamente riscoperto nei miei quaderni di appunti e che ha risvegliato il mio mai sopito interesse per i graffiti. E così, facendo altre ricerche in Rete, ho visto che esso era stato fatto oggetto di studio da altri egittologi, dei quali, nei limiti del possibile, mi sono procurato i lavori. Pertanto, presento ora qui il testo e la traduzione del graffito, sperando di fare cosa gradita ai tanti amanti dell’antico Egitto. I due studi principali, ai quali mi sono costantemente riferito, sono quello di Günter Vittmann (VITTMANN 202), che ha presentato una nuova edizione in facsimile, con trascrizione, traduzione e lungi commentario filologico, e di Elizabeth Frood (FROOD 2010).

La conversione al cristianesimo della Nubia e l’iscrizione di Silko

Teodosio I era salito al trono patriarcale di Alessandria il 10 febbraio 535, grazie agli aiuti di cui godeva in seno all’apparato imperiale. Eletto da una minoranza, imposto e mantenuto sul trono dal governo, egli era molto impopolare in città. Ma nel 536 il vento cambiò direzione. In quell’anno, infatti, l’imperatore Giustiniano (527565), che operava per giungere all’uniformità religiosa nell’impero (rotta dall’insanabile e perdurante divisione tra quanti a Calcedonia, nel 451, avevano accettato le decisioni conciliari sulle “due nature” e l’unica persona di Cristo e quanti invece le avevano respinte, e con essi la maggioranza assoluta degli egiziani), ritenne che ormai l’appoggio garantito a Teodosio non avesse più ragione d’essere se non nel caso di un’abiura del Credo anticalcedonita da parte del patriarca. Credendo di potergli perciò estorcere facilmente almeno una formale adesione a Calcedonia (secondo la Storia dei Patriarchi, in cambio della sua adesione all’ortodossia imperiale l’imperatore gli avrebbe offerto poteri eccezionali, promettendogli di unire il potere temporale a quello religioso, di essere cioè contemporaneamente sia augustale sia patriarca), Giustiniano lo convocò a Costantinopoli (novembre-dicembre 536).

Tiglath Pileser I. Annali

Gli Annali di Tiglath-Pileser I, fondatore del primo e vero impero assiro, contengono la narrazione degli eventi militari del regno, fino all’anno IV-V; essi furono scritti su quattro prismi ottogonali uguali, sepolti poi ai quattro angoli del grande tempio di Adad ad Assur. Tiglath-Pileser I è anche il primo fondatore di una biblioteca di cui conosciamo il nome. Tra le rovine del tempio di Assur nella città di Assur, gli archeologi hanno trovato numerose tavolette, parte di una biblioteca che risulta essere stata messa insieme durante il regno di Tiglath-pileser I, forse quando era ancora principe ereditario.Ad essa possono essere attribuite, con un buon grado di certezza, circa cento opere. La collezione è stata continuata da Tukultī-Ninurta II (890-884 a.C.), anche se i dati archeologici di cui disponiamo al riguardo sono limitati.

Il Canto del mattino o Inno del risveglio a Edfu

Nel grande tempio di Edfu, dedicato al culto del dio falco Horus, durante l’ufficio del mattino delle feste solenni - ufficio che sostituiva, a intervalli regolari e frequenti il semplice servizio giornaliero - i sacerdoti coristi eseguivano il Canto del mattino, per propiziare il risveglio del dio dopo il sonno della notte. Il testo del canto si trova inciso, con tutta la magnificenza che conveniva a uno dei maggiori templi d’Egitto, sulla facciata esterna del santuario centrale. Ne riassumo, qui di seguito, la descrizione data da Maurice Alliot.