È comune pensare che gli antichi egizi avessero un’ossessione per la morte. Al contrario: essi avevano un’ossessione per la vita.

 

Gli egizi amavano ogni aspetto della vita. Banchetti con musici e cantori erano frequenti tra le classi più agiate. Credits: Paolo Bondiellli

 

L’origine del fuorviante luogo comune sulla cultura egiziana deriva da ciò che per lungo tempo, quasi un secolo e mezzo, l’archeologia in Egitto ha scoperto: tombe, mummie, corredi funerari. Queste scoperte delineano gli antichi egizi come cultori provetti della morte, preoccupati a dipingere le loro tombe, a realizzare oggetti funerari, e a scrivere testi per i defunti, dimenticando totalmente tutto il resto. Oggi però, alla luce di nuove ed esaltanti scoperte, sappiamo che ciò non corrisponde alla realtà.

Due precisazioni alla nostra premessa.

Innanzitutto, nonostante le continue profanazioni delle tombe, e la conseguente scomparsa di tesori inimmaginabili, esse ci sono giunte “integre”, cosa che invece non possiamo affermare per gli abitati, sottoposti al passare del tempo, e agli agenti atmosferici e antropici.

Secondo, in quanto esseri umani, gli antichi egizi temevano la morte, intesa come confronto e come qualcosa che non era più in vita, ma assolutamente non come la fine di ogni cosa. In effetti, l’aldilà egiziano – i Campi di Iaru – non è un luogo in cui vi è assenza di vita, dove i morti sono semplicemente morti, se non per il momento di transizione tra la morte vera e propria e la trasfigurazione. I Campi di Iaru sono infatti il luogo in cui vi è assenza di morte poiché esiste l’idea di immortalità.

 

Sennedjem compie il suo dovere nel Campi di Iaru. Raccoglie il lino mentre sua moglie, Inyferti, lo sistema in covoni. Dalla sua tomba a Deir el-Medina. Credits: Paolo Bondielli

 

Tuttavia nella formula 175 del Libro dei Morti si legge che: “[…] La tua vita durerà milioni di anni, fino a quando questa terra non ritornerà allo stato di Nun (le acque primordiali), alle acque che esistevano all’inizio. Io distruggerò tutto ciò che ho creato. Quando io mi ritrasformerò in serpente e sarò al fianco di Osiride […]”. Sì può concludere, dunque, che per gli antichi egizi l’aldilà e l’immortalità esistono in quel lasso di tempo che va dalla morte terrena alla fine del mondo, quando tutto tornerà com’era a prima della creazione.

E allora, cosa diventa la morte?

La risposta è ben lungi dall’essere così immediata, e non è affatto unidirezionale. Come in una pièce teatrale, useremo due miti, quello de La morte e resurrezione di Osiride e La disputa tra Horus e Seth, e i loro protagonisti per spiegare il concetto di morte e del morire.

Osiride, definito il dio buono per eccellenza, governava sulla terra con la sposa-sorella Iside, e aveva donato agli esseri umani il grano e l’agricoltura per il loro sostentamento. Un giorno, il suo invidioso fratello Seth, per appropriarsi del regno e liberarsi del fratello, organizzò un banchetto al quale erano presenti Osiride e i congiurati. Al termine dei festeggiamenti, Seth offrì in dono, a chi ci sarebbe entrato perfettamente, un magnifico sarcofago. Uno ad uno, gli ospiti provarono la bara, ma per nessuno di essi era perfetta, se non per Osiride. Una volta che il dio vi si sdraiò, Seth, insieme ai congiurati, chiuse immediatamente il sarcofago e lo gettò nel Nilo. Superata la foce del Delta, esso fu rovinosamente in balia del Mar Mediterraneo. Venuta a conoscenza dei fatti Iside, lasciò il Paese e si mise alla ricerca dell’amato.

Ella giunse a Biblos, città della costa siro-palestinese, dove trovò la bara, che nel frattempo era stata avvolta da un albero ed era stata messa al centro della casa del governatore della città come ornamento. Iside si celò e si fece assumere come nutrice per i figli del governatore. Una notte, mentre stava bruciando la parte mortale di uno dei due bambini, il forte urlo della madre alla vista del figlio in fiamme interruppe l’incantesimo: Iside non poté che rivelare la sua natura e chiedere il corpo del marito. La richiesta fu accolta e, tornata in Egitto con il corpo del marito, Iside lo nascose tra le paludi del Delta, ma Seth, una volta scoperto il luogo in cui era custodito, lo smembrò in 42 pezzi disperdendoli in tutto il Paese.

 

Statuette di Isisde che allatta Horus. Museo Archeologico di Napoli. Credits: Paolo Bondielli.

 

A quel punto Iside, insieme alla sorella Nephthys e al dio Anubis, percorse tutto l’Egitto, raccogliendo ogni singolo frammento del corpo di Osiride, innalzando dei santuari al cui interno fece custodire da un sacerdote la copia di una delle membra ritrovate, in modo da ingannare Seth. Raccolte le parti del corpo di Osiride, il dio Anubis procedette all’imbalsamazione del corpo del dio, vivificandone le membra con la recitazione di formule magiche. All’interno della sala dell’imbalsamazione, alla testa e ai piedi del letto funerario su cui giacque Osiride, Nephthys e Iside ne piansero la morte. Al termine del procedimento, con il battito delle sue ali, Iside donò nuova vita allo sposo e, poggiandosi sul suo fallo, rimase incinta di un figlio postumo. Osiride da quel momento in poi assunse il ruolo del dio dei morti e dell’oltretomba, prendendo il posto di Anubis.

Durante la gravidanza, scortata da sette scorpioni, Iside si nascose nel Delta, dove chiese asilo ad una donna ricca che le rifiutò l’aiuto, e poi in un secondo momento ad una pescatrice. Lì la ricca signora implorò Iside di salvare la vita al figlio, punto da Tefen, il capo degli scorpioni. Iside, nella più completa solitudine, diede alla luce il figlio Horus, nascondendosi ancora una volta nelle paludi di Khemmis. Eccetto un episodio in cui rischiò di morire a causa di una puntura velenosa, Horus crebbe sano e forte, e venne preparato da Osiride per affrontare lo zio Seth.

Iniziò la cosiddetta disputa tra Horus e Seth, la cui durata è di ca. 70 anni. In questo lasso di tempo, zio e nipote si sfidarono e si combatterono sia in sembianze umane sia animali, vincendo una volta l’uno e una volta l’altro i diversi incontri. Nessuno dei giudici presenti, nonostante fossero consapevoli del fatto che il legittimo erede di Osiride fosse Horus, si volle schierare inizialmente contro il dio Seth: fu Iside, ingannando lo stesso Seth e facendogli dire che l’eredità di un padre spetta ad un figlio e non ad un estraneo, a portare le prove davanti alla giuria. Così al dio Horus venne riconosciuta la legittimità sul regno dei vivi. L’unico dio ad aver appoggiato Seth, fu Ra: il dio-Sole necessita della potente magia di Seth nel suo viaggio notturno nella Duat.

 

Schweizer A., The Sungod’s Journey through the Netherworld: Reading the Ancient Egyptian Amduat, Cornell University Press, New York 2010, p. 142.

 

Possiamo così identificare alcuni dei protagonisti di questi racconti in relazione al loro ruolo:

  • Osiride: è il defunto, ovvero la vittima della morte. Nei testi religiosi i defunti sono identificati come Osiride N., laddove N . sta per il nome del defunto.
  • Iside: sposa e sorella, è colei che riporta in vita il defunto. Ristabilisce le connessioni fisiche del defunto in quanto singolo.
  • Horus: è il figlio del defunto. In quanto erede legittimo è portatore della forza vitale (ka) del genitore e dei suoi antenati, che trasmetterà alla sua discendenza. Ristabilisce le connessioni sociali tra l’individuo defunto e il mondo che lo circonda.
  • Seth: è la morte rappresentata come assassino. La morte va intesa sia come nemico da sconfiggere (rinascita), sia come nemico da affrontare (giustificazione davanti al tribunale degli dei).

Iside, ovvero le connessioni coniugali.

Dal mito della morte e resurrezione di Osiride, abbiamo visto il ruolo di Iside. Sorella e sposa del dio buono, Iside è colei che cerca il corpo del marito senza stancarsi mai. Chiamata anche Grande di Magia, per il suo enorme potere, è colei che riporta il defunto in vita, lo guida nel suo viaggio nell’aldilà, ed è la fautrice, insieme a Seth, della sconfitta di Apophis, il serpente ancestrale che ogni notte tenta di inghiottire il dio Ra per gettare il mondo nel caos.

Il ruolo di Iside si sviluppa su una direttrice orizzontale poiché rientra nelle connessioni di ripristino fisico del defunto. Lo smembramento del dio, chiamato anche “stanco di cuore”, va visualizzato a livello fisico nel corpo umano. Per gli antichi egizi, la sede dell’anima e della vita era il cuore: grazie al pompare del muscolo, il sangue raggiungeva tutto il corpo unendo gli organi e dandogli dunque vita; la morte, ovvero l’inerzia del cuore, implica la non circolazione del sangue, e di conseguenza la dissociazione di tutte le membra, il non collegamento di esse tramite il sangue e, dunque, lo smembramento. Lo scopo dell’imbalsamazione è quello di ripristinare queste connessioni fisiche affinché il defunto possa continuare a vivere anche nell’aldilà; è palese la motivazione di reinserire il cuore all’interno del corpo, rispetto a stomaco, fegato, intestino e polmoni, conservati nei vasi canopi.

In aggiunta, sono assolutamente necessarie le formule magiche, recitate per due motivi: la prima, appunto, è per ristabilire le connessioni tra le varie membra, la seconda è quella di tenere lontano Seth (la morte). La presenza di Iside e Nephthys nella sala dell’imbalsamazione (argomento che non possiamo qui approfondire per la sua complessità) è necessaria affinché si possano ripristinare queste connessioni. Sono loro, tramite la recitazione di queste formule e tramite le lamentazioni sul corpo dell’amato fratello, a fare in modo che avvenga la riconnessione delle membra tramite la magia e, di conseguenza, la trasfigurazione del defunto. Non a caso per le formule di trasfigurazione in akh (la parte dell’anima che raggiunge gli dei) in antico egiziano si utilizzava la parola shakhw, ovvero divenire un akh.

 

Il capitolo CLI del Libro dei Morti. Tomba di Siptah (KV 47), XIX dinastia.
Foto di F. Dzikowski, archivio The Theban Mapping Project.

 

Il ruolo delle “due belle sorelle”, così come definite nei Testi dei Sarcofagi, continua nel viaggio nell’aldilà. Sebbene sembri che Nephthys abbia un ruolo di secondo piano, senz’altro non possiamo dire la stessa cosa di Iside: ella precede il defunto nella Duat facendogli strada. Il ruolo protettivo di Iside e Nephthys è evidente anche negli oggetti del corredo funerario; esse si trovano ai piedi e alla testa del defunto, così come nelle scene della sala di imbalsamazione. Spesso in associazione con le dee Neith e Serḳet, le quattro divinità proteggono i quattro angoli del sarcofago esterno. Ancora, le quattro dee sono le tutelari dei vasi canopi, rappresentati dai Quattro Figli di Horus. Nelle scene dei funerali, Iside e Nephthys hanno anche il ruolo di prefiche, e spesso vengono rappresentate come due nibbi: non è ancora chiara la motivazione, anche perché spesso hanno iconografia diversa, probabilmente si tratta della stessa famiglia degli Accipitridi, ma una delle ipotesi vede questa raffigurazione in associazione all’urlo stridulo del nibbio che ricorda l’urlo di dolore delle prefiche.

Horus, le connessioni sociali.

Abbiamo visto come il ruolo di Horus nel mito sia quello di vendicatore del padre: egli ristabilisce dunque il ruolo sociale del defunto. Se il ripristino delle connessioni fisiche è necessario affinché il defunto continui a vivere nell’aldilà, necessario è anche il ripristino delle connessioni del defunto all’interno della società in cui vive. Il ruolo di Horus segue una linea verticale: ovvero non solo il defunto viene ricordato nella società e ai posteri tramite il tramandarsi del nome, ma il defunto continua a vivere nella sua discendenza attraverso la trasmissione della forza vitale, il ka (sia il ka che il nome sono altre componenti dell’anima). Affinché il defunto continui a vivere nella società è necessario che sia il defunto sia il figlio siano parte integrante della società: vediamo quindi come connessioni fisiche e connessioni sociali siano interrelate tra di loro per la sopravvivenza della persona nell’aldilà, sebbene su due piani diversi.

Nella società è importante la memoria del defunto, perpetrata attraverso il nome e attraverso la tomba, luogo visibile alla società dell’esistenza della persona (gli egiziani temevano profondamente la sepoltura in terra straniera proprio per la perdita di questa connessione sociale). Ancora, il defunto continua a vivere nella sua discendenza, così come dentro di lui vivevano i suoi antenati: è il ka, la forza vitale, che viene trasmessa di generazione in generazione da padre a figlio; ogni individuo, quindi, non è più il singolo ma parte della società in quanto parte di un nucleo familiare immerso nel tessuto sociale da generazioni. Questa trasmissione in linea verticale, da padre a figlio, non è solo psicologica ma è anche tangibile, poiché l’erede legittimo del defunto è sempre e solo il figlio: a nessun estraneo (ovvero non portatore della linea diretta) spetta questo ruolo. Ciò serve ad “eliminare” nella vita quotidiana elementi che non sarebbero legali nella trasmissione dei beni ereditari.

Sembra fondamentale la presenza di Horus all’interno della Sala delle Due Maat, dove tiene il defunto per mano, accompagnandolo di fronte al dio Osiride, dopo la pesatura del cuore e la giustificazione. Qui Horus assumerebbe sia il ruolo di garante per il defunto, dandogli così l’accesso ai Campi di Iaru (trasfigurazione), sia di colui che ripristina il defunto nella società poiché la pesatura del cuore e la giustificazione vengono effettuate alla presenza dei 42 giudici facenti parte del tribunale di Osiride.

 

Papiro di Ani, La confessione negativa (XIX din.), British Museum, Londra, BM 10470/3-10470/4

 

Seth, affrontare la morte.

Seth, dunque, rappresenta la morte. Morte che non è mai vista come giusta o naturale poiché interrompe la vita; eppure essa è sempre presente essendo necessaria all’ordine cosmico del mondo (basti pensare al ruolo di Seth nell’aldilà). E allora questa morte come si sconfigge? Come si inverte un processo che, sebbene nella natura, viene visto come “non-naturale”?Da sempre considerato “il cattivo”, Seth è, probabilmente, la figura divina più controversa di tutta la mitologia egiziana. Ciò deriva dalla sua dualità: assassino del fratello e protettore del deserto da un lato, difensore del dio Ra dall’altro.

Il ruolo negativo che Seth ha nel mito di Osiride e nella disputa contro Horus lo ha portato, nella storia egiziana, ad essere visto come dio malvagio e protettore del deserto e delle terre straniere, tanto che gli Hyksos, che invasero l’Egitto e dominarono la zona del Delta tra il 1650 e il 1523 a.C., lo elessero come divinità “dinastica”. Per contro, la “positività” di Seth ben si esplica nella VII ora del viaggio notturno del dio-Sole nella Duat. È il momento più critico per Ra poiché è debole prima della rigenerazione che gli permette di rinascere al mattino dopo: l’ancestrale serpente Apophis si trova lì, pronto ad inghiottire il Sole. Sono la magia di Iside e di Seth a sconfiggere il serpente e ad impedirgli di gettare il mondo nel caos.

Dettaglio di di un papiro del Museo del Cairo. Seth trafigge Apophis per poteggere la Barca Solare. Credits: Autore sconosciuto.

La sconfitta della morte ha bisogno di due momenti: il primo è quello di riattivare le connessioni fisiche all’interno del corpo del defunto, quindi di riconvertire il processo di smembramento e putrefazione attraverso la mummificazione e la recitazione di formule magiche, in modo che il corpo riprenda le sue funzioni; il secondo è quello di affrontare la morte vis à vis, che potremmo definire più in senso psicologico, sebbene sia indissolubilmente legato a quello propriamente fisico, momento che avviene nella Sala delle Due Maat. Nella Disputa tra Horus e Seth, quando Horus viene designato legittimo erede del defunto Osiride, quest’ultimo si trova faccia a faccia con il suo assassino, Seth; così anche il defunto dovrà affrontare la morte nel confronto che avviene davanti ai giudici: se il cuore non dovesse avere l’esatto peso della piuma sull’altro piatto della bilancia, il defunto non sarebbe trovato giusto di voce, ovvero non avrebbe la capacità di purificare sé stesso dai suoi peccati, condizione imprescindibile per rinascere nell’aldilà.

Il ripristino delle connessioni all’interno, quindi fisiche e legate al corpo, e all’esterno attraverso la memoria e l’eredità, impediscono al defunto di essere morto nel senso proprio del termine. Molto dell’antico Egitto può portarci a pensare ad un’ossessione tale per la morte da realizzare tombe maestose e ben decorate, piene di testi iscritti su pareti, corredo e papiri funerari, ma tutto ciò non è altro che un inno alla vita, un rifiuto, se così lo vogliamo intendere, di arrestare la vita e di fare, dunque, l’impossibile, per tornare a nascere nuovamente.

 

Fonte principale: Assmann, J.: Death and Salvation in Ancient Egypt, New York 2014.

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Chiara Lombardi

Laureata in Archeologia Orientale presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” con una tesi magistrale in Archeologia Egiziana dal titolo “Iside nei testi funerari e nelle tombe del Nuovo Regno: iconografia e ruolo della dea tra la XVIII e la XIX dinastia” (2013), ha conseguito un master di primo livello in “Egittologia. Metodologie di ricerca e nuove tecnologie” presso la medesima Università (2010-2011). Durante il master ha sostenuto uno stage presso il Museo Egizio de Il Cairo per studiare i vasi canopi nel Nuovo Regno (2010). Ha partecipato a diversi scavi archeologici, tra i quali Pompei (scavi UniOr – Casa del Granduca Michele, progetto Pompeii Regio VI, 2010-2011) e Cuma (scavi UniOr – progetto Kyme III, 2007-2017). Inoltre, ha preso parte al progetto Research Ethiopic language project: “Per un nuovo lessico dei testi etiopici”, finanziato dall’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente e dal progetto PRIN 2005 “Catene di trasmissione linguistica e culturale nell’Oriente Cristiano e filologia critico testuale. Le problematiche dei testi etiopici: testi aksumiti, testi sull’età aksumita, testi agiografici di traduzione” (2006-2007). Ha collaborato ad un progetto educativo rivolto ai bambini della scuola primaria per far conoscere, attraverso sperimentazioni laboratoriali, gli usi e i costumi dell’antico Egitto e dell’antica Roma (2014-2015). È stata assistente di ricerca presso la Princeton University (New Jersey) per “The Princeton Ethiopian, Eritrean, and Egyptian Miracles of Mary digital humanities project (PEMM)” (2020-2021). Ricercatrice indipendente, attualmente è anche assistente di ricerca per il Professor Emeritus Malcolm D. Donalson (PhD ad honorem, Mellen University). Organizza e partecipa regolarmente a diverse attività di divulgazione, oltre a continuare a fare formazione. Collabora con la Dott.ssa Nunzia Laura Saldalamacchia al progetto Nymphè. Archeologia e gioielli, e con la rivista MediterraneoAntico, occupandosi in modo particolare di mitologia. Appassionatasi alla figura della dea Iside dopo uno studio su Benevento (Iside Grande di Magia e le Janare del Sannio. Ipotesi di una discendenza, Libreria Archeologica Archeologia Attiva, 2010), ha condotto diversi studi sulla dea, tra cui Il Grande inno ad Osiride nella stele di Amenmose (Louvre C 286) (Master di I livello in “Egittologia. Metodologie di ricerca e nuove tecnologie”, 2010); I culti egizi nel Golfo di Napoli (Gruppo Archeologico Napoletano, 2016); Dal Nilo al Tevere. Tre millenni di storia isiaca (Gruppo Archeologico Napoletano, 2018 – Biblioteca Comunale “Biagio Mercadante”, Sapri 2019); Morire nell’antico Egitto. “Che tu possa vivere per sempre come Ra vive per sempre” (MediterraneoAntico 2020); Il concepimento postumo di Horus. Un’ analisi (MediterraneoAntico 2021); Osiride e Antinoo. Una morte per annegamento (MediterraneoAntico 2021); Culti egiziani nel contesto della Campania antica (Djed Medu 2021); Nephthys, una dea sottostimata (MediterraneoAntico 2021). Sua è una pubblicazione una monografia sulla dea Iside (A history of the Goddess Isis, The Edwin Mellen Press, ISBN 1-4955-0890-0978-1-4955-0890-5) che delinea la sua figura dalle più antiche attestazioni nell’Antico Regno fino alla sua più recente menzione nel VII d.C. Lo studio approfondisce i diversi legami di Iside in quanto dea dell’Occidente e madre di Horus con alcune delle divinità femminili nonché nei cicli osiriaco e solare; la sua iconografia e le motivazioni che hanno portato ad una sempre crescente rappresentazione della dea sulle raffigurazioni parietali delle tombe. Un’intera sezione è dedicata all’onomastica di Iside provando a delineare insieme al significato del suo nome anche il compito originario nel mondo funerario e le conseguenti modifiche. L’appendice si sofferma su testi e oggetti funerari della XVIII dinastia dove è presente la dea.

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