I pavimenti antichi durante gli Scavi borbonici e nei periodi successivi venivano estratti dalle domus di Pompei e degli altri scavi circostanti allo stesso modo degli affreschi e come loro utilizzati per arredare le case dei regnanti insieme ad altri reperti artistici e/o di valore. I pavimenti a mosaico si prelevavano generalmente intatti dai piani bassi mentre quelli dei piani superiori si ritrovavano in crollo e bisognava ricomporre il disegno originario, operazione spesso realizzata durante lo scavo, o raccogliendo le tessere di mosaico nei cofani per la ricomposizione successiva da parte delle maestranze della Soprintendenza archeologica che assemblavano le tessere una ad una. Seguiva la loro la loro sostituzione ai pavimenti museali (prima a quello ercolanese e successivamente nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli).

Pavimento musivo nella sala della Magna Grecia, al Museo Nazionale Archeologico di Napoli. Crediti: Paolo Bondielli.

 

In alcuni casi i mosaici venivano utilizzati nella costruzione di mobili artistici (tavoli e consolle) che arredavano regge e case di nobili. Una conferenza del 21 gennaio 2022 delle archeologhe Floriana Miele, Maria Stella Pisapia e Grete Stefani per l’Associazione Internazionale Amici di Pompei ha riferito sui percorsi intrapresi nel tempo da alcuni mosaici e le loro collocazioni attuali (quando conosciute). Alcuni mosaici sono misteriosamente scomparsi, di altri si è persa ogni notizia, altri ancora sono stati oggetto di interessanti scoperte. In ogni caso l’archeologia pompeiana ricomprende tutte le conoscenza sugli arredi delle domus allo scopo di presentare un quadro più completo possibile.

Al Museo Nazionale di Napoli si è persa la conoscenza della collocazione originaria di molti mosaici e per questo motivo è stata avviata la ricognizione completa. Nella villa della Pisanella 3 ambienti del settore termale contenevano mosaici. Uno di essi raffigurante un granchio e quattro anatre fu acquistato dallo Stato e conservato nei depositi di Pompei. Un secondo mosaico, staccato dal tepidarium rappresenta un’anguilla e vine conservato nei depositi di Boscoreale. il terzo, staccato dal calidarium, raffigura una cicogna e un serpente e dopo essere pervenuto in eredità alla famiglia Albano fu parimenti acquistato dallo Stato ed attualmente esposto nell’Antiquariun di Boscoreale.

memento mori. Da Pompei, Bottega I 5. Crediti: Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Tra i reperti rinvenuti nella villa De Prisco, un ferro della lunghezza di 1 metro e settantacinque con la parte superiore a maniglia è stato individuato dalla Stefani come compasso da mosaicista che probabilmente viveva nella villa della Pisanella dal momento che vi sono state rinvenute anche lastre e tessere di marmo. Nella proprietà Cirillo-De Vivo fu rinvenuto un mosaico con una venere dentro trasportata in una conchiglia da due Tritoni. Di prisco che lo aveva scavato voleva venderlo allo Stato Italiano ma se ne perse ogni traccia. Riguardo un mosaico con lottatori della villa di Popilio Floro, la soglia fu comprata dallo Stato ma non si ha notizia della sezione figurata.

Il mosaico con tritone della proprietà Antonio Prisco una volta staccato fu venduto ad Arnold Ruesh che lo fece inserire nella sua villa, successivamente demolita senza dare notizia del mosaico. La dottoressa Stefani nel suo intervento ha raccontato come riuscì, sulla base di poche tessere rimaste nel deposito di Pompei, ad individuare un secondo esemplare di cave canem, dopo quello più famoso della Casa del Poeta Tragico. La dottoressa Miele da parte sua ha spiegato che tra gli emblemata figurati incastonati a pavimento nel museo archeologico Nazionale di Napoli 2 furono protagonisti di vicende particolari . I 900 metri quadrati dei pavimenti delle sale del Museo Nazionale formano uno spettacolare complesso di pavimenti in opus tessellato bianco e nero e policromo e opus sectile di età romana provenienti da scavi vesuviani campani ancora in fase di ricognizione.

Cave canem, dalla Domus del Poeta Tagico di Pompei. Crediti: Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

I pavimenti delle sale del Museo sono nella maggior parte dei pastiche di matrice ottocentesca di cui non è agevole riconoscere l’esatta provenienza delle sezioni originarie che li componevano e per questo motivo s’incorse in errori di attribuzioni. E’ il caso di un mosaico con la testa di Medusa inserita in un cerchio ornata da elementi zoomorfi collocato al centro del pavimento in opus tessellato nella sala 136 del Muso archeologico di Napoli che fu ritenuto proveniente da una casa di Pompei mentre fu successivamente appurato che fosse stato scavato a Lucera. Nella sala 132 il pavimento composto da sezioni musive di diverse origini. Presenta nelle parte esterna una fascia di tessere bianche e nere staccate dal secondo complesso di Stabia che circoscrive una fascia più interna con mura turrite proveniente dalla villa dei Papiri. La fascia ancora più interna con un corteo di delfini, cavalli e draghi marini fu invece staccata dal cortile del praedia di villa Felix.

Altra volta al centro del pavimento della sala 132 fu invece incastonato un altro emblema trovato nel quartiere termale dei praedia di villa Felix raffigurante un fornacator di mosaico nero con pala in spalla su campo bianco. Sulla parte esterna si legge in caratteri cubitali il motto “Salve” che ha dato nome all’abitazione del Salve rinomata a Pompei e si credette, pertanto, proveniente dalla Casa delle Vestali generando un altro equivoco in quanto è stato accertato provenire dalla villa Arianna a Stabia e non dalla casa del Salve a Pompei che, al contrario rimase sul posto ed andò distrutto. Le due storie di mosaici sono esempi di ricostruzioni di vicende di reperti decontestualizzati dai siti originari ed erroneamente interpretati nel nuovo contesto espositivo.

Pavimento musivo nella sala della Magna Grecia, al Museo Nazionale Archeologico di Napoli. Crediti: Paolo Bondielli.

L’archeologa Stella Pisapia ha descritto le esportazioni di 2 mosaici particolari. Il primo caso riguarda il mosaico con una testa Medusa scavata presso la masseria Irace a Pompei e inserito inizialmente nella terza stanza del museo di Ercolano e successivamente trasferito a Capodimonte. Anziché essere esposto al Museo Nazionale fu inserito nel disegno di tavolo di Carolina Murat che vi fece apporre le sue iniziali. Successivamente quel tavolo con la testa di medusa a fondo bleu rientrò nella collezione d’antiquariato del principe Leopoldo di Borbone (amante della vita dispendiosa) che vi fece inserire le iniziali. Non rientrò tra i beni che gli furono confiscati e ricomparve a Capodimonte. Leopoldo si trasferì a Palazzo Salerno dove aveva nella sua collezione una consolle col mosaico Europa su Toro ed un’altra col mosaico del cane Torquatum. La collezione fu trasferita da Palazzo Salerno in Francia in quanto venduta al genero duca D’ Aumale. Europa su Toro era stata scavato a Villa san Marco (nella piscina) insieme a quello di Fristo su ariete. Il primo fu prima portato in Inghilterra successivamente fu esposto in Francia nel museo di Chentilly mentre il secondo rimase al Museo nazionale.

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