Grazie all’archeobotanica, la disciplina che si occupa dello studio di antichi resti vegetali per capire le interazioni uomo-ambiente, sono emersi nuovi dati circa la domesticazione dell’ulivo e, di conseguenza, della produzione di olio. Come Francesca Rossi aveva scritto nel 2019 per Mediterraneo Antico nell’articolo “L’olio di oliva: dalle origini alle scoperte più recenti, datate 4000 anni fa” (https://mediterraneoantico.it/articoli/news/lolio-di-oliva-dalle-origini-alle-scoperte-piu-recenti-datate-4000-anni-fa/), l’olio ha una storia millenaria: era conosciuto dai popoli d’Egitto, Palestina, Armenia e India, per poi passare ai Greci e ai Romani.

Gli ultimi studi, condotti dal ricercatore Davide Tanasi presso la University of South Florida e basati su ritrovamenti degli anni ’90 a Castelluccio di Noto in Sicilia, confermavano che le tracce più antiche di olio di oliva risalissero a 4000 anni fa, ovvero all’Età del Bronzo: una sensazionale scoperta per la preistoria italiana. Ma, di recente, uno studio congiunto tra l’Università di Tel Aviv e l’Università Ebraica ha dimostrato che in realtà le prime tracce di ulivi risalgono a circa 7000 anni fa.

Infatti, i ricercatori hanno analizzato i resti di carbone trovati nel sito calcolitico (Età del Rame, V millennio a.C.) di Tel Tsaf, nella Valle del Giordano e hanno determinato che provenissero dagli ulivi. Dato che l’ulivo non cresceva spontaneamente nella Valle del Giordano, a differenza della regione di Israele, ciò significa che l’uomo ha portato tali piante intenzionalmente nell’area e con esse anche tutte le conoscenze necessarie per coltivarle correttamente.

Lo studio pionieristico è stato condotto dal Dott. Dafna Langgut del Dipartimento di Archeologia e Culture antiche del Vicino Oriente Jacob M. Alkow, dell’Istituto di Archeologia Sonia e Marco Nadler e del Museo di storia naturale Steinhardt dell’Università di Tel Aviv. I resti di carbone sono stati trovati nello scavo archeologico diretto dal Prof. Yosef Garfinkel dell’Istituto di Archeologia dell’Università Ebraica e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports dagli editori di Nature.

Secondo il Dott. Langutt, capo del laboratorio di archeobotanica e ambienti antichi, “Gli alberi, anche se bruciati fino a diventare carbone, possono essere identificati dalla loro struttura anatomica. Il legno era la “plastica” del mondo antico. Veniva utilizzato per l’edilizia, per la fabbricazione di utensili e mobili e come fonte di energia. Ecco perché identificare i resti degli alberi trovati nei siti archeologici, come il carbone dei focolari, è una chiave per capire quali tipi di alberi crescevano nell’ambiente naturale in quel momento e quando gli esseri umani iniziarono a coltivare alberi da frutto”.

Resti microscopici di legno di oliva carbonizzato risalente a 7000 anni fa, proveniente dal sito di Tel Tsaf, ph. Dott. Dafna Langutt

Tell Tsaf era un grande villaggio preistorico nella media valle del Giordano a sud di Beit She’an, abitato tra 7.200 e 6.700 anni fa. Nel sito sono state scoperte grandi case con cortili, ciascuna con diversi granai per lo stoccaggio dei raccolti che, date le dimensioni e la capacità, erano chiaramente depositi per immagazzinare grandi ricchezze. Inoltre, sono state rinvenute anche molte ceramiche elaborate: alcune prodotte in loco, altre importate dalla cultura Ubaid dalla Mesopotamia, poi dall’Anatolia e dal Caucaso.

Non sorprende quindi che gli abitanti del sito di Tell Tsaf fossero stati i primi a domesticare la pianta dell’ulivo e a produrre olio, importando la pianta dall’estero e rendendola propria: facevano parte di un sito molto ricco e all’avanguardia culturalmente e dal punto di economico. Infatti, il dott. Langott ha affermato che l’addomesticamento degli alberi da frutto è un processo che richiede molti anni, e quindi si addice a una società ricca e prospera, piuttosto che a una che lotta per sopravvivere: questo perchè gli alberi danno frutti solo 3-4 anni dopo essere stati piantati. Gli uliveti quindi, così come i boschetti di alberi da frutto, hanno un grande significato economico e sociale in termini di possesso di terra e di eredità alle generazioni future, procedure che suggeriscono l’inizio di una società complessa.

Inoltre, afferma il Dott. Langott “Verosimilmente i residenti di Tel Tsaf commerciavano i prodotti derivati ​​dagli alberi da frutto, come olive, olio d’oliva e fichi secchi, che hanno una lunga conservazione. Tali prodotti potrebbero aver consentito il commercio a lunga distanza che ha portato all’accumulo di ricchezza materiale, e forse anche la tassazione: i primi passi per trasformare la gente del posto in una società con una gerarchia socio-economica supportata da un sistema amministrativo”.

Queste nuove scoperte sono quindi fondamentali per comprendere il legame tra uomo, colture e ambiente circostante, testimoniando anche la nascita di una civiltà complessa già a partire dall’Età del Rame.

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Mara Zoppi

Appassionata fin da piccola alla storia e all’archeologia, dopo la maturità classica si iscrive alla facoltà di Lettere – curriculum Scienze dell’Antichità – presso l’Università degli Studi di Milano, laureandosi nel 2019 con una tesi di carattere archeologico-egittologico dal titolo Imhotep scriba e medico: dall’Egitto del III millennio a.C. ad oggi. Si iscrive successivamente alla facoltà di Archeologia dell’Università degli Studi di Milano dove si laurea nel 2021 con votazione 110/110 e lode sviluppando una tesi in ambito egittologico dal titolo La Casa della Vita nell’Egitto Antico: luoghi, riti, funzionari.

Ha partecipato a due laboratori di scavo archeologico: il primo sul sito di Urvinum Hortense a Collemancio di Cannara (PG) di epoca romana con l’Università degli Studi di Perugia; successivamente sul sito archeologico di Nora (Pula, CA) nella sezione competente all’Università degli Studi di Milano, quindi di epoca romana, contribuendo anche alle operazioni di post-scavo.

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