Il rinvenimento di alcuni murici nello scavo archeologico del Lungomare Vanvitelli, antico porto di Ancona, è il pretesto per parlare dell’origine e della storia del color porpora, da sempre simbolo di prestigio, ricchezza e potenza.

Si tratta di una sostanza naturale, estratta da un mollusco chiamato murice, appartenente alla famiglia dei Muricidi. Il pigmento viene secreto da una ghiandola del mollusco, di colore violaceo: ogni ghiandola può produrre una sola goccia di porpora, per questo motivo il pigmento è molto costoso e pregiato. A seconda della lavorazione, potevano originarsi tre diverse sfumature di colore: il cosiddetto rosso porpora – come lo conosciamo anche noi oggi – simile al colore del sangue o del fuoco, il porpora di Tiro chiara e il porpora di Tiro.

Tiro, assieme a Sidone, era infatti uno dei principali centri di produzione della porpora: proprio i Fenici furono i primi a scoprire l’esistenza dei murici – si narra che il cane del dio Melqart si colorò la bocca di rosso brillante per aver mangiato un murice spiaggiato – e ad apprendere le tecniche di estrazione e di lavorazione del pigmento, tanto che si spingevano fin oltre le Colonne d’Ercole per pescare il murice. Una volta perfezionate le tecniche di lavorazione del pigmento e quindi di tintura delle stoffe, iniziarono ad esportare i loro tessuti, considerati simbolo di prestigio e ricchezza dai popoli contemporanei.

Dopo il declino di Tiro, Cartagine divenne il principale centro di smistamento della porpora e da lì raggiunse Roma dove divenne uno dei simboli della magnificenza imperiale. Per di più, anche nell’Impero Romano si diffusero centri di estrazione e lavorazione della porpora, quali Otranto, Taranto, Pozzuoli e Ancona. Di quest’ultima parla Silio Italico, autore del I secolo d.C., nella sua opera Punica (in particolare nel libro VIII, vv. 436-437) «[…] tra questi stava Ancona, non seconda a Sidone, né alla porpora libica nel tingere la lana» evidenziando quindi come il primato della lavorazione del pigmento fosse una delle prerogative di questo centro e, di conseguenza, testimoniando anche la ricchezza di Ancona.

Della porpora parla approfonditamente anche Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia (libro IX, 60-61), in cui descrive la conformazione del mollusco e non solo: «[…] Il migliore dell’Asia è quello di Tiro; di Gerba quello dell’Africa, e sulla spiaggia del mare di Getulia; in Laconia quello d’Europa. Di questo sono ornati i fasci e le scuri Romane, e sempre questo dà maestà alla giovinezza. Distingue il senatore dal cavaliere; è utilizzato per placare gli dei, e fa risplendere ogni veste: nei trionfi è mescolato all’oro. Per questo sia scusata la follia della porpora.» La “follia della porpora” – purpurae insania – pervase in tutto e per tutto l’Impero Romano, tanto che la porpora era uno dei prodotti più esportati e venduti di tutto l’Impero.

La lavorazione continuò a pieno ritmo fino a circa metà del Medioevo, dopodiché la tecnica andò perduta fino al 1833, quando venne recuperata da Bartolomeo Bizio, chimico veneto che si occupò dello studio dei colori e dei molluschi e che riscoprì il metodo di estrazione della porpora dai murici.

 

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